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La parità di genere in Italia: che progressi sono stati fatti?

22 febbraio 2024

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La parità di genere in Italia: che progressi sono stati fatti?

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Il “Bilancio di Genere” per l’anno 2022 pubblicato di recente dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, oltre a fornire un resoconto delle riforme e spese pubbliche mirate a ridurre tali disparità, include numerose statistiche che tracciano l’evoluzione delle disparità di genere nel Paese. Uno dei principali indicatori utilizzato (il cd. Gender Equality Index) indica che tra il 2010 e il 2021 l’Italia ha registrato uno dei maggiori progressi in Europa (+14,9 punti). Tuttavia, restiamo sotto la media europea e il miglioramento osservato non ha riguardato gli aspetti economici della disparità, né in termini di occupazione (dove nel 2021 eravamo ultimi nell’Unione europea), né in termini di reddito.

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La recente pubblicazione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze del cosiddetto “Bilancio di Genere” consente di fare il punto sui progressi fatti in Italia nella riduzione delle disparità di genere.[1] Infatti, il documento, oltre a contenere il “bilancio” vero e proprio (che evidenzia le spese pubbliche che tendono a ridurre la disparità, come le spese per gli asili nido) include vari indicatori sugli andamenti nella disparità di genere. Tra questi è particolarmente utile l’Indice di Disparità di Genere (cd. Gender Equality Index), un indice introdotto dal 2013 dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere. L’indice considera sei domini (lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute), ciascuno dei quali è composto da due/tre sottodomini descritti da 31 indicatori. A ogni dominio e sottodominio è associato un punteggio, da 1 e 100, al crescere del quale migliora la situazione in termini parità di genere. I cambiamenti relativi alla parità di genere sono lenti, come per altri fenomeni sociali.

È quindi utile confrontare i dati per intervalli temporali significativi. Tra il 2010 e il 2021 l’Italia è il Paese europeo che ha conseguito i maggiori progressi con un aumento dell’indice di 14,9 punti, seppur restando al di sotto della media europea (68,2 punti contro i 70,2; Fig. 1), e con un miglioramento in graduatoria di 7 posizioni (Fig. 2).

In campo economico (i due domini “lavoro” e “denaro”) il miglioramento è però limitato in termini assoluti e nullo rispetto agli altri Paesi. Vediamo gli andamenti più da vicino.

Il dominio “lavoro” include vari indicatori (tasso d’occupazione femminile e relativo divario con quello maschile, durata della carriera lavorativa femminile, tasso d’occupazione in attività di istruzione, sanità umana e assistenza sociale e prospettive di carriera delle donne). Dal 2010, l'indice italiano è migliorato meno della media UE (3,7 punti contro 4,1 punti). Nel 2010 eravamo al penultimo posto nell’Unione mentre nel 2022 siamo caduti all’ultimo posto. Tra i principali fattori dietro questo deludente risultato è il basso tasso d’occupazione femminile (indicatore che vale un quarto di questo dominio). Tra il 2010 e il 2022 (per questo indicatore anche quest’ultimo anno è disponibile), il tasso di occupazione è aumentato dal 46 al 51 per cento, restando ben lontano dalla media europea (65 per cento; Fig. 3). Anche in termini di divario rispetto all’occupazione maschile il progresso è stato limitato. Tuttavia, nel 2023, c’è stato un ulteriore miglioramento in termini occupazionali, sia maschile che femminile, che ha portato il tasso delle donne occupate al 52,2 per cento, valore più alto mai registrato in Italia.

Nessun miglioramento neppure per la dimensione “denaro”, che per metà riflette il divario retributivo di genere e, per il resto, il rischio di povertà femminile e la disuguaglianza nella distribuzione del reddito per genere, anche se restiamo posizionati (nel 2010 e nel 2021), più o meno a metà classifica. Il divario retributivo netto mediano annuo in Italia si è ridotto da 1.100 euro nel 2010 a 800 euro nel 2021, raggiungendo la media UE (Fig.4). Questo miglioramento, purtroppo, è stato compensato dalla minore riduzione nel tasso di povertà femminile rispetto agli altri Paesi dell’Unione (-2 per cento in Italia contro una media UE del -3 per cento).

Il miglioramento relativo è deludente anche per il dominio “tempo”, relativo alla conciliazione tra vita privata e professionale, la cui variabile più rilevante è la disponibilità di posti negli asili nido (bambini di 0-2 anni) e la loro distribuzione uniforme sul territorio. Recuperiamo solo due posizioni (dal quindicesimo al tredicesimo posto; Fig. 2). Fra l’altro parte dell’aumento della copertura di asili nido (dal 24 per cento nel 2010 al 28 per cento nel 2021; Fig. 5) è dovuto al calo demografico e non all’aumento dei posti disponibili.

Le cose sono andate meglio negli altri domini. L’indice della “conoscenza” è migliorato di 3,2 punti più della media UE, permettendo all’Italia di salire dal ventesimo al quattordicesimo posto in UE (Fig. 2). Tra le componenti di questo indice, il tasso di laureate nella popolazione dai 25 ai 34 anni è stato in costante aumento (+11 per cento, sopra la media UE del +9 per cento) dal 2010 al 2021, raggiungendo il 34,4 per cento (anche se rimane nettamente inferiore al tasso di laureate nell’Unione europea pari al 47 per cento; Fig. 6). Il tasso di laureate donne sul totale dei laureati in materie STEM in Italia è lentamente sceso nel corso negli anni (-0,4 per cento), ma meno rispetto alla media UE del -0,8 per cento), restando peraltro nel 2021, ben sopra la media UE (39 per cento versus 33 per cento rispettivamente; Fig. 7).

Il miglioramento in classifica più forte si ha per il “potere decisionale”, che riguarda la partecipazione nelle istituzioni politiche e nei Consigli d’amministrazione delle principali società da parte delle donne: scaliamo 10 posizioni arrivando al dodicesimo posto per un aumento dell’indice dal 2010 di 5,8 punti, contro gli 1,9 punti nella UE. Questo soprattutto per effetto della Legge sulle Quote Rosa, n. 120 del 2011. Da allora il numero delle donne nei Consigli di amministrazione è cresciuto a un ritmo superiore della media UE (nel 2021 il 43 per cento dei membri dei CdA delle più grandi società nazionali quotate erano donne rispetto al 32 per cento della media UE; Fig. 7). Tuttavia, sono ancora poche le donne che occupano le massime posizioni manageriali. Nel 2021 nelle più grandi società quotate in Italia non c’erano amministratrici delegate (mentre in UE le donne erano l’8,4 per cento) e le dirigenti erano il 14,1 per cento (21,1 per cento nell’UE). Miglioramenti ci sono stati anche per la rappresentanza politica: la presenza femminile tra i seggi assegnati all’Italia nel Parlamento europeo è aumentata dal 21 per cento del 2010 al 42 per cento del 2021 (Fig. 8), contro un miglioramento per la media UE dal 34 al 39 per cento. Nel Parlamento italiano le donne sono passate dal 20 per cento del 2010 all’attuale 33 per cento.

Un buon miglioramento è anche nel dominio “salute”, il cui indice dal 2010 è cresciuto maggiormente in Italia rispetto alla media UE (+2,9 e +1,8 punti rispettivamente), con un recupero di sei posizioni. Tra le variabili che influenzano questo indicatore (speranza di vita femminile, ricorso ai servizi ospedalieri, salute mentale, tossicodipendenze, percentuale di donne che praticano regolarmente attività fisica ecc.), la Fig. 10 illustra la situazione per i femminicidi (definiti da Eurostat come gli omicidi dolosi di donne commessi da partner, ex-partner o familiari della vittima) nel 2019. Questa variabile vale solo il 14 per cento del punteggio totale, ma è di grande rilevanza nell’odierno dibattito pubblico. In generale l’Italia presentava nel 2019 il sesto dato più basso tra i 19 Paesi UE che pubblicano il dato relativo ai femminicidi: 0,26 vittime ogni 100 mila abitanti (Fig. 10), un livello più elevato solo di quello di Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Grecia e Cipro e sotto la media di questi 19 Paesi UE (0,31). Inoltre, dal 2015 al 2019 la frequenza dei femminicidi si è ridotta in Italia più che nella media europea.


[1] Per maggiori informazioni si veda l’intero documento al link.

Un articolo di

Francesco Scinetti

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