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Quali fattori incidono sulla scelta di avere figli?

10 novembre 2022

Difficile

Quali fattori incidono sulla scelta di avere figli?

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Il differenziale negativo tra nascite e decessi è un problema cruciale per l’Italia del futuro: nel 2049 i decessi dovrebbero infatti doppiare le nascite. Perché le famiglie italiane sono restie a fare figli? Quali sono i fattori che influenzano la scelta di avere figli? Quanto incide un reddito stabile sulla presenza di un figlio nel nucleo familiare? Quali politiche economico-sociali possono aiutare le famiglie?

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Il problema della natalità

Gli ultimi dati Istat segnalano un aggravamento della situazione del paese sul fronte della natalità: si prevede che nel 2022 il numero dei nuovi nati si attesti attorno a 385 mila unità, più di 100 mila in meno rispetto a pochi anni fa. Le previsioni più a lungo termine indicano che la popolazione italiana si ridurrà di 1,2 milioni di individui da qui al 2032, con i decessi che potrebbero doppiare le nascite nel 2049. Eppure le famiglie italiane desiderano avere figli, come testimoniato, ad esempio, dalle indagini dell’Istituto Toniolo secondo cui la volontà di avere un figlio in Italia non si discosta significativamente da quella degli altri paesi europei. Da queste indagini sembrerebbe altresì emergere una chiara relazione negativa tra livello di istruzione e l’aspettativa di diventare genitori: solo il 16,5 per cento di coloro che hanno un titolo di studio più alto si vedono senza un figlio entro i 45 anni; percentuale che aumenta al 29,6 per cento per i giovani che si sono fermati alla scuola dell’obbligo.[1]

La riduzione del tasso di fecondità è un fenomeno problematico sotto tanti aspetti, in particolar modo relativamente alla tenuta del sistema di welfare italiano basato sui contributi e sulle imposte pagate dalle generazioni attive. Anche per questo è importante capire quali sono le ragioni sottostanti alla scelta di (non) avere figli. Come suggeriscono le evidenze appena descritte sulle aspettative dei giovani italiani, questa scelta dipende ragionevolmente da molti fattori quali l’età, il livello di istruzione, il reddito (e il patrimonio) della famiglia. In questa nota proviamo ad indagare queste relazioni utilizzando alcuni dati resi disponibili dall’Istat e dalla Banca d’Italia.

Partiamo dal reddito

Tra i molti fattori che influiscono sulla scelta di avere figli o meno, il reddito è quello più intuitivo. Crescere un figlio costa e solo le coppie con sufficienti risorse economiche potrebbero quindi decidere di diventare genitori. I dati Istat consentono di raccogliere alcune prime evidenze su questa relazione e mostrano come le famiglie con figli dispongano di un reddito medio più elevato rispetto alle famiglie senza. A partire dal 2016, le famiglie con figli hanno un reddito medio tra i 28 e i 34 mila euro, mentre, nello stesso periodo, il reddito medio non è mai superiore ai 27 mila euro per quelle senza figli.[2] Tuttavia, queste ultime potrebbero comprendere nuclei familiari composti da un solo componente o da due componenti anziani, distorcendo la stima dei redditi medi tra i due gruppi.[3] Proveremo a risolvere questo problema in seguito.

Prima di procedere oltre, sempre con i dati Istat, possiamo esplorare la relazione tra il reddito familiare e la decisione di avere un figlio nelle regioni italiane. La Fig. 1 rappresenta la relazione tra reddito medio familiare regionale e tasso di fecondità. A livello nazionale si osserva una correlazione positiva (0,49) tra le due variabili.[4] Tuttavia, osservando meglio i dati, emergono due realtà distinte tra Centro-Nord e Sud. Infatti, la correlazione tra reddito medio familiare e tasso di fecondità nelle regioni del Centro-Nord risulta positiva (0,70), mentre nel Sud la correlazione è negativa (-0,37) se includiamo le due isole e torna debolmente positiva (0,24) se le escludiamo. Questi dati sembrerebbero indicare che la relazione tra il reddito e la decisione di avere un figlio è molto più complicata di quanto appaia a prima vista. In particolare, sembrerebbero pesare i vincoli del contesto locale (in termini di servizi per l’infanzia, per esempio) e la possibilità di trovare una occupazione che consenta, soprattutto alle donne, una carriera appagante. È possibile - ma ciò richiede un’indagine che va oltre lo scopo di questa nota - che si manifesti un fenomeno di “lavoratrici scoraggiate” per cui, in corrispondenza di redditi pro capite molto bassi e tassi di disoccupazione elevati, le donne rinuncino a cercare un lavoro e scelgano di avere più figli. 

Ma oltre al reddito vi sono altri fattori

Come già osservato, i dati Istat possono potenzialmente includere famiglie composte da soli pensionati o da giovani single che hanno ormai raggiunto l’indipendenza economica, il che distorce la relazione tra reddito familiare e presenza di figli nel nucleo. I dati Istat, inoltre, non consentono di tenere conto dell’età della donna. Per superare questi problemi sono stati utilizzati i micro-dati relativi all’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane condotta dalla Banca d’Italia.[5] Questi dati consentono di selezionare un campione di famiglie più omogeneo, sfruttando l’informazione sull’età anagrafica dei singoli componenti.

L’indagine di Banca d’Italia per il 2020 riguarda 6.239 famiglie, composte complessivamente da 15.198 individui, statisticamente rappresentative della popolazione italiana.[6] Per studiare la relazione tra figli e reddito familiare abbiamo escluso dal campione i nuclei familiari composti da un singolo individuo e abbiamo considerato solo quelli dove è presente una donna di età inferiore ai 50 anni che contemporaneamente sia registrata nell’indagine come moglie/convivente. Le famiglie totali rimaste, con o senza figli, si riducono così da 6.239 a 1.308.[7] Per queste famiglie abbiamo ricalcolato i redditi familiari aggregando solo quelli percepiti dai coniugi, ottenendo un reddito principale aggregato che non consideri soggetti terzi nella famiglia.[8]

A livello nazionale, il reddito medio familiare delle 1.308 famiglie selezionate risulta pari a 44.676 euro, valore leggermente più elevato rispetto a quello dell’intero campione dei dati Banca d’Italia (39.343 euro).[9]

La Tav. 1 mostra il numero medio di figli per classe di reddito del nucleo familiare ed età della donna. A livello nazionale, il numero medio di figli è di 1,48 per famiglia, con un valore di 1,49 figli al Nord, 1,39 al Centro e 1,53 al Sud.[10] Si osserva che il numero dei figli si riduce con il reddito per la fascia di età tra i 31 e 35 anni. Una possibile spiegazione è legata alla relazione tra livello di istruzione e reddito: chi guadagna meno si caratterizza probabilmente per un livello di istruzione inferiore e ha costruito il suo nucleo familiare da più tempo; chi guadagna di più ha invece un livello di istruzione maggiore, con le donne che in questa fascia di età possono ritardare la procreazione di un figlio per favorire la carriera lavorativa. A partire dalla fascia di età 36-40 anni, il numero medio di figli ovviamente sale e raggiunge un valore di circa 1,5. Né in questa fascia di età né in quella 41-45 si osserva una relazione crescente fra numero di figli e reddito. Un numero medio di figli più elevato si osserva solo per livelli di reddito oltre i 60 mila euro per le famiglie in cui la donna ha un’età tra i 46 e i 50 anni. Tra i motivi che possono spiegare questo fenomeno vi è il raggiungimento della stabilità lavorativa di una donna in carriera, che può decidere ora di combinare il ruolo professionale con quello materno.

Per quanto visto finora, il legame tra il reddito familiare e la decisione di avere uno o più figli si intreccia con l’istruzione e con l’età. Per capire meglio queste relazioni complesse, ci affidiamo ad un modello di regressione multivariata in cui la variabile dipendente è la presenza di almeno un figlio nel nucleo familiare (1 se vi è almeno un figlio, 0 altrimenti). I fattori che consideriamo (le variabili indipendenti del modello) sono – oltre al reddito della famiglia - l’età della donna, la sua istruzione (1 se la donna ha completato almeno la scuola secondaria di secondo grado, 0 altrimenti) e la proprietà dell’abitazione dove vive la famiglia (1 se l’abitazione è di proprietà, 0 altrimenti).[11] Le Tavole 2.1 e 2.2 presentano i coefficienti stimati con il modello di regressione, restituendo informazioni sulla relazione tra la singola variabile e la probabilità di avere un figlio tenendo conto di tutte le altre variabili. Si considerano otto diverse specificazioni del modello generale: (1) un primo esercizio considera la sola variabile reddito familiare; (2) un secondo esercizio include l’età; (3) un terzo esercizio aggiunge, oltre all’età, anche la variabile livello di istruzione della donna; (4) un quarto esercizio che aggiunge infine anche la variabile abitazione di proprietà. Le altre quattro specificazioni provano a verificare la presenza di effetti eterogenei in gruppi di famiglie diversi: i modelli (5) e (6) considerano solo le famiglie in cui la donna ha, rispettivamente, un’età superiore ai 40 anni nel primo e uguale o inferiore nel secondo, mentre i modelli (7) e (8) limitano le regressioni rispettivamente al solo Centro-Nord e Sud Italia.

Limitandoci ai coefficienti statisticamente significativi, i risultati dei modelli (1) – (4) ci dicono che solo la variabile età mostra una relazione positiva con la probabilità di avere figli (Tav. 2.1). Tutte le altre variabili, incluso il reddito (che cresce con l’età), sembrano essere irrilevanti.

Vista l’importanza della variabile età, abbiamo analizzato separatamente le famiglie caratterizzate dalla presenza di una donna con un’età superiore o inferiore ai 40 anni (rispettivamente modello 5 e 6 nella Tav. 2.2). Innanzitutto, per le più giovani (modello 6) emerge una relazione negativa tra titolo di studio e probabilità di avere un figlio. Questo risultato conferma quelli già emersi in letteratura sul disincentivo ad avere figli per le donne maggiormente istruite, dato il costo-opportunità della progressione di carriera per le donne-madri.[12] A questo si aggiunge, sempre per la stessa categoria di donne, una relazione negativa tra la proprietà dell’abitazione principale e la probabilità di avere un figlio. Entrambe queste variabili sembrano sottolineare la priorità che le famiglie giovani danno alla sicurezza economica sia sul fronte del lavoro che su quello della casa, per la quale molto spesso si indebitano con l’accensione di un mutuo ipotecario. In queste circostanze sembrerebbe quindi che la decisione di avere figli venga posticipata nel tempo.[13] Questa interpretazione sembra essere confermata dai risultati sul sotto-campione di famiglie con donne sopra i 40 anni, per le quali si osserva invece una relazione positiva e statisticamente significativa tra la proprietà di una abitazione e la probabilità di avere un figlio (modello 5).[14]

Risultati interessanti si ottengono anche dall’esercizio sulle macro aree geografiche, Centro-Nord e Sud (rispettivamente modello 7 e 8). I risultati sembrano confermare che la relazione principale in tutte le aree sia con l’età della donna. Tuttavia, la relazione tra reddito e probabilità di avere un figlio è differente tra le macro-aree del paese. Solo per le famiglie del Sud il coefficiente legato al reddito risulta positivo e significativo. [15] Ciò conferma quanto già osservato in merito alla Fig.1 sulla complessità del legame tra reddito e probabilità di avere un figlio, ragionevolmente influenzato dai vincoli e dalle opportunità che il contesto locale offre alle famiglie.

Conclusioni

Le famiglie italiane sembrano dare priorità alla ricerca della stabilità economica rappresentata da un lavoro (che consenta una progressione di carriera soprattutto per chi ha un livello di istruzione elevato) e dalla proprietà di un’abitazione. Come conseguenza di queste priorità si osserva l’aumento dell’età delle donne quando decidono di avere il primo figlio, condizionandone anche la possibilità (e la volontà) di averne altri.

Tra le principali misure intraprese recentemente dal governo per sostenere la genitorialità, contrastare la denatalità e favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro di entrambi i genitori vi è il Family Act, un sistema integrato di interventi che prevede come misura principale l’Assegno Unico Universale Familiare. L’Assegno, che ha sostituito precedenti istituti (le detrazioni per carichi familiari nell’ambito dell’Irpef e gli assegni al nucleo familiare), è una misura universale rivolta a tutte le famiglie con figli a carico fino a 21 anni. Tale misura rappresenta certamente una rivoluzione nel panorama italiano delle politiche nei confronti delle famiglie. Per quanto osservato in precedenza, l’Assegno è però probabilmente insufficiente per risollevare il tasso di fecondità in Italia se non verrà accompagnato da altre misure di welfare nazionale e aziendale che consentano alle persone di conciliare meglio le esigenze della vita familiare con quelle dell’attività lavorativa.

 


[1] Per maggiori dettagli, si veda il seguente link: Italia: il Paese senza figli, 2019.

[2] I dati Istat sono stati corretti per l’andamento dell’inflazione per poter confrontare i valori del reddito nel tempo.

[3] Le famiglie con un solo componente sono sempre più numerose. Le previsioni Istat suggeriscono che nel 2041 saranno 10,2 milioni le persone che vivranno sole.

[4] La relazione positiva tra reddito e figli suggerisce, per usare un linguaggio microeconomico, che i figli possano essere un “bene normale”. Per maggiori dettagli si rimanda per esempio a Black D.A. et al., “Are Children Normal?”, SSRN-Working Paper No. 2008-040E.

[5] I dati dell’Indagine pubblicati nel 2022 e riferiti all’anno 2020 sono gli ultimi disponibili.

[6] Ad ogni famiglia è assegnato un peso (da 0 a 6,55) al fine di rappresentare in modo adeguato tutte le famiglie italiane. La somma dei pesi è uguale a 6.239, il totale delle famiglie campionate dalla Banca d’Italia.

[7] Le 1.308 famiglie rimaste sono famiglie con o senza figli con una donna moglie/convivente di età inferiore a 50 anni e famiglie con una donna madre (senza coniuge) di età inferiore a 50 anni. 

[8]  Il reddito aggregato è comprensivo di: reddito da lavoro dipendente, reddito netto da lavoro autonomo e reddito da capitale. L'esclusione dei redditi percepiti da parenti diversi da marito e moglie nel computo del reddito aggregato familiare focalizza l’attenzione sulle sole risorse disponibili dei coniugi.

[9] Il dato del reddito medio relativo alle famiglie escluse (principalmente single e pensionati) dall’analisi è di 33.314 euro, chiaramente inferiore al reddito medio riferito all’intero campione.

[10] Questa realtà è confermata anche dall’Annuario Statistico Italiano 2021: “dal punto di vista territoriale l’incidenza massima di famiglie formate da una coppia con figli si registra al Sud e nelle Isole (rispettivamente, 37,9 e 36,1 per cento)”.Per maggiori dettagli si veda: Annuario Statistico Italiano, pag. 9 allegato, 2021.

[11] Le variabili indipendenti sono quelle che, se significativamente diverse da zero in senso statistico, sono correlate alla probabilità di avere un figlio nel nucleo, controllando per le altre variabili del modello.

[12] Per maggiori dettagli sul tema si veda, per esempio, Jungho Kim, Female education and its impact on fertility, IZA World of Labour, 2016.

[13] Su come la stabilità finanziaria influisca la scelta di avere figli, si legga, ad esempio, “Americans Are Having Fewer Babies. They Told Us Why”, The New York Times, 2018.

[14] Per maggiori dettagli sulla relazione tra  possesso di un’abitazione e propensione ad avere figli, si veda per esempio Tocchioni V. et al., : “The Changing Association Between Homeownership and the Transition to Parenthood”, Demography, 2021, 58(5), pp. 1843-1865.

[15] Questo risultato è trainato dal maggior numero di osservazioni delle regioni continentali del Sud rispetto alle isole, con le prime che presentano una correlazione positiva tra tasso di fertilità e reddito familiare nella precedente Fig. 1.

Un articolo di

Francesco Bortolamai e Leonardo Ciotti

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