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Perché in Italia le spending review non funzionano

30 gennaio 2023

Intermedio

Perché in Italia le spending review non funzionano

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Lo scorso 30 dicembre, la Ragioneria Generale dello Stato ha redatto un rapporto che analizza le ragioni dell’insuccesso delle esperienze di spending review in due ministeri. Il tema della revisione e dell’efficientamento della spesa pubblica è centrale in Italia e la prima Commissione tecnica con queste finalità è stata introdotta fin dal lontano 1981, per essere poi seguita da numerosi altri tentativi, incluse le (modeste) misure previste dal PNRR. Tuttavia, è lecito osservare che i risultati sono stati finora scarsi sia in termini di risparmi che di efficientamento. Molte le ragioni dell’insuccesso, tra cui il fatto che sia mancato un sostegno politico adeguato, non siano stati dati incentivi monetari ai funzionari delle amministrazioni, si sia agito tramite tagli (tipicamente temporanei) rinunciando a riqualificare davvero la spesa intervenendo sui meccanismi di formazione delle decisioni di spesa e sulla loro attuazione. Inoltre, la spending review ha riguardato solo gli apparati statali, senza estendersi agli enti territoriali. Questi aspetti sono stati invece presenti nelle esperienze passate di spending review di Finlandia e Regno Unito che, insieme ad altre misure, hanno decretato il loro successo.

La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 30 gennaio 2023.

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Spending review: decenni di tentativi

Per revisione della spesa pubblica (c.d. spending review), si intende un processo volto a migliorare l'efficienza e l'efficacia della spesa pubblica attraverso l’analisi e la valutazione delle procedure decisionali e attuative della Pubblica Amministrazione nelle sue strutture organizzative statali, regionali e comunali (come i ministeri, i tribunali, le ASL e gli ospedali, le scuole e le università). In particolare, l’obiettivo della spending review è quello di utilizzare l’approccio noto in campo aziendale come “bilancio a base zero”, superando quindi l’approccio incrementale, che si concentra principalmente sulle nuove iniziative di spesa invece che sulle analisi di efficienza e efficacia della spesa già esistente. Si tratta, in sintesi, di “riqualificare” la spesa pubblica già esistente, spendendo meglio le risorse con processi interni alle amministrazioni, riconoscendo che è una decisione politica quella sull’ammontare complessivo di spesa pubblica da erogare in un determinato anno.

In Italia, discussioni e analisi in merito all’efficienza e all’efficacia della spesa pubblica non sono mai mancate. Sul fronte dell’amministrazione pubblica, risale al 1981 l’istituzione della Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica (CTSP) presso il Ministero del Tesoro. La CTSP, formata da esperti esterni al Ministero e operativa fino al 2003, aveva proprio lo scopo di analizzare a valutare l’efficienza della spesa in vari settori formulando raccomandazioni, non vincolanti, al Ministero di riferimento.

Dopo qualche anno dalla soppressione della CTSP, nel 2007, venne istituita la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (CTFP), sempre incardinata presso il MEF e formata da esperti esterni, che stese il primo rapporto sulla revisione della spesa di cinque ministeri individuando criticità e opzioni di riallocazione delle risorse. La CTFP ebbe vita breve e venne soppressa nel 2008.

Il processo di spending review è stato successivamente affidato direttamente alla Ragioneria Generale dello Stato (RGS) e introdotto nella legge di contabilità e finanza pubblica (art. 22-bis della legge n. 196/2009), obbligando le amministrazioni centrali (e poi gradualmente le altre amministrazioni pubbliche) a redigere una relazione triennale sull’efficienza della spesa.

A seguito della crisi finanziaria dei debiti sovrani europei nel 2010-11, con la finalità di risanare il bilancio dello Stato, sono stati emanati i decreti-legge numero 52 e 98 del 2012 che hanno inaugurato un processo volto a definire i fabbisogni e i costi standard dei programmi di spesa delle P.A., istituendo, inoltre, un Comitato interministeriale e un Commissario straordinario in materia di razionalizzazione della spesa. A partire dal 2012 si sono succeduti, in qualità di Commissari, figure come Enrico Bondi (coadiuvato da Piero Giarda)[1], Mario Canzio (dopo pochi mesi nominato Ragioniere Generale dello Stato), Carlo Cottarelli[2], Yoram Gutgeld[3] (coadiuvato per un breve periodo anche da Roberto Perotti); fino ai due viceministri Laura Castelli e Massimo Garavaglia, nominati dal governo Conte I.

La pandemia ha fatto passare il tema dell’efficienza della spesa in secondo piano, ma la spending review è riemersa con il PNRR che, nell'ambito della Missione 1, prevede alcune misure (modeste alla luce della storia pregressa) quali: una riforma del metodo di revisione della spesa al fine di migliorarne l'efficacia, potenziando al contempo il ruolo del Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) e il processo di valutazione dei risultati; una revisione della spesa pubblica dal 2023 al 2025 al fine di riallocare le risorse per finanziare riforme fiscali e/o spese che incentivino la crescita. Per l’attuazione di questo obiettivo, il decreto n. 152 del 2021, ha instaurato presso la RGS il Comitato scientifico per le attività in merito alla spending review, volto a potenziare gli strumenti di monitoraggio, revisione, valutazione e analisi della spesa pubblica. Il Comitato è presieduto dal Ragioniere Generale dello Stato e comprende i dirigenti dei Ministeri coinvolti, un componente della segreteria tecnica del MEF e i rappresentanti di Banca d’Italia, Istat e Corte dei conti.

Gli obiettivi di riduzione di spesa per il triennio 2018-20 e le valutazioni della RGS

La procedura prevista dall’art.22-bis della legge di contabilità e finanza pubblica del 2009 è stata applicata per la prima volta nel 2017 con riferimento al triennio 2018-2020, al fine di garantire un risparmio aggregato pari ad almeno 1 miliardo di euro annui. La ripartizione della riduzione della spesa tra i vari Ministeri è stata stabilita dal DPCM del 28 giugno 2017 (Tav. 1).

Il Rapporto pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato lo scorso 30 dicembre, come previsto dalla riforma 1.13 del PNRR, ha esaminato l’efficacia delle procedure di spending review, focalizzandosi sulle esperienze del Ministero della Giustizia e della Salute nel triennio 2018-2020. Le maggiori criticità emerse non riguardano tanto il mancato raggiungimento dell’obiettivo di risparmio previsto dal DPCM del 28 giugno 2017 (solo due interventi del Ministero della Giustizia e tre del Ministero della Salute non lo hanno raggiunto), quanto invece la scarsa efficacia delle procedure di revisione della spesa sia in fase di programmazione che di monitoraggio. Infatti, nonostante nel 2019 l’obiettivo di risparmio fosse stato conseguito, non erano chiari né i presupposti analitici delle proposte formulate dai Ministeri (su quali evidenze sono state basate?) né quelli procedurali (esistevano alternative fra le quali è stata presa una decisione?).

L’efficacia dell’obiettivo è diversa dall’efficacia delle procedure. Uno dei principali problemi emersi è che entrambi i Ministeri hanno adottato un approccio di riduzione alla spesa tramite tagli, facendo leva su riduzioni di spese di finanziamento delle strutture amministrative e su riduzioni di stanziamenti per interventi specifici. Ma agire in questo modo significa rinunciare alla spending review, cioè rinunciare a riqualificare davvero la spesa pubblica intervenendo sui meccanismi di formazione delle decisioni di spesa e sulla loro attuazione.

Nello specifico, il Ministero della Giustizia ha programmato una riduzione delle spese per intercettazioni telefoniche e la produzione in house dell’abbigliamento per i detenuti, senza però considerare gli effetti dannosi che ne sarebbero derivati. Tra questi, come riportato dalla RGS, rientrano i potenziali rischi di ricorso da parte delle compagnie telefoniche e i ritardi nella consegna dell’abbigliamento ai detenuti nel breve periodo a causa dei lunghi tempi necessari per l’allestimento degli impianti di produzione. Da qui emerge che, a parere della RGS, il mancato raggiungimento dell’obiettivo nei due casi è da attribuire alla incompleta identificazione dei fattori di criticità.

Il Ministero della Salute, invece, ha agito de-finanziando integralmente una serie di interventi tramite l’azzeramento di alcuni capitoli di spesa per un solo anno, come nel caso delle risorse per il monitoraggio delle cure palliative e dei fondi regionali per le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Questa decisione è stata presa esclusivamente sulla base dell’insufficienza degli stanziamenti iniziali necessari per realizzare le attività. Tuttavia, il mancato conseguimento degli obiettivi legati agli interventi de-finanziati ha reso necessario negli anni successivi un ripristino del finanziamento per portare la dotazione iniziale ad un livello sufficiente, comportando dunque un risparmio nullo.

Le ragioni degli insuccessi

Le esperienze passate mostrano come in Italia le attività di spending review non abbiano avuto effetti significativi in termini di miglioramento dell’efficienza della spesa (l’obiettivo proprio della spending review) e non abbiano nemmeno generato risparmi significativi (l’obiettivo che spesso si assegna alla spending review). Una buona sintesi delle ragioni di fondo degli insuccessi è contenuta in un rapporto del Centro Studi Confindustria[4]:

  • Mancanza di un adeguato supporto politico alle iniziative con la conseguenza che, nel corso degli anni, l’attività dei Commissari è sembrata sempre più un’iniziativa autonoma, esterna sia alle scelte politiche che alle amministrazioni responsabili, piuttosto che un processo di analisi e revisione della spesa pubblica;
  • Mancanza di obiettivi predefiniti chiari e condivisi dall’opinione pubblica e ai vertici politici dei Ministeri e delle amministrazioni;
  • Essersi affidati esclusivamente a soggetti esterni alle amministrazioni: anche se è auspicabile una guida politica del processo, è comunque necessario internalizzare le attività e coinvolgere direttamente i funzionari responsabili in materia di revisione di spesa;
  • Mancanza di un sistema di incentivi monetari destinati ai funzionari delle amministrazioni al fine di aumentare l’efficacia del processo;
  • Mancato coinvolgimento di coloro che utilizzano i servizi, cioè cittadini e imprese che avrebbero potuto offrire un supporto al processo se avessero compreso a fondo i benefici derivanti da un maggior efficientamento della spesa pubblica;
  • Mancata estensione della revisione della spesa agli enti territoriali;
  • Tempi ristretti per la realizzazione del processo di revisione della spesa sia attraverso scadenze troppo stringenti concesse ai vari commissari sia a causa dei repentini cambi di governo;
  • Sovrapporsi di tre diversi interventi normativi in materia di revisione della spesa: gli articoli 22-bis e 39 della Legge di Contabilità e Finanza Pubblica del 2016 e il decreto-legge 69 del 2013 che individua nel Commissario per la spending review la figura chiave del processo. Ciò crea confusione e il continuo legiferare, senza esaminare i problemi posti dalle esperienze precedenti, non dà stabilità al processo.

Il confronto con Regno Unito e Finlandia

Un’accurata spending review si può ottenere a partire dalla decisione politica di tagliare la spesa pubblica, una decisione che impone un ripensamento delle procedure di spesa (come nel caso del Regno Unito); oppure tramite la ristrutturazione e l’efficientamento dei meccanismi di spesa, come ci insegna l’esperienza della Finlandia.[5]

La storia di successo del Regno Unito è da attribuire alla c.d. Gherson’s Review secondo la quale l’efficienza del settore pubblico si doveva raggiungere tramite: i) la riduzione del numero di dipendenti mantenendo lo stesso livello di servizio pubblico offerto; ii) prezzi agevolati per i beni e servizi indispensabili al settore pubblico; iii) aumento della quantità e/o della qualità del servizio pubblico, mantenendo invariati i costi dei fattori di produzione; iv) individuazione di obiettivi quinquennali di risparmio; v) estensione del modello agli enti territoriali al fine di creare un collegamento diretto con le amministrazioni centrali. Il tutto è poi stato monitorato da vari team di esperti esterni e funzionari delle amministrazioni coinvolte. Queste misure si sono tradotte in tagli ai ministeri e agli enti locali per un importo pari rispettivamente al 19 e al 7 per cento, risparmiando così un totale di 81 miliardi di sterline (4,1 per cento del Pil) dal 2011 al 2015.

La Finlandia, invece, ha adottato un approccio di spending review di tipo funzionale, basato sul criterio dell'efficienza che mira a identificare come le politiche vigenti possano essere attuate con minori risorse e una maggiore produttività. In particolare, l’attenzione è rivolta allo sviluppo all'interno dell'apparato statale di nuove tecnologie informatiche, al continuo miglioramento del know-how del personale e alla riprogettazione dei processi aziendali. Similmente al caso inglese, si prevede un'attività di monitoraggio basata sull'utilizzo di tecniche di management e di controllo derivanti dall'economia aziendale volte a garantire, al contempo, la motivazione e il benessere del personale. La riallocazione delle risorse tra i comparti della Pubblica Amministrazione (senza effettuare quindi alcun taglio della spesa pubblica) ha reso possibile un risparmio di 610 milioni di euro (0,3 per cento del Pil).


[1] Per maggiori informazioni si veda la Relazione Bondi, 2012. Alle attività di revisione della spesa in questo periodo ha collaborato anche il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, che ha prodotto un documento di analisi di alcuni settori di spesa pubblica.

[2] Il rapporto del Commissario e tutti i materiali completi dei gruppi di lavoro sono disponibili al sito governativo sulla revisione della spesa.

[3] Per maggiori dettagli si veda la sua Presentazione sulla revisione della spesa del 2017. Molti dei “risparmi” sono frutto di scelte politiche, non di attività di revisione della spesa.

[4] Per maggiori dettagli vedasi: Dove va l’economia italiana e gli scenari di politica economica, Capitolo 4, Centro Studi Confindustria, Ottobre 2018.

[5] Per maggiori dettagli vedasi: La spending review nell'esperienza internazionale: una breve analisi, Servizio del Bilancio del Senato, Febbraio 2012.

Un articolo di

Francesco Scinetti e Nicoletta Scutifero

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