Lavoro

Le vere “gabbie salariali”

10 ottobre 2025

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Le vere “gabbie salariali”

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In Italia riemergono periodicamente proposte di differenziare le retribuzioni pubbliche su base territoriale, visti i significativi divari nel costo della vita tra diverse regioni e tra città grandi e piccole. Soprattutto nel settore pubblico dove non esiste una contrattazione di secondo livello, questi divari, a parità di retribuzione in euro, causano delle pesanti differenze nelle retribuzioni reali (in termini di potere d’acquisto), ossia delle vere “gabbie salariali”. Questa nota stima che nelle aree metropolitane il costo della vita superi quello dei piccoli comuni in media dell’11%. All’interno della stessa macroregione (Nord, Centro e Sud) le differenze tra comuni della stessa tipologia sono contenute, mentre sono significative tra Nord e Sud: il costo della vita nei piccoli comuni lombardi supera del 43% quello dei piccoli comuni della Basilicata, mentre tra Milano e Napoli la differenza è del 50%. Tra i due estremi (area metropolitana lombarda e piccolo comune lucano) la differenza supera il 70%. Non sorprende allora che sia difficile trovare personale per il pubblico impiego in certe aree d’Italia: le retribuzioni reali sono molto diverse a seconda di dove si vive.

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Il tema della differenziazione delle retribuzioni per riflettere il diverso costo della vita tra le varie aree del Paese e tra città grandi e piccole riemerge periodicamente.[1] L’argomento principale contro queste proposte è che “a uguale lavoro occorre dare uguale retribuzione”. Tuttavia, al momento, nel settore pubblico, dove non esiste una negoziazione salariale di secondo livello e le retribuzioni sono le stesse in termini di euro, chi vive in aree dove il costo della vita è più alto riceve, di fatto, una retribuzione più bassa in termini di potere d’acquisto a parità di lavoro prestato, configurando delle “gabbie salariali”. La vera uguaglianza a parità di prestazione si avrebbe se la retribuzione fosse adeguata al costo della vita a livello locale.[2] Non sorprende, dunque, la scarsa partecipazione ai concorsi pubblici nelle regioni del Nord, dove il costo della vita è più elevato.[3]

Alla luce di questo dibattito, rivisitiamo la questione delle differenze nel livello del costo della vita tra le varie regioni del Paese e tra città di diversa dimensione.

Come misurare il diverso costo della vita

L’Istat pubblica dati sull’inflazione differenziati territorialmente, ma non fa la stessa cosa per il livello dei prezzi. Per stimare le differenze nel costo della vita si possono però considerare le informazioni Istat sulle soglie di povertà assoluta, che misurano la spesa necessaria per acquistare un paniere di beni e servizi considerati essenziali per mantenere uno stile di vita accettabile.

Tali soglie sono calcolate differenziando per età e numero dei componenti della famiglia, regione di residenza e dimensione del comune: area metropolitana, comune non area metropolitana ma sopra i 50.000 abitanti (nel seguito grandi comuni) e comune sotto i 50.000 abitanti (nel seguito piccoli comuni).

Il costo della vita nei comuni italiani

Per semplicità, ci focalizziamo su una famiglia di due componenti tra 30 e 59 anni (i risultati sono simili nel caso di una famiglia con figli). Nel 2023, il costo della vita nell’area più costosa d’Italia (un’area metropolitana lombarda, vale a dire Milano) superava del 70% quello dell’area meno costosa (un piccolo comune della Basilicata, Fig. 1).

In generale, emergono i ben noti divari nel costo della vita tra le diverse aree:

  • Le aree metropolitane sono in genere le più costose: in cima alla classifica compaiono infatti cinque aree metropolitane (in rosso nella Fig. 1). Il costo della vita nelle aree metropolitane eccede quello dei piccoli comuni in media dell’11%. La differenza è positiva in tutte le regioni (tranne la Liguria), sebbene l’intensità vari: in Lombardia, la soglia di povertà a Milano è maggiore del 19% rispetto a quella di un piccolo comune. Similmente, a Roma la soglia è del 20% più alta che nei piccoli comuni del Lazio. In Piemonte, Campania e Sicilia la differenza è invece inferiore al 5% (in Campania è del 2%, Fig. 2).

  • La differenza di costo della vita tra grandi e piccoli comuni è invece minima, intorno al 2%, tranne in Basilicata, dove supera il 15%.
  • All’interno della stessa macroregione (Nord, Centro e Sud) le differenze nel costo della vita tra comuni dello stesso tipo sono contenute, con poche eccezioni (Piemonte al Nord e Sardegna al Sud). Tra le aree metropolitane del Nord, tuttavia, le differenze sono rilevanti: il costo della vita a Milano supera dell’11% quello di Venezia e di oltre il 25% quello di Genova e Torino (serie rossa in Fig. 3).
  • Le differenze maggiori si osservano però tra le macroregioni. In un piccolo comune del Lazio il costo della vita supera quello di un piccolo comune della Basilicata del 28% (serie blu in Fig. 3). Tra regioni del Nord e del Sud il divario è enorme: in un piccolo comune lombardo, la vita costa il 43% in più che in un piccolo comune della Basilicata. Un discorso simile vale per i grandi comuni (serie gialla): in un grande comune del Lazio la vita costa il 15% in più che in uno della Basilicata, mentre tra uno lombardo e uno lucano la differenza sale al 28%. Infine, tra le aree metropolitane, il costo della vita a Milano è maggiore del 10% rispetto a quello di Roma e Firenze, mentre rispetto a Palermo e Napoli la differenza supera il 50%.

 


[1] Per esempio, lo scorso 23 settembre il Senato ha approvato un disegno di legge in materia di retribuzione dei lavoratori. Il testo prevede di “favorire il progressivo sviluppo della contrattazione di secondo livello”, cioè a livello territoriale e aziendale, allo scopo di far fronte alle differenze nel costo della vita (vedi ddl n. 957). Aveva anche fatto discutere, lo scorso anno, la proposta del ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara di adeguare lo stipendio dei docenti al costo della vita della regione (vedi link). Una proposta simile a quella di Valditara (contenuta in uno studio realizzato dal think-tank Tortuga e dal movimento Adesso!; vedi link) è stata di recente avanzata per contrastare il carovita a Milano. L’iniziativa prende spunto dal London Living Wage, il salario minimo londinese calcolato sulla base del costo della vita e applicato su base volontaria dalle imprese. In altri casi si è parlato invece di proposte di welfare territoriale, come affitti a prezzi calmierati.

[2] Occorrerebbe peraltro considerare che il tenore di vita dipende anche dalla disponibilità di servizi pubblici efficienti. Interventi per ridurre i divari nel costo della vita dovrebbero dunque tenere conto non solo dei prezzi locali, ma anche della disponibilità di tali servizi.

Un articolo di

Carlo Cottarelli, Enrico Franzetti

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