La conclusione dei contratti nel settore dei trasporti sembra essere particolarmente difficile, con conseguenti frequenti scioperi. Una possibile causa di questa difficoltà è la scarsità di risorse finanziarie per le aziende del settore, che limita la concessione di un adeguamento salariale più consistente. A sua volta questa scarsità riflette il mancato pieno adeguamento all’inflazione delle tariffe del trasporto pubblico. Tra il 2020 e il 2024, a fronte di un’inflazione cumulata del 18,5%, le tariffe del trasporto pubblico locale sono aumentate solo del 9,7%, mentre quelle ferroviarie regionali del 12,5%. La mancata revisione delle tariffe, pur evitando oneri per i cittadini, rischia così di compromettere la sostenibilità economica dei gestori del trasporto pubblico, a meno di ricadere sui lavoratori del settore.
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Il rinnovo del contratto nazionale del trasporto pubblico locale che interessa oltre 100 mila lavoratori, scaduto il 31 dicembre 2023, è una delle ragioni dei frequenti scioperi dell’ultimo periodo. I sindacati, tra cui CGIL, CISL, UIL e Cub Trasporti, chiedono, tra le altre cose, un aumento della dotazione annua del Fondo Nazionale dei Trasporti di 800 milioni per il 2025 (680 milioni in più rispetto ai 120 milioni previsti dalla manovra finanziaria per il 2025) per il rinnovo dei contratti per consentire un adeguamento delle retribuzioni al tasso di inflazione attuale e previsto.
La difficoltà a concludere i contratti potrebbe derivare anche dalla mancata revisione delle tariffe dei biglietti per il trasporto pubblico urbano e ferroviario, con il conseguente limitato aumento delle risorse disponibili alle aziende del settore.
Negli ultimi anni, i prezzi dei biglietti del trasporto pubblico locale e ferroviario in molte regioni e comuni italiani sono rimasti pressoché invariati nonostante l’aumento dei prezzi al consumo e all’ingrosso. Tra il 2020 e il 2024, l’aumento cumulato dei prezzi al consumo è stato del 18,5%. Nello stesso periodo, le tariffe dei mezzi pubblici locali sono cresciute in media del 9,7%,[1] mentre quelle del trasporto ferroviario regionale hanno avuto un incremento solo di poco superiore (12,5%).[2]
Gli aumenti tariffari non sono stati omogenei sul territorio nazionale. Tra i venti comuni più popolosi d’Italia, solo Genova, Padova e Brescia hanno adeguato le tariffe dei mezzi pubblici con un aumento almeno in linea con l’inflazione. Nove città, tra cui Roma, Palermo e Bologna, hanno mantenuto inalterati i prezzi rispetto ai livelli pre-pandemia (Tav. 1).
Per quanto riguarda i prezzi dei biglietti dei treni regionali, il quadro è solo leggermente migliore rispetto al trasporto pubblico locale.[3] Solo Umbria, Liguria e Marche hanno adeguato i prezzi dei biglietti con un aumento in linea con quello dei prezzi al consumo (Tav. 2). Tre regioni (Valle d’Aosta, Lazio e Sardegna) hanno mantenuto invariate le tariffe dei biglietti durante il periodo considerato. Le altre regioni si collocano in una zona intermedia, con incrementi tariffari moderati ma insufficienti a compensare pienamente l’aumento dei costi.
Il mancato pieno adeguamento delle tariffe all’inflazione potrebbe derivare dalla volontà dei decisori pubblici di non gravare eccessivamente sui cittadini.[4] Tuttavia, tale politica finisce ora per riversarsi sui lavoratori del settore, o, nel caso in cui le richieste sindacali venissero accettate, sui conti delle aziende di trasporti, in gran parte pubbliche.
[1] Abbiamo ottenuto questo aumento facendo la media aritmetica degli incrementi dei 20 comuni più popolosi d’Italia. La stessa procedura è stata seguita per le 19 regioni italiane.
[2] Per il trasporto pubblico locale, abbiamo raccolto i dati sulle tariffe dei biglietti per singola corsa ordinaria consultando le pagine ufficiali dei gestori. Per quanto riguarda i treni regionali, Trenitalia pubblica annualmente gli adeguamenti tariffari suddivisi per fasce chilometriche da cui abbiamo ottenuto i dati per 17 delle 20 regioni. Per la Lombardia, la fonte è stata Trenord, mentre per l’Emilia-Romagna abbiamo utilizzato i dati forniti da Tper. Per il Trentino-Alto Adige non sono disponibili i dati dei prezzi per fascia chilometrica del 2020.
[3] Purtroppo, questa analisi non può essere estesa all’Alta Velocità, il cui sistema tariffario è molto più complesso. Le tariffe dell’alta velocità non si basano esclusivamente sulla distanza percorsa come i treni regionali, ma, tengono conto di vari fattori, tra cui il momento della prenotazione, il giorno e l’orario del viaggio, il tasso di occupazione del treno e le promozioni applicabili.
[4] Le tariffe per il trasporto pubblico sono stabilite da decisori pubblici che variano in base alla regione o al comune. Per esempio: a Milano, l’Agenzia di Bacino per il trasporto pubblico locale, che copre l’area metropolitana di Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia, decide sulle tariffe del trasporto pubblico locale. Quest’agenzia è controllata principalmente dalla Regione Lombardia, dal Comune di Milano e dalla Città Metropolitana di Milano. A Roma, l’adeguamento delle tariffe coinvolge Atac (azienda pubblica del comune di Roma), Cotral (società della Regione Lazio che gestisce il trasporto extraurbano) e Trenitalia. Tuttavia, l’effettiva approvazione richiede una delibera della Regione Lazio. In Piemonte, la responsabilità è dell’Agenzia per la Mobilità Piemontese, un consorzio a partecipazione pubblica. In Lombardia, è direttamente la Regione Lombardia a occuparsi dell’adeguamento tariffario.