Pubblica amministrazione

I pagamenti della PA: miglioramenti notevoli, ma ancora forti ritardi in alcune amministrazioni

13 ottobre 2022

Intermedio

I pagamenti della PA: miglioramenti notevoli, ma ancora forti ritardi in alcune amministrazioni

Condividi su:

Negli ultimi anni vi è stato un notevole miglioramento nei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni. I dati disponibili sembrano indicare addirittura che i ritardi medi siano ormai allineati a quelli degli altri principali paesi. Tuttavia, vi sono molte situazioni, anche nelle amministrazioni centrali, in cui i tempi rimangono troppo lunghi e verosimilmente non sono ancora tali da soddisfare i criteri imposti dalla Direttiva Europea del 2011. Rimangono patologici i tempi di vari ministeri e di alcuni comuni. Nell’importante settore dei dispositivi medici vi sono stati grandi miglioramenti, ma specie nelle regioni del Centro-Sud i tempi sono superiori, in qualche caso di molto, a quelli disposti dalla Direttiva.  È inoltre probabile che molte amministrazioni preferiscano pagare prioritariamente le grandi imprese e successivamente le piccole imprese, nei confronti delle quali hanno più potere di mercato. 

***

La Direttiva UE 7/2011

Attualmente i pagamenti della PA sono regolati dalla Direttiva UE 7/2011, recepita nel nostro ordinamento giuridico con il decreto legislativo n. 192 del 2012, che prevede il pagamento delle fatture commerciali da parte della PA entro 30 giorni, con le seguenti eccezioni:

  1. per i pagamenti del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e per le PA che svolgono attività commerciali che sono soggette a obblighi di trasparenza, per le quali il termine previsto è di 60 giorni;
  2. in tutti i casi in cui una scadenza più lunga sia giustificata dalla natura della prestazione e accordata dalle parti, nel limite massimo di 60 giorni.[1]

A causa dei persistenti ritardi nei pagamenti della PA nel 2020 l’Italia è stata dichiarata inadempiente dalla Corte di Giustizia Europea.[2] Nonostante il trend dei ritardi sulle fatture correnti (ovvero, quelle ricevute e pagate in un determinato anno) sia in costante miglioramento, così come evidenziato dal MEF, permangono ancora numerosi ritardi evidenziati dall’indice di tempestività dei pagamenti, che misura il ritardo su tutti i pagamenti della PA nel periodo considerato, indipendentemente dal periodo di ricevimento delle fatture.[3]

I dati disponibili

Di recente la CGIA di Mestre ha lanciato un allarme relativo ai ritardi di pagamento dalla PA italiana.[4] Per analizzare questi ultimi si può far riferimento a diverse fonti di dati che forniscono informazioni in parte discordanti.

Due fonti consentono di effettuare confronti fra paesi europei:

  1. I dati Eurostat sui crediti commerciali.
  2. I dati dell’European Payment Report realizzato da Intrum, una società europea di gestione e recupero crediti.

Per analizzare i dati italiani, in particolare le variazioni nel tempo, vi sono tre fonti:

  1. I dati MEF che fanno riferimento alle sole fatture correnti, ossia emesse nel trimestre o anno a cui si riferisce l’analisi.
  2. L’indice di tempestività dei pagamenti (ITP), previsto dal D. lgs.vo n. 33 del 2013, pubblicato sul sito di ogni singola PA che misura il ritardo di tutti i pagamenti dell’amministrazione in un determinato anno o trimestre, indipendente dalla data di ricezione della fattura.
  3. I dati di Confindustria Dispositivi Medici (ex Assobiomedica) che si riferiscono ad un settore particolarmente importante del sistema sanitario e consentono di analizzare le differenze fra regioni.[5]  

Dall’insieme di questi dati emerge un miglioramento notevole negli ultimi anni (dal 2015), ma vi sono ancora molte amministrazioni che non riescono ancora a pagare nei tempi dettati dalla direttiva europea.

I confronti europei

In base ai dati Eurostat, lo stock di debiti commerciali della PA italiana è pari a 55 miliardi di euro (dato 2021) ed è il più alto dell’Unione Europea in percentuale al pil (3,1 per cento). Spagna, Francia e Germania si trovano fra lo 0,8 e 1,6 per cento (Fig. 1).

Va però osservato che lo stock di crediti commerciali riflette i ritardi, ma anche la dimensione dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Utilizzando i dati MEF sul 2021, lo stock di debito arrivato a scadenza e non pagato sarebbe solo di 8 miliardi circa.[6]

I dati di fonte Intrum sembrano dare ragione al MEF (Fig. 2).  L’ultimo rapporto (2022) ha analizzato un campione di circa 11 mila imprese e i risultati confermano i miglioramenti avvenuti negli ultimi anni. La PA italiana ha infatti più che dimezzato i tempi di pagamento da 144 giorni nel 2015 a 70 giorni nel 2022, con un minimo raggiunto nel 2020 (60 giorni).[7] I dati degli ultimi anni sono allineati con quelli degli altri principali paesi.  Da notare che se per Spagna e Italia vi è stato una diminuzione nel tempo medio di pagamento, lo stesso non è avvenuto in Germania e Francia, dove si è registrato perfino un aumento, probabilmente anche a causa delle difficoltà derivanti dalla pandemia da Covid-19.[8]

I dati italiani

I dati ufficiali per l’Italia hanno due fonti diverse e forniscono indicazioni in parte divergenti.

  1. Dati MEF. Come si è detto, il MEF pubblica i dati sulle sole fatture correnti, ossia quelle che sono state emesse nello stesso periodo (anno o trimestre) a cui si riferisce l’analisi. Così, ad esempio, i tempi di pagamento del 2021 sono calcolati per le fatture ricevute nel solo anno 2021. Questa metodologia ha senso perché il MEF si preoccupa di monitorare l’efficienza dei servizi informatici preposti al controllo sui tempi di pagamento. Ha l’ovvio inconveniente che per le imprese, e anche per la Commissione europea e per la Corte di giustizia, contano anche le fatture non pagate negli anni precedenti. In ogni caso, i dati MEF sono utili per vedere come si sono ridotti negli ultimi anni i tempi medi di pagamento (dalla data di emissione della fattura al pagamento) e i ritardi medi (dalla data di scadenza indicata in fattura al pagamento).  Secondo questi dati, nel 2020 e nel 2021 i pagamenti della PA sono addirittura avvenuti con un anticipo sulla data di scadenza delle fatture rispettivamente di 5 e 7 giorni (Fig. 3). Nel 2021 il tempo medio di pagamento è stato di 40 giorni, in calo rispetto ai 43 giorni del 2020 e ai 74 del 2015.[9] Anche la percentuale di fatture (emesse nell’anno) e pagate entro il termine è in costante crescita: si va dal 53 per cento del 2015 al 77 per cento del 2021 (Fig. 4).

  1. Indice di tempestività dei pagamenti. Come si è detto, per vedere i tempi effettivi di pagamento inclusivi dei pagamenti delle fatture emesse negli anni precedenti, si deve ricorrere all’ indice di tempestività dei pagamenti, che è rintracciabile sul sito di ogni amministrazione alla voce “amministrazione trasparente”. Con riferimento all’anno 2021, la Tav. 1 mette a confronto i dati di fonte MEF con l’indice di tempestività dei pagamenti. I due dati hanno lo stesso perimetro concettuale dal momento che si riferiscono ai ritardi dei pagamenti rispetto alle date di scadenza indicate nelle fatture.  La differenza, come già detto, è che l’ITP coglie anche i ritardi sulle fatture emesse e non pagate negli anni precedenti al 2021. Come si vede, per molti ministeri le differenze sono nulle o trascurabili: è questo il caso del Ministero degli Esteri, di quello del Lavoro, della Difesa, della Transizione Ecologica, delle Infrastrutture e dell’Istruzione. Vi sono però alcuni ministeri per i quali le differenze sono notevoli: per Agricoltura, Interni, Cultura, Mef e Mise le differenze sono di giorni 46, 43, 23, 23 e 22 rispettivamente. Nel caso del Ministero delle Giustizia il differenziale è negativo, il che indica verosimilmente che le fatture emesse alla fine del 2020 sono state pagate in tempi brevi nel 2021.  Oltre ai Ministeri, particolarmente grave è la situazione del Comune di Napoli, che ha un tempo medio di ritardo secondo il MEF di 92 giorni e secondo l’ITP di ben 228 giorni: si tratta di una eccezione negativa sia sui dati MEF che su quelli dell’ITP.  Come denunciato dalla CGIA, numerosi altri comuni (ad esempio, Lecce e Salerno) e alcune regioni (Abruzzo, Basilicata e Campania) hanno situazioni che non sono in linea con la Direttiva Europea.

Vi sono infine i dati di Confindustria Dispositivi Medici. Anch’essi mostrano un netto miglioramento nei pagamenti della PA. Il tempo medio impiegato da un’azienda per incassare il credito da una struttura sanitaria pubblica è infatti diminuito notevolmente passando dai 168 giorni del 2015 agli 84 dei primi 7 mesi del 2022 (Fig. 5). Tuttavia, i risultati di CDM mostrano che l’obiettivo dei 60 giorni è ancora ben lontano: infatti, questo limite è stato nel 2021 rispettato solo dalle regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Veneto e Lombardia, mentre tutte le altre regioni presentano ritardi nei pagamenti delle fatture alle imprese venditrici di dispositivi medici.  Questo ritardo è particolarmente presente nelle regioni del Sud Italia: la Calabria, in particolar modo, ha un ritardo quadruplo rispetto ai limiti previsti (245 giorni, Fig. 6).

A che punto siamo?

Negli ultimi anni vi è stato un notevole miglioramento nei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni. Sembrerebbe addirittura che i ritardi medi siano ormai allineati a quelli degli altri principali paesi. Tuttavia, vi sono molte situazioni, anche nelle amministrazioni centrali, in cui i tempi rimangono troppo lunghi e verosimilmente non sono ancora tali da soddisfare i criteri imposti dalla Direttiva Europea del 2011. Rimangono patologici i tempi di vari ministeri (in particolare Agricoltura, Interni e Cultura) e di alcuni comuni. Nell’importante settore dei dispositivi medici vi sono stati grandi miglioramenti, ma specie nelle regioni del Centro-Sud i tempi sono superiori, in qualche caso di molto, a quelli disposti alla Direttiva.  È inoltre del tutto probabile che prosegua la prassi evidenziata dalla Corte dei Conti sull’anno 2019 in base a dati analitici sulle fatture per classi di importo: molte amministrazioni preferiscono pagare prioritariamente importi maggiori (tipici di grandi imprese) e in seguito importi inferiori (più verosimili nelle piccole imprese, nei confronti delle quali hanno più potere di mercato).[10]  

 

[1] Per maggiori dettagli, vedere il decreto al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/11/15/012G0215/sg

[2] Per maggiori dettagli, vedere la sentenza al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62018CJ0122&from=IT. La Corte ammette che, nonostante vi sia stato un miglioramento negli anni recenti, il tempo medio di pagamento era stato di 41 giorni per le pubbliche amministrazioni non rientranti nel sistema sanitario nazionale e 67 giorni per quelle appartenenti a quest’ultimo.

[3] Ad esempio, i tempi di ritardo del 2021 presenti nel sito del MEF sono calcolati per le fatture ricevute e pagate nel solo anno 2021, mentre l’indicatore di tempestività dei pagamenti si riferisce a pagamenti di fatture ricevute sia nel 2021 sia in anni precedenti.

[4] Per maggiori dettagli, vedere il report della CGIA di Mestre, 1.10.2022.

[5] È l’associazione che riunisce le imprese che operano nel settore dei dispositivi medici. La differenza tra i risultati di Confindustria e del SSN deriva dal fatto che i primi, al contrario dei secondi, considerano esclusivamente le imprese associate venditrici di dispositivi medici.

[6] Il risultato è stato ottenuto sommando i vari importi del file Excel: “Debiti commerciali residui scaduti al 31.12.2021” dal sito del MEF.

[7] I dati raccolti da Intrum sono il risultato di un’indagine campionaria presso 11.000 imprese europee, condotta fra gennaio e aprile. I dati MEF e Intrum differiscono a causa delle diverse modalità di rilevazione e del diverso calcolo dei giorni di pagamento.

[8] In Germania, ad esempio, i ritardi sui pagamenti della PA rispetto al tempo richiesto per saldare il debito sono passati da 2 giorni nel 2019 a 24 giorni nel 2020.

[9] Il MEF riporta il tempo medio di pagamento ponderato, ovvero la media del numero di giorni impiegati per il pagamento pesato per l’ammontare di ogni singola fattura.

[10] Relazione sul rendiconto generale dello Stato 2019, Volume I, Tomo I, pag. 285.

Un articolo di

Francesco Bortolamai

Condividi su:

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?