L’Inflation Reduction Act (IRA), approvato nell’agosto scorso dal Presidente Biden, contiene un’ampia serie di misure volte principalmente a incentivare gli investimenti sulle energie rinnovabili. Alcune di queste misure presentano un carattere protezionistico, in sostanziale violazione delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il che ha provocato forti preoccupazioni in Europa. Quello che si teme è uno spiazzamento dell’industria europea a causa dei generosi incentivi erogati dall’IRA per stimolare il “Buy American”, inducendo anche alcune imprese europee a localizzarsi negli Stati Uniti. La reazione della Commissione europea non si è fatta attendere, ma non è facile trovare un accordo su come reagire fra paesi i cui interessi divergono sia per la diversa esposizione agli scambi con gli Stati Uniti sia per il diverso spazio fiscale di cui dispongono. La migliore opzione per l’Italia sarebbe un fondo europeo per la tutela della competitività delle imprese, ma questa alternativa ha scarse possibilità di essere considerata anche per via delle molte risorse ancora non spese del NGEU e del REPowerEU. Molto forte è la tentazione, specie in Germania e Francia, di allentare le regole sugli aiuti di Stato, consentendo ai paesi membri di rispondere agli aiuti di paesi terzi con aiuti di analoghe dimensioni, un’ipotesi che però metterebbe in crisi il mercato unico europeo. Gli Stati Uniti non hanno alcun interesse ad aprire un contenzioso commerciale con l’Europa, ma sembra improbabile che siano disposti a concedere all’Europa lo stesso status di Canada e Messico. La recente visita a Washington della Presidente della Commissione europea ha aperto uno spiraglio negoziale in quanto è stato espresso l’intento di coordinare i rispettivi programmi di incentivi mentre gli Stati Uniti si sono detti disponibili a utilizzare materie prime critiche estratte o processate in Europa.
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Il governo statunitense sceglie i sussidi per accelerare la transizione green
L’Inflation Reduction Act (IRA), approvato nell’agosto scorso dal Presidente degli Stati Uniti, contiene un’ampia serie di misure volte principalmente a incentivare gli investimenti sulle energie rinnovabili. Secondo alcune stime, già nel 2030 l’IRA potrebbe arrivare a ridurre le emissioni nette di gas serra degli Stati Uniti tra il 31 e il 44 per cento rispetto ai livelli del 2005.[1] Tale miglioramento risulta ancora più significativo se confrontato con quanto si prevede si otterrebbe a politiche invariate nello stesso arco temporale, ossia una riduzione del solo 10 per cento.
A differenza di quanto comunemente si crede, secondo le stime del Congressional Budget Office (CBO), l’Inflation Reduction Act ridurrà il deficit federale di 238 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni (Fig. 1).[2] Questo risultato deriva dal saldo di minori uscite o maggiori entrate per 737 miliardi e di maggiori spese o minori entrate per 499 miliardi. Una riduzione ancora maggiore del deficit dovrebbe aver luogo nel decennio successivo (2031-2042).
La riduzione del deficit prevista nell’IRA è dovuta in gran parte a maggiori imposte (457 miliardi di dollari): 222 miliardi deriverebbero dall’applicazione della tassa minima del 15 per cento sulle imprese – una misura concordata a livello internazionale – e 100 miliardi da un rifinanziamento dell’Internal Revenue Service per rafforzare i controlli e la riscossione. Un ulteriore contributo al miglioramento del bilancio pubblico, per ben 281 miliardi, deriverebbe da diverse disposizioni volte a ridurre la spesa per farmaci da parte del governo.[3]
Le principali voci che peggiorano il deficit riguardano i crediti d’imposta e gli incentivi concessi alle imprese e ai consumatori per un totale di circa 391 miliardi di dollari (Tav. 1). Tra questi, i più rilevanti (161 miliardi) sono i crediti d’imposta per l’energia pulita. Lo scopo è quello di incentivare il sistema produttivo a usare energie pulite per contrastare il cambiamento climatico.
I rischi per il mercato unico europeo
In Europa, le misure decise dal governo americano hanno provocato forti preoccupazioni a causa del contenuto protezionistico in alcune di esse. Il timore è che gli incentivi spiazzino l’industria europea a favore di quella americana, anche inducendo imprese europee a localizzarsi negli Stati Uniti.
Una misura chiaramente protezionistica si trova tra le condizioni da rispettare per accedere al “Credito per la produzione manifatturiera avanzata”, esplicitamente volto a incoraggiare la produzione di alcune componenti energetiche negli Stati Uniti. In questo caso, l’accesso al credito d’imposta è vincolato al luogo di produzione, che deve avvenire negli Stati Uniti, o alla nazionalità dell’azienda, che deve essere statunitense. Ulteriori condizioni protezionistiche sono presenti tra i requisiti all’accesso del “Credito per l’acquisto di veicoli elettrici, plug-in hybrid e a idrogeno”. In questo caso, è necessario che una certa percentuale dei minerali critici utilizzati nelle componenti delle batterie sia estratta o lavorata negli Stati Uniti o in un paese aderente all’Accordo di libero scambio (Canada e Messico), oppure riciclata in Nord America. Tale percentuale arriverà gradualmente fino all’80 percento nel 2026 per i minerali critici e toccherà il 100 per cento per le parti delle componenti della batteria. Il costo di quest’ultima misura, considerati solo i crediti d’imposta per l’acquisto di auto nuove, è stimato in circa 7,5 miliardi di dollari.[4]
Queste misure potrebbero essere oggetto di contestazione in sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Secondo l’Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative (Accordo SCM), le sovvenzioni adottate dagli stati membri si differenziano in tre classi distinte: vietate, passibili di azione legale e non passibili di azione legale. Nella categoria di quelle vietate rientrano quelle “sovvenzioni condizionate, singolarmente o nel quadro di altre condizioni generali, all’uso preferenziale di merci nazionali rispetto a prodotti importati”.[5] Tali caratteristiche si ritrovano nelle sovvenzioni tramite credito d’imposta sulla produzione, sugli investimenti e sull’acquisto di veicoli elettrici previste dall’IRA. In tal caso, solo se contestate espressamente da un altro paese, l’OMC dovrebbe richiederne la revoca. Riguardo alla seconda classe di sovvenzioni, ossia quelle passibili di azione legale, l’Accordo SCM prevede invece che un membro possa imporre dei dazi compensativi nel caso in cui riesca a dimostrare che la sovvenzione in questione reca danno alla propria industria nazionale.
Tuttavia va detto che gli europei sono restii ad accedere all’OMC per motivi strategici (per esempio, non indebolire la NATO a fronte dell’invasione russa dell’Ucraina), nonché a causa dei lunghissimi tempi dell’OMC per la risoluzione delle controversie e soprattutto perché gli Stati Uniti stanno proseguendo una politica volta a impedirne il corretto funzionamento. L’Organo d’appello dell’OMC, infatti, non è più in funzione perché gli Stati Uniti non nominano il proprio rappresentante dal 2019, e di conseguenza non può essere raggiunto il numero legale di membri per esprimere giudizi sulle controversie avanzate.[6]
Il fenomeno delle delocalizzazioni dall’Europa agli Stati Uniti ha già coinvolto alcune grandi multinazionali europee, soprattutto quelle che operano nella produzione di prodotti chimici, batterie e altri prodotti ad alta intensità energetica, attratte dagli incentivi per la produzione e l’energia verde predisposti da Washington. Secondo quanto riportato da varie fonti di stampa, Volkswagen ha annunciato espansioni negli Stati Uniti all’inizio del 2023 dirottando un investimento da 10 miliardi per la costruzione della seconda fabbrica di batterie, mentre Tesla starebbe sospendendo i propri piani per la produzione di celle per batterie in Germania cercando di qualificarsi per i crediti d’imposta previsti dall’IRA. Altri segnali di delocalizzazione provengono da ArcelorMittal, società con sede europea in Lussemburgo, che ha dichiarato di voler bloccare la produzione di due impianti tedeschi dopo aver registrato un rendimento migliore del previsto grazie all’investimento effettuato nel 2022 in un impianto texano.[7]
La risposta europea all’Inflation Reduction Act
Una riposta europea unitaria non è semplice da definire perché gli interessi dei diversi paesi sono molto divergenti per almeno due motivi fondamentali.
Il primo riguarda i diversi spazi fiscali a disposizione dei paesi europei. Se si osserva l’ammontare degli aiuti fiscali e dei programmi autorizzati dalla Commissione europea a partire da marzo 2022, l’Italia si è assicurata il terzo posto tra gli stati che hanno ottenuto le maggiori risorse (51 miliardi di euro su un totale di 672), rimanendo comunque ben distante da Francia e Germania, che hanno ottenuto rispettivamente 161 e 356 miliardi di euro (Fig. 2). È bensì vero che nel lungo termine l’IRA riduce il deficit, ma è difficile immaginare che un obiettivo simile sia perseguibile dai paesi europei.
Il secondo fattore di divergenza risiede nell’ammontare dell’export dei vari paesi verso gli Stati Uniti in alcuni dei settori che potrebbero potenzialmente risentire dei nuovi incentivi statunitensi. Nei settori considerati in Fig. 3 (componenti elettriche ed elettroniche, veicoli per il trasporto di persone e prodotti chimici), i quattro principali paesi europei hanno esportato circa 40 miliardi di euro nel 2021. Tuttavia, le quote di export sono molto diverse e guidate dalla Germania, che ne detiene il 71 per cento. Quote di export notevolmente minori si registrano invece per Italia e Francia, rispettivamente pari al 16 e all’8 per cento. Le ripercussioni sull’export delle nuove misure previste nell’IRA e l’eterogeneità delle quote complicano il dialogo tra i paesi europei.
Malgrado queste divergenze di interessi, la Commissione europea è riuscita ad articolare una posizione abbastanza coerente. Innanzitutto, come è stato assicurato dalla Presidente della Commissione, l’Europa risponderà in maniera coerente e calibrata al piano di aiuti americano, ma non è interesse di nessuna delle due parti avviare una corsa ai sussidi.[8] Stati Uniti ed Europa credono entrambi nella necessità di costruire un’alternativa comune al monopolio cinese istituendo un club delle materie prime critiche.
Sul piano normativo, una prima reazione europea all’Inflation Reduction Act ha portato alla presentazione da parte della Commissione, a gennaio 2023, della proposta del Green Deal Industrial Plan. Sulla scia delle precedenti iniziative europee e integrando gli sforzi dell’European Green Deal e del REPowerEU, il nuovo piano industriale green vuole migliorare la competitività dell’industria a zero emissioni e sostenere una più rapida transizione verso la neutralità climatica. Per raggiungere tali obiettivi sono stati individuati quattro pilastri da perseguire:
- un ambiente normativo prevedibile e semplificato;
- un’accelerazione dell’accesso ai finanziamenti;
- un miglioramento delle competenze;
- un proseguimento dello sviluppo della rete di accordi di libero scambio per catene di approvvigionamento resilienti.
Seguendo gli stessi principi, la Commissione europea ha annunciato che proporrà una serie di modifiche normative, tra cui il Net-Zero Industry Act, il Critical Raw Materials Act e la Electricity Market Design Reform. Lo scopo principale è di accelerare il processo e le capacità della produzione di una serie di prodotti net-zero, come le batterie, rendendo le procedure di autorizzazione e di finanziamento per i progetti strategici europei più rapide. A tal fine, la Commissione consulterà gli stati membri su una modifica del quadro temporaneo di crisi e transizione per gli aiuti di Stato e rivedrà il regolamento generale di esenzione per categoria alla luce del Green Deal, aumentando le soglie di notifica per il sostegno agli investimenti green. Ciò dovrebbe contribuire a snellire e semplificare ulteriormente l’approvazione dei progetti legati all’Important Project of Common European Interest (IPCEI), ossia progetti strategici di comune interesse europeo finanziati tramite aiuti di stato e con l’obiettivo di stimolarne il piano industriale.[9]
Durante la loro visita congiunta alla Casa Bianca il 7 febbraio, i Ministri dell’Economia di Germania e Francia, Robert Habeck e Bruno Le Maire, hanno cercato di convincere l’amministrazione americana a modificare le clausole di accesso ai crediti d’imposta. Al contempo, hanno espresso la volontà europea di evitare che la nuova iniziativa americana comprometta i rapporti commerciali con l’Europa. La richiesta, avanzata dalla Commissione europea finora con scarso successo, è che gli Stati Uniti estendano il principio del Buy American verso una prospettiva di più ampio respiro che lasci la possibilità ai prodotti europei di competere alla pari con quelli americani.
La necessità di predisporre maggiori risorse, garantendo l’accesso anche a quegli stati che non possono al momento vantare lo stesso spazio fiscale di Francia e Germania, ha portato alcuni paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, a proporre una riorganizzazione dei fondi già esistenti. Sono infatti ancora disponibili risorse del Recovery Fund e del REPowerEu, 250 miliardi di euro nel complesso, che se sommate a quelle della politica di coesione arrivano a circa 350 miliardi, potenzialmente orientabili a favore delle industrie europee in risposta ai copiosi sussidi statunitensi.
Formalmente è ancora sul tavolo negoziale la proposta di un nuovo fondo sovrano con la duplice finalità di evitare la frammentazione del mercato unico – anche a causa delle difficoltà per alcuni stati membri di erogare aiuti di stato – e di fornire una soluzione strutturale per aumentare le risorse disponibili per la ricerca a monte, l’innovazione e i progetti industriali strategici fondamentali per raggiungere le emissioni zero. Tale possibilità è stata accolta positivamente dal governo italiano, contrario all’ipotesi di allentare le regole sugli aiuti di stato, che rischierebbe di penalizzare l’Italia. Tuttavia, la proposta si scontra con l’opposizione di alcuni paesi, tra cui la Germania: in un’intervista del 9 febbraio al quotidiano Handelsblatt il Ministro delle Finanze Christian Lindner si è detto contrario a nuovi strumenti di finanziamento da parte dell’UE e di nuovi debiti comuni. In ogni caso, la discussione sull’implementazione di un nuovo fondo sovrano europeo non vedrà la luce prima della prossima estate.
Il 10 marzo si è tenuto un incontro tra il Presidente degli Stati Uniti e la Presidente della Commissione europea in cui si è espressa la volontà di intensificare la collaborazione tra USA ed Europa.[10] Come si legge nella Dichiarazione congiunta dei due Presidenti: “La Task Force UE-USA sull’Inflation Reduction Act ha approfondito in modo produttivo la nostra collaborazione su questi obiettivi comuni e ha compiuto passi concreti sulle sfide individuate per allineare i nostri approcci al rafforzamento e alla sicurezza delle catene di approvvigionamento, della produzione e dell’innovazione su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Saranno quindi avviati negoziati per un accordo mirato sui minerali critici con lo scopo di consentire a quelli estratti o lavorati nell’Unione europea di essere conteggiati ai fini dei requisiti contenuti nella Sezione 30D dell’IRA per il credito d’imposta per i veicoli puliti. Ulteriori segnali di collaborazione sono emersi circa la necessità di effettuare investimenti in comune per gettare le basi per un’industria pulita. In questa direzione, gli Stati Uniti e la Commissione europea hanno annunciato l’avvio del “Dialogo sugli incentivi sull’energia pulita” con l’obiettivo di coordinare i rispettivi programmi di incentivi e fare in modo che essi si rafforzino a vicenda.
Nel complesso, rimangono sostanzialmente intatte le clausole protezionistiche dell’IRA, ma l’Europa ottiene un mezzo successo diplomatico per via delle aperture di cui si è detto, specialmente in materia di minerali critici, e perché ha indotto l’amministrazione americana a ribadire l’impegno a collaborare con gli alleati europei.
[1] Si veda: “A Congressional Climate Breakthrough”, Rhodium Group, 28 luglio 2022.
[2] Si veda: “CBO Scores IRA with $238 Billion of Deficit Reduction”, Committee for a Responsible Federal Budget, 7 settembre 2022.
[3] Si veda: “Explaining the Prescription Drug Provisions in the Inflation Reduction Act”, Kaiser Family Foundation, 24 gennaio 2023.
[4] Questa cifra fa parte della voce “Crediti d’imposta per carburanti e veicoli puliti” che ha un costo complessivo di 36 miliardi. Si veda: “Inflaction Reduction Act Summary”, Bipartisan Policy Center.
[5] Si veda: “Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio”, Fedlex.
[6] Si veda: “The Inflation Reduction Act’s Climate Provisions Face Likely Incompatibility with WTO Rules”, Columbia Journal of Transnational Law, 20 febbraio 2023.
[7] Si veda: “High Natural-Gas Prices Push European Manufacturers to Shift to the U.S.”, The Wall Street Journal, 21 settembre 2022.
[8] Si veda: “Speech by President von der Leyen at the College of Europe in Bruges”, European Commission, 4 dicembre 2022.
[9] Si veda: “The Green Deal Industrial Plan: putting Europe’s net-zero industry in the lead”, European Commission, 1 febbraio 2023.
[10] Si veda: “Joint Statement by President Biden and President von der Leyen”, European Commission, 10 marzo 2023.