Welfare

Le proposte del ddl Bilancio in materia di sanità

03 novembre 2023

Intermedio

Le proposte del ddl Bilancio in materia di sanità

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La manovra finanziaria per il prossimo triennio, formalizzata dal disegno di legge di bilancio 2024, ha confermato la volontà del governo di stanziare per il fabbisogno sanitario nazionale standard 3 miliardi di euro per il 2024, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi per il 2026. Questi finanziamenti porteranno la spesa programmata a 136 miliardi il prossimo anno. Le proposte per l’impiego dei fondi puntano a contenere il problema delle liste d’attesa e si concentrano sul rinnovo dei contratti del comparto sanitario, su altre misure a sostegno del personale sanitario e sull’imposizione di un tetto massimo al settore farmaceutico.

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Dopo le polemiche seguite alla pubblicazione della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2023 (Nadef), che mostrava una riduzione in termini nominali della spesa sanitaria a legislazione vigente, il governo ha chiarito le sue intenzioni sul fronte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con l’approvazione del disegno di legge di bilancio per il 2024. La Presidente del Consiglio Meloni, nella conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri che ha approvato la bozza di ddl Bilancio ha dichiarato: “Sulla sanità ci sono 3 miliardi in più rispetto a quanto previsto e sono tutti destinati a una priorità: l’abbattimento delle liste d’attesa ed è una priorità che intendiamo perseguire con due misure: rinnovo del contratto comparto (2,3 miliardi di euro) e detassazione straordinari e dei premi risultato legati all’obiettivo per abbattere liste d’attesa”.

Il ddl prevede infatti un incremento del finanziamento del Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard (FSNS) di 3 miliardi di euro per il 2024, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi per il 2026. A queste risorse si aggiungono stanziamenti a favore della Regione Sicilia di 350 milioni di euro per il 2024 (che diventano 400 milioni di euro per il 2025, 450 milioni per il 2026, 500 milioni per il 2027, 550 milioni per il 2028, 600 milioni per il 2029 e 630 milioni a decorrere dal 2030) al fine di concorrere progressivamente all’onere derivante dall’innalzamento della quota di compartecipazione regionale alla spesa sanitaria dal 42,50 al 49,11 per cento (previsto dalla Legge Finanziaria 2007). Il rifinanziamento del FSNS e i fondi addizionali per la Sicilia si aggiungono a quelli già stanziati dalla Legge di Bilancio per il 2023, che prevedono 2,3 miliardi per il 2024 e 2,6 miliardi sia per il 2025 che per il 2026. Ci sono quindi 5,6 miliardi di risorse aggiuntive per il 2024 per il SSN: il fondo per il 2024 arriva a una cifra compresa tra i 134 e i 135 miliardi, mentre la spesa programmata si attesta a 136 miliardi.

L’evoluzione del Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard

Le risorse stanziate dal governo vanno a finanziare il FSNS. Come previsto dal D.Lgs. 68/2011, dall’anno 2013 il FSNS rappresenta l’ammontare di risorse che il governo ritiene necessarie ad assicurare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) in condizioni di efficienza e appropriatezza. Il fabbisogno è oggi quantificato in sede di legge di bilancio ed è eventualmente integrato con altri fondi stanziati nel corso dell’anno.[1] L’evoluzione del finanziamento del SSN determinato in sede di legge di bilancio è presentata nella Fig. 1 a partire dal 2019, l’anno prima dell’inizio della pandemia, quando il FSNS valeva 114 miliardi di euro e il Ministro della Salute Roberto Speranza aveva appena ottenuto 2 miliardi di euro per il 2020. La pandemia ha richiesto consistenti integrazioni al fabbisogno, che hanno fatto lievitare il FSNS a 120 miliardi nel 2020. Negli anni successivi il fondo ha continuato a crescere arrivando nel 2023 a circa 129 miliardi di euro. Con le integrazioni del governo Meloni, per il 2024 si arriva a una cifra compresa tra i 134 e i 135 miliardi.

Le risorse per alimentare il FSNS provengono principalmente dal bilancio dello Stato (in particolare, dalla compartecipazione regionale all’IVA) e dalla sempre più limitata fiscalità “regionale” (Irap, per la quota destinata alla sanità, e addizionale regionale Irpef).[2] Se si sommano al FSNS le entrate degli enti del SSN (ticket e quota parte dei ricavi dell’attività dei dipendenti in intramoenia) si arriva al finanziamento effettivo del SSN.

Una volta definite le cifre, il Ministero della Salute stabilisce il piano di riparto del finanziamento indistinto (destinato all’erogazione dei LEA), vincolato (destinato a obiettivi prioritari e specifici) e di altri finanziamenti collegati ai Fabbisogni Sanitari Regionali Standard (FSRS) delle Regioni a statuto ordinario, a statuto speciale e delle province autonome.[3] L’importo totale da ripartire alle Regioni segue il criterio della cd. quota capitaria, corretta per gli indici di bisogno sanitario per classi di età (che, dal 2023, non considerano solo l’età anagrafica della popolazione, ma per una piccola parte tengono conto anche del tasso di mortalità e dell’indice di deprivazione socioeconomica – povertà, bassa scolarità e disoccupazione).

La Nadef, l’evoluzione della spesa sanitaria e le scelte del ddl Bilancio

Il finanziamento del FSNS e la spesa sanitaria sono due concetti collegati ma da tenere ben distinti. Dopo che lo Stato ha provveduto a identificare il fabbisogno sanitario, sono infatti principalmente le amministrazioni regionali a erogare e quindi determinare la spesa sanitaria corrente coperta dal FSNS. Esistono due definizioni di spesa sanitaria pubblica: la spesa sanitaria di contabilità nazionale (CN) e di conto economico (CE). La differenza tra le due componenti di spesa risiede nel fatto che la spesa sanitaria pubblica corrente di CN contabilizza i costi per l’erogazione dei servizi sanitari dagli enti della Pubblica Amministrazione, incluse le amministrazioni centrali; la spesa di CE, invece, include solo gli enti del SSN.[4]

La Fig. 2 illustra l’evoluzione del FSNS, della spesa sanitaria tendenziale e della spesa sanitaria programmata in termini nominali. Come si nota dalla figura, l’intervento del governo con la legge di bilancio ha evitato lo scalino al ribasso previsto nella spesa a legislazione vigente. Per il 2024, assumendo un incremento di spesa pari al finanziamento, la spesa programmata arriverebbe a 136 miliardi.[5]

Quali sono le categorie di spesa per le quali si prevedono misure esplicite nella bozza di ddl Bilancio? Il ministro Schillaci ha specificato, in audizione presso la Commissione Affari sociali del Senato, che 2,4 dei 3 miliardi aggiuntivi previsti per il 2024 sono destinati al rinnovo dei contratti 2022-2024 della dirigenza medica e sanitaria e del comparto sanitario. La bozza del ddl Bilancio destina poi risorse a capitoli specifici di spesa: 280 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 per incrementare le tariffe orarie per le prestazioni aggiuntive del personale medico e del personale del comparto sanità; 50 milioni di euro per il 2024 e 200 milioni dal 2025 per i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza; in materia di sanità territoriale, 250 milioni di euro nel 2025 e 350 milioni dal 2026 per “supportare l’implementazione degli standard organizzativi, quantitativi, qualitativi e tecnologici ulteriori rispetto a quelli previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”. Per il perseguimento di obiettivi sanitari di carattere prioritario e di rilievo nazionale (per esempio, la tutela della salute materno-infantile, della salute mentale, della salute degli anziani; la prevenzione, in particolare delle malattie ereditarie) il Governo ha anche definito un ammontare di risorse pari a 240 milioni di euro per il 2025 e 310 milioni dal 2026.

Il problema delle liste d’attesa

La pressione per incrementare i fondi per la sanità nasce dagli strascichi della pandemia, che ha comportato in tutte le regioni (seppur con intensità differenziata) il rinvio di molte prestazioni. Questo ha causato un allungamento delle liste d’attesa che, combinato con la mancanza di personale, soprattutto in alcuni dipartimenti (per esempio, l’emergenza-urgenza), crea un problema di accessibilità alle prestazioni offerte dalla sanità pubblica. Lasciamo a una prossima nota il tema del personale e concentriamo qui l’attenzione su qualche prima riflessione sul tema delle liste d’attesa.

Un’indagine conoscitiva sulle forme integrative di previdenza e di assistenza sanitaria nel quadro dell’efficacia complessiva dei sistemi di welfare e di tutela della salute, proposta dalla Commissione Affari sociali del Senato (basata su dati Istat) di maggio 2023 segnala un incremento sensibile della quota di cittadini che, pur avendo condizioni economiche adeguate, ha rinunciato alle cure sanitarie negli ultimi 12 mesi tra il 2019 e il 2022. Questa percentuale è passata dal 3 per cento al 4,7 per cento a livello nazionale.[6] L’incremento si colloca in un quadro in cui permangono diseguaglianze sociali nell’accesso alle prestazioni sanitarie: nel 2019 il 12,4 per cento dei cittadini con risorse economiche scarse ha rinunciato a visite specialistiche contro il 3 per cento di chi godeva di risorse economiche adeguate; nel 2022 il divario si è ridotto ma non azzerato (11,6 contro 4,7 per cento rispettivamente).

I primi soggetti colpiti dall’attesa sono i pazienti affetti da multi-morbilità, cioè quelli con almeno due patologie (Fig. 4). Pur in condizioni socioeconomiche adeguate, nel 2022 il 10 per cento dei pazienti in questa condizione ha rinunciato alle prestazioni sanitarie, contro il 5,5 per cento nel 2019. Dall’altro lato, in situazioni di grave difficoltà socioeconomiche, il 20 per cento dei pazienti ha rinunciato alle cure nel 2022, uno -0,6 per cento rispetto al 2019.

Tra le alternative alle lunghe attese imposte dalla sanità pubblica vi è l’acquisto delle prestazioni sanitarie con fondi privati (eventualmente intermediate tramite una copertura assicurativa privata).[7] Questi acquisti compongono la spesa sanitaria privata delle famiglie, che sommata alla spesa sanitaria pubblica determina la spesa sanitaria complessiva.[8]

La Fig. 5 mostra l’evoluzione della spesa corrente per assistenza sanitaria per regime di finanziamento, pubblico, privato out-of-pocket e privato intermediato. La figura mostra chiaramente come la quota principale è rappresentata dal finanziamento pubblico (circa i tre quarti). La quota di spesa privata è principalmente spesa diretta out-of-pocket delle famiglie, mentre marginale è la quota intermediata. La quota di spesa sanitaria privata diretta sulla spesa complessiva, pur con qualche oscillazione, è rimasta sostanzialmente stabile in questo ultimo decennio e si è anzi ridotta negli anni post-Covid per l’incremento del finanziamento pubblico. Nel 2021 questa categoria di spesa ha superato i 36,5 miliardi di euro contro i 31,5 miliardi nel 2012.

In risposta ai problemi delle liste d’attesa, il governo Meloni ha previsto ulteriori 520 milioni di euro (compresi nell’aumento del FSNS) per l’abbattimento delle liste d’attesa.[9] Per le strutture convenzionate sono stati previsti 360 milioni di euro per un innalzamento del tetto di spesa, in modo da garantire alle Regioni la possibilità di pagare più prestazioni ai privati convenzionati. In questo ambito, la legge specifica un incremento della spesa consuntivata nel 2011 dell’1 per cento nel 2024, 3 per cento nel 2025 e 4 per cento dal 2026.

Tuttavia, come hanno dimostrato recenti verifiche della Corte dei conti, stanziare risorse specifiche per il recupero delle prestazioni e l’accorciamento delle liste d’attesa (una politica già sperimentata nel recente passato post-Covid) non è di per sé sufficiente. Un punto di partenza che appare ineludibile sarebbe una più precisa definizione e conoscenza del fenomeno, per il quale non esistono statistiche adeguate e validate.


[1] L’importo determinato a titolo di FSNS e destinato alle Regioni considera i singoli livelli LEA da finanziare, date le tre macroaree: prevenzione collettiva e sanità pubblica (secondo il D.lgs. n. 68/2011 pari al 5 per cento di risorse da destinare); assistenza distrettuale (51 per cento); assistenza ospedaliera (44 per cento).

[2] Per un ulteriore approfondimento si veda la nostra precedente nota: “Autonomia differenziata senza autonomia fiscale?”, 19 gennaio 2023.

[3] Il riparto viene proposto dal Ministero della Salute e approvato con un’intesa della Conferenza Stato-Regioni, ulteriormente recepito poi con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE).

[4] La spesa di CN è quella utilizzata per i confronti internazionali. Per un ulteriore approfondimento si veda la nostra precedente nota: “L’evoluzione della spesa sanitaria italiana”, 5 gennaio 2023.

[5] È a questo numero che probabilmente si riferiva la Presidente Meloni nella sua conferenza stampa.

[6] La rinuncia a prestazioni sanitarie (tra gli indicatori BES – Benessere Equo e Sostenibile) è calcolata come percentuale di persone che, negli ultimi 12 mesi, hanno dichiarato di aver rinunciato a una o più visite specialistiche o esami diagnostici a causa dei seguenti motivi: incapacità di pagare, costo troppo elevato, struttura lontana, mancanza di trasporti, orari non adeguati alle proprie necessità, liste d’attesa lunghe (e, dal 2020, problemi legati all’emergenza sanitaria).

[7] Si fa spesso confusione tra produzione e finanziamento privato. Il SSN si avvale di produttori privati convenzionati e, anzi, il ddl Bilancio, tramite l’incremento dei tetti di spesa, punta ad aumentare la produzione privata nell’ambito del SSN. Il finanziamento privato ha invece a che fare con l’acquisto da parte dei cittadini di servizi sanitari, sia direttamente da produttori privati, sia da produttori pubblici nel caso di medici operanti in regime di intramoenia.

[8] Per un ulteriore approfondimento si veda: “Indagine conoscitiva sulle forme integrative di previdenza e di assistenza sanitaria nel quadro dell’efficacia complessiva dei sistemi di welfare e di tutela della salute”, Istat, 5 maggio 2023.

[9] La bozza della legge di bilancio non riporta comunque la cifra specifica, che deriva in realtà da una dichiarazione del ministro Schillaci in Senato. Il disegno di legge, infatti, menziona solo la possibilità per le regioni e le province autonome di utilizzare per l’abbattimento delle liste d’attesa “una quota non superiore allo 0,4 per cento del livello di finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario nazionale standard per l’anno 2024” (art. 45)

Un articolo di

Rossana Arcano, Gilberto Turati

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