PNRR

La riforma del sistema di reclutamento dei docenti

01 luglio 2022

Intermedio

La riforma del sistema di reclutamento dei docenti

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Il decreto “PNRR-2” contiene la riforma del sistema di reclutamento dei docenti, che da un lato modifica le procedure del concorso pubblico e dall’altro l’aggiornamento dei requisiti necessari per la formazione che il corpo docente deve intraprendere prima di entrare in ruolo (cd. formazione iniziale) e dopo aver ricevuto la cattedra (cd. formazione continua). Grazie all’introduzione di requisiti più stringenti per la formazione iniziale e all’obbligatorietà della formazione continua, la riforma avvicina l’Italia ai meccanismi di formazione più diffusi negli altri paesi europei. Tuttavia, la riforma potrebbe non garantire sufficienti incentivi per attrarre nuove professionalità: la mancata definizione di un vero e proprio sistema di carriera interno al mondo della scuola connesso ai percorsi di formazione continua potrebbe rappresentare un limite al processo di rinnovamento della didattica della scuola dell’obbligo.

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Tra i 45 traguardi e obiettivi del PNRR del primo semestre del 2022, vi era anche l’approvazione parlamentare della “Riforma del sistema di reclutamento dei docenti” che modifica il processo di immissione in ruolo degli insegnanti e istituisce nuovi strumenti per la loro formazione iniziale e continua. La riforma contenuta nel decreto PNRR-2 del 30 aprile, convertito in legge il 29 giugno, sarà probabilmente considerata dall’Unione Europea in linea con i vincoli, piuttosto generici, previsti dal PNRR. La riforma – secondo l’accordo tra Unione Europea e dal Governo - deve prevedere:

  1. la revisione delle procedure del concorso pubblico, organizzato su base regolare e mirato a verificare le capacità di insegnamento del candidato;
  2. l’introduzione di un’elevata specializzazione all’insegnamento per accedere alla professione nella scuola secondaria di secondo grado, rafforzando la formazione pedagogica del docente nei requisiti di accesso;
  3. la definizione di un sistema di sviluppo professionale del docente collegato alla valutazione delle prestazioni degli insegnanti e ai risultati ottenuti dalla formazione professionale continua;
  4. la limitazione della mobilità degli insegnanti nell’interesse della continuità educativo-didattica dell’insegnamento.[1]

Il reclutamento dei docenti

Prima della riforma, le immissioni in ruolo dei docenti erano regolate da un decreto legislativo del 1994 (d.lgs. 297/1994, art.399) che prevedeva due modalità di assegnazione dei posti di ruolo: metà mediante concorsi per titoli ed esami e la restante metà attingendo dalle graduatorie ad esaurimento (GAE)[2].

La crisi pandemica ha comportato la necessità di modificare le procedure di reclutamento: la Ragioneria Generale dello Stato prevedeva, per l’anno scolastico 2021/22, 112mila posti vacanti da coprire, mentre gli iscritti nelle GAE ammontavano a 53mila docenti.[3] Il decreto “Sostegni-bis” (approvato nel luglio 2021) aveva istituito una procedura transitoria per consentire la copertura dei posti vacanti tramite l’assunzione a tempo determinato dei docenti inclusi nella graduatoria per le supplenze, con un’opzione per la regolarizzazione definitiva alla fine dell’incarico annuale.

La riforma ora approvata prevede ora per l’immissione in ruolo il ritorno della prova scritta con quesiti a risposta aperta che valuterà non solo le competenze del candidato sulla disciplina della classe di concorso, ma anche le tecniche della didattica generale, le conoscenze in ambito informatico e di lingua inglese.[4] Viene inoltre previsto che i concorsi ordinari siano banditi a frequenza annuale e non più ogni due anni. L’implementazione della riforma prevede l’assunzione di almeno 70.000 nuovi docenti entro la fine del 2024, uno dei target del PNRR.[5]

 

La formazione dei docenti

Un’altra importante componente della riforma riguarda la formazione dei docenti prima e dopo l’assegnazione dell’incarico. Riguardo la formazione iniziale viene previsto che, per partecipare ai concorsi, i candidati dovranno:

  • superare un percorso universitario abilitante di formazione corrispondente ad almeno 60 crediti formativi universitari (CFU) (di cui 10 CFU in area pedagogica), contro gli attuali 24, con l’obiettivo di formare competenze “disciplinari, pedagogiche, psicopedagogiche, didattiche e metodologiche, specie quelle dell’inclusione e della partecipazione degli studenti”.[6]
  • conseguire almeno 20 crediti formativi con un periodo di tirocinio diretto presso le scuole e uno indiretto (ogni credito di tirocinio richiede almeno 12 ore in presenza nelle classi);
  • superare una prova finale articolata in una verifica scritta e una lezione simulata.

L’incremento della durata della formazione professionale è stato accolto in maniera critica dai sindacati.[7] Tuttavia, nella maggioranza dei paesi UE in cui la durata della formazione professionale è regolamentata, il carico di lavoro corrisponde a 60 ECTS, mentre in Irlanda, Francia e Portogallo la formazione dura il doppio.[8] L’Italia, con i 24 ECTS prima della riforma, rappresentava uno degli stati membri con la durata più bassa del periodo di formazione. Inoltre, l’Italia detiene un tasso particolarmente basso di insegnanti il cui programma di formazione comprende contenuti pedagogici e pratica in classe. (Fig.1)

Riguardo la formazione dopo l’assunzione dell’incarico, la riforma introduce l’obbligo di formazione e aggiornamento permanete rivolto ai docenti di ogni ordine e grado, che sarà articolato in percorsi triennali a partire dall’anno scolastico 2023/24. I programmi di formazione permanente saranno decisi e coordinati dalla “Scuola di alta formazione del sistema nazionale pubblico di istruzione”, la cui creazione è un obiettivo del PNRR da raggiungere entro fine 2022. Specifiche attività dovranno far parte dei percorsi triennali per formare, tra cui:

  • le competenze digitali e l’uso critico e responsabile degli strumenti digitali;
  • attività di “tutoraggio, […] guida allo sviluppo delle potenzialità degli studenti, volte a favorire il raggiungimento di obiettivi scolastici specifici;
  • attività di sperimentazione di nuove modalità didattiche”.

Il punto debole della riforma è però che la partecipazione alla formazione sarà solo volontaria per i docenti già in ruolo. Inoltre, aspetti essenziali dell’attività di formazione (modalità di partecipazione alle attività formative dei percorsi, la loro durata e le eventuali ore aggiuntive retribuite richieste ai docenti) restano da definire, essendo demandati alla contrattazione con i sindacati.

Per incentivare la partecipazione alle attività di formazione è previsto un bonus una tantum, anche questo di importo da concordare con i sindacati (entro un minimo del 10 per cento e un massino del 20 per cento dello stipendio), il cui finanziamento sarà garantito dal Fondo per l’incentivo alla formazione, le cui risorse aumenteranno nel tempo per raggiungere, a regime, 387 milioni annui nel 2031. L’effettivo avanzamento nel percorso formativo sarà valutato con verifiche annuali nel corso del triennio (che terranno conto della capacità di incrementare il rendimento degli alunni, della condotta professionale e della promozione dell’inclusione e delle esperienze extra scolastiche), con una prova finale volta ad accertare il livello di formazione rispetto agli obiettivi fissati.

La continuità scolastica degli insegnanti e altre novità

Inoltre, vengono prese ulteriori azioni per favorire la continuità scolastica dei docenti: da un lato, viene stabilito che una volta superato il periodo di prova, il docente è tenuto ad esercitare la propria professione nella stessa scuola in cui ha svolto la fase formativa per un periodo non inferiore ai tre anni; inoltre, viene aggiunto come criterio di ripartizione “Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa” (FOM) la valorizzazione del personale docente che garantisca l’interesse dei propri alunni e studenti attraverso la continuità didattica. Lo stanziamento annuale per tale finalità sarà pari al 10 per cento della sezione del FOM per la valorizzazione dei docenti (300 milioni annui): per conoscere i criteri per l’attribuzione di tali risorse bisognerà però attendere la pubblicazione di un decreto del Ministero dell’Istruzione.[9]

Conclusioni

 La riforma ha vari aspetti positivi:

  • Porta la durata del processo di formazione iniziale verso quanto previsto dalla maggior parte dei paesi europei.
  • La previsione di un tirocinio obbligatorio a cui subordinare l’abilitazione degli insegnanti è sicuramente un passo avanti nel processo di selezione.
  • La continuità scolastica dei docenti all’interno degli istituti aiuta a garantire l’uguaglianza di opportunità per gli studenti più svantaggiati.[10]
  • L’obbligo di formazione continua per i nuovi docenti è fondamentale per garantire un continuo aggiornamento del corpo docente. Prima della riforma, i docenti avevano ora solo il diritto (non il dovere) di utilizzare fino a 5 giorni per l’aggiornamento delle proprie competenze. Concepire la formazione continua come un obbligo avvicinerà l’Italia alla maggioranza dei paesi europei: lo sviluppo professionale continuo è obbligatorio per tutti gli insegnanti di scuola secondaria inferiore nella maggior parte degli stati membri dell’Unione.[11]

Ci sono però anche aspetti negativi:

  • aver limitato solo ai nuovi docenti l’obbligo di formazione, comporta che l’adeguamento alla best practice europea sarà molto lento. La corresponsione di un compenso una tantum ai docenti che completano i cicli di formazione triennale potrebbe non essere un incentivo adeguato a intraprendere l’attività di formazione;
  • la riforma non prevede l’istituzione di un sistema di carriera interna al mondo della scuola che tenga conto della formazione ricevuta e del merito nella conduzione dell’attività di insegnamento.[12]
 

[2] Nelle graduatorie a esaurimento (GAE) – strutturate su base provinciale e aggiornate ogni tre anni - sono iscritti i docenti in possesso di abilitazione all'insegnamento. Esse sono strutturate in tre distinte fasce: nella prima fascia sono inseriti i docenti che all’atto della costituzione delle graduatorie risultavano iscritti per soli titoli (cosiddetto doppio canale); nella seconda fascia sono inseriti i docenti che all’atto della costituzione delle graduatorie avevano maturato 360 giorni di insegnamento; nella terza fascia sono iscritti coloro che nel corso degli anni hanno conseguito l’abilitazione all’insegnamento.

[4] Il decreto-legge prevedeva in origine la possibilità di sostenere i concorsi pubblici tramite una “prova strutturata” fino al 31 dicembre 2024: tale opzione è stata però rimossa nella conversione in legge.

[5] Questo non comporta l’espansione del corpo docenti, già piuttosto ampio, dato che i nuovi assunti rimpiazzerebbero docenti che vanno in pensione o docenti attualmente precari.

[6] “Il percorso formativo per insegnare nella scuola secondaria di I e II grado prevede, oltre al conseguimento di titolo di secondo livello presso un’università o un istituto AFAM, l’acquisizione di competenze specifiche in discipline antropo - psico - pedagogiche ed in metodologie e tecnologie didattiche per un totale di 24 CFU.”

[8] Gli ECTS sono l sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti e rappresentano il corrispettivo comunitario dei nostri CFU. I paesi che fissano questa soglia sono: Belgio (Comunità fiamminga, Estonia, Grecia, Spagna, Croazia, Lituania, Finlandia. Vedi: https://eurydice.indire.it/QUADERNO_EURYDICE_51_insegnanti.pdf)

[9] La legge di bilancio 2022 era già intervenuta in maniera simile, istituendo una sezione da 3 milioni di euro per garantire la continuità didattica nelle istituzioni scolastiche statali situate nelle piccole isole. Questi fondi sono stati ripartiti tra le istituzioni scolastiche che hanno plessi nelle piccole isole, in proporzione al numero degli studenti iscritti.

[10] L’uguaglianza delle opportunità educative è una branca dell’economia della disuguaglianza che si preoccupa di misurare le potenziali opportunità di accesso educativo distinguendo tra variabili di opportunità, che rendono lo studente non responsabile per la sua condizione sociale, e di responsabilità, che considera tutti i fattori sotto il controllo dello studente, come l’impegno personale. Per una disamina approfondita si rimanda al saggio di A. Gentili e G. Pignataro (2021) “Disuguaglianze e istruzione in Italia”

[12] Il presidente della fondazione Agnelli, A. Gavosto, ha affermato in un editoriale su Repubblica del 17 giugno 2022 che la mancanza di una articolazione della carriera è  il principale difetto della riforma (vedi: https://www.fondazioneagnelli.it/wp-content/uploads/2022/06/La-Repubblica-17-06-2022-scaled.jpg). Le stesse posizioni sono riportate, in maniera più estesa, nel seguente seminario on-line: https://youtu.be/1PQbLYiGJEo (dal minuto 24 circa)

Un articolo di

Luca Brugnara

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