Materie prime

Gli interventi contro i rincari energetici in Europa nel 2022

14 ottobre 2022

Intermedio

Gli interventi contro i rincari energetici in Europa nel 2022

Condividi su:

L’Italia è il paese che nel 2022 ha speso di più in percentuale al Pil (3,2 per cento del Pil). La differenza rispetto ad alcuni paesi (Francia, Spagna, Finlandia e Regno Unito) può esser spiegata dal fatto che i rincari sono stati meno rilevanti che in Italia. Tuttavia, ci sono paesi che hanno avuto rincari simili all’Italia che hanno speso molto meno (ad es. il Belgio). Otto paesi UE hanno speso meno dell’1 per cento del Pil. Queste differenze possono essere dovute all’elevato peso che ha in Italia l’industria manifatturiera, in gran parte energivora e “gasivora”, e forse a fattori politici, anche se va ricordato che gli interventi dell’Italia sono stati fatti tutti senza scostamenti di bilancio. Fra i maggiori paesi Europei, l’Italia è uno di quelli che ha fatto maggiormente ricorso a misure mirate alle famiglie più bisognose e alle imprese maggiormente colpite dai rincari.

La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 15 ottobre 2022.

* * *

Tutti i paesi europei hanno attuato iniziative per contenere l’impatto dei rincari energetici su famiglie e imprese. Questa nota riassume le spese sostenute dai maggiori paesi europei contro il rincaro energetico e l’incidenza di queste sul Pil.

Le risorse stanziate dai principali paesi europei

La Tav.1 quantifica le misure adottate per contenere gli effetti dei rincari nel corso del 2022.

Nel valutare queste cifre occorre considerare che esistono diverse metodologie di quantificazione e anche gli organismi internazionali offrono interpretazioni differenti.[2] Per questo studio, siamo partiti dalle stime di Bruegel per effettuare un’analisi più puntuale su un sottoinsieme di paesi, con una metodologia leggermente diversa da quella del noto think tank. Le nostre assunzioni sono le seguenti:

  1. Consideriamo solo le misure che hanno un impatto sul 2022. Qui sta la principale differenza con le stime Bruegel che includono le misure per il quarto trimestre 2021 e quelle già annunciate per il prossimo anno[3]. Il nostro lavoro si ferma al quarto trimestre 2022, anche se in vari casi i dati sono ancora parziali o in via di approvazione definitiva.
  2. Non vengono incluse nella Tav. 1 le quantificazioni degli interventi che sino ad oggi sono stati soltanto annunciati, ma non ancora deliberati e dei quali tipicamente non si conosce la scansione temporale. Tuttavia, tali misure vengono commentate separatamente in Appendice alla fine dei paragrafi di ciascun paese. In particolare, non sono inclusi nella tabella il piano da 200 miliardi di euro annunciato dalla Germania (che comunque dovrebbe avere effetti principalmente sul 2023 e il 2024) né quello annunciato dal Regno Unito (anch’esso con un orizzonte temporale che si estende fino al 2024). Riguardo al piano della Germania va detto che ammonta al 5,55 per cento del Pil tedesco in due anni, dunque il 2,7 per cento all’anno, una cifra comparabile agli interventi di altri paesi europei nel 2022.
  3. Le misure considerate fanno principalmente capo a quattro tipologie: interventi universali per l’abbattimento dei prezzi (taglio accise sui carburanti, sconti in bolletta), misure rivolte alle fasce più fragili (bonus erogati in base al reddito), misure a sostegno delle imprese (crediti di imposta o garanzie statali per favorire l’accesso al credito) e interventi diretti degli stati nell’industria energetica (rifinanziamenti e nazionalizzazioni). Per semplificare la lettura, gli interventi riportati in Appendice vengono divisi in: a) misure a sostegno del reddito e b) misure con un effetto diretto sul costo dell’energia e del gas per imprese e famiglie;
  4. Non vengono considerati gli stanziamenti totali di ogni intervento governativo, ma solo le misure singole che rientrano nelle tipologie indicate nel punto b). Questa è un’altra ragione di divergenza rispetto alle stime Bruegel che include anche misure diverse da quelle più strettamente legate ai rincari energetici.

Confrontando dunque le somme già previste, gli aiuti maggiori (rispetto al Pil 2021) sono stati erogati dall’Italia (3,2 per cento del Pil). Seguono Germania e Spagna (rispettivamente il 2,9 e il 2,6 per cento del Pil). Livelli più contenuti si registrano invece per Francia (2,1 per cento del Pil), Regno Unito (0,9 per cento del Pil) e Paesi Bassi (0,7 per cento del Pil). In Appendice riportiamo gli interventi governativi per paese nell’anno 2022 con le relative quantificazioni dove possibile.

Approcci differenti contro il rincaro energetico: la spesa

I dati della Tav.1 evidenziano differenti approcci agli interventi contro i rincari energetici. Tali approcci hanno quasi sempre lo stesso scopo finale, ossia la mitigazione degli effetti per le famiglie e le imprese, ma hanno conseguenze molto diversi sia sui conti pubblici sia sui bilanci di imprese e famiglie.

L’Italia è il paese che nel 2022 ha speso di più in percentuale al Pil. Questo dato è confermato anche dalle altre analisi disponibili, in particolare da quelle di Bruegel e della Commissione Europea. L‘eccezione è il Regno Unito che nell’analisi di Bruegel risulta spendere di più dell’Italia. La divergenza è dovuta al fatto che l’analisi del think tank belga include l’intero piano annunciato dal primo ministro Liz Truss per l’equivalente di 150 miliardi di euro; questo piano ha un orizzonte pluriennale e non è chiaro al momento se avrà un impatto anche sugli ultimi mesi del 2022. L’altra divergenza rilevante riguarda i Paesi Bassi che per Bruegel spende il 2,7 per cento del Pil. Anche in questo caso la loro analisi non considera solo le spese del 2022, ma anche quelle del 2021 e quelle prevedibili per il 2023.

Nonostante che Bruegel abbia un orizzonte temporale più lungo del nostro (in quanto – come si è detto- guarda sia alle misure del 2021 sia a quelle annunciate per gli anni prossimi), molti paesi spendono pochissimo nel confronto con l’Italia (3,3 per cento del Pil, secondo Bruegel). Sempre secondo il think tank, ben otto paesi hanno speso meno del 1 per cento del Pil: Slovenia, Belgio e Norvegia (0,8), Cipro (0,7) Estonia (0,5), Svezia (0,3), Finlandia e Irlanda (0,2).

Un fattore che potrebbe spiegare le differenze tra gli interventi dei singoli stati è l’andamento dei prezzi dell’energia elettrica e del gas nei singoli paesi. Per confrontare l'andamento dei prezzi nell'ultimo biennio al netto degli interventi statali sulle bollette dei consumatori finali, in Fig. 1, 2 e 3 vengono riportati gli incrementi percentuali dei prezzi all'ingrosso di energia elettrica e gas rispetto a un periodo base (gennaio 2021). Come si nota nelle Figure 1 e 2, i maggiori Paesi dell'UE presentano andamenti altamente correlati per il mercato wholesale dell’energia elettrica, con l’eccezione di Spagna, Finlandia e Regno Unito.

In Spagna, il prezzo del gas è aumentato molto meno che negli altri paesi europei (si veda Fig.3) per via della notevole diversificazione degli approvvigionamenti. Inoltre, la Spagna ha introdotto un tetto al prezzo del gas utilizzato per la produzione di energia, limitando di fatto anche il prezzo all'ingrosso. Per questa ragione, l'incremento massimo dell’energia elettrica è stato raggiunto a marzo scorso (+371 per cento) prima dell'introduzione del price cap e il successivo andamento non può essere considerato un dato significativo per la comparazione con il resto dei paesi in analisi.

Anche il Regno Unito presenta incrementi più contenuti sia per l’energia elettrica (323 per cento ad agosto scorso) che per il gas (503 per cento ad agosto) e ciò potrebbe giustificare il percorso seguito dal governo britannico finora.[4] Tuttavia, il governo guidato da Liz Truss si aspetta un forte incremento dei livelli dei prezzi energetici per l'inverno 2022-2023 e ha, quindi, approntato un piano paragonabile al maxi intervento tedesco.

La Finlandia ha avuto un incremento dei prezzi dell’energia elettrica più contenuto rispetto alla media europea (+410 per cento) (Fig. 2) grazie alla bassa dipendenza dal gas, che pure è aumentato più che negli altri paesi (+1400 per cento; si veda Fig. 3) e dalle fonti fossili in generale.[5]

Per l’energia elettrica l'Italia presenta incrementi analoghi a quelli di Germania, Paesi Bassi e Francia (+536 per cento registrato a settembre 2022). Per il gas, l’incremento dell’Italia (822 per cento) è uguale a quello dei Paesi Bassi e della Germania, che però sembra abbia contratti più favorevoli per il gas proveniente via pipeline dalla Federazione Russa, e superiore a quello della Francia (641 per cento), oltre che della Spagna e del Regno Unito.

Il Belgio presenta un incremento nei prezzi energetici di poco inferiore all’Italia (Fig. 2), ma, come si è visto,  la sua spesa per mitigare i rincari è stata  molto inferiore a quella dell’Italia (in percentuale del Pil).

Tra le altre ragioni che giustificano l’elevata spesa italiana c’è anche il fatto che in Italia è particolarmente importante l’industria manifatturiera, in buona parte energivora e “gasivora” e la mancanza di diversificazione energetica. Possono aver pesato anche fattori di natura politica: nella letteratura economica e politologica, vi è una certa evidenza che i governi di ampia coalizione tendono a spendere di più. Va peraltro ricordato che il governo Draghi ha fatto una gestione prudente della finanza pubblica in quanto nel corso del 2022 non ha mai fatto ricorso a scostamenti di bilancio.

Misure mirate e universali

Un altro punto di differenziazione tra i vari paesi riguarda gli interventi che possono essere mirati a specifiche fasce di popolazione (interventi targeted), oppure universali (untargeted).

Per ridurre il costo delle bollette energetiche sulle utenze domestiche, Italia e Regno Unito hanno scelto di erogare dei bonus alle sole famiglie più vulnerabili, commisurando il trasferimento in base al reddito. Germania e Francia hanno invece introdotto misure, come il price cap, che tagliano i costi indiscriminatamente per tutte le utenze domestiche e anche per le microimprese. Questo secondo approccio tende a non avere un impatto redistributivo in quanto non tiene conto delle differenti capacità di spesa dei beneficiari.  

Una misura introdotta in quasi tutti i paesi analizzati è lo sconto sui carburanti (Spagna e Francia) o il taglio delle accise e dell’IVA (Germania, Italia e Paesi Bassi). Tale intervento è untargeted, ossia universale: di esso beneficiano maggiormente le fasce di reddito più alte che utilizzano più frequentemente mezzi di trasporto privati. Altre misure untargeted sono le indennità per studenti e pensionati (Germania), la rivalutazione delle pensioni (Italia e Francia) e degli stipendi pubblici (Francia).

Per quanto riguarda i sostegni alle imprese, le maggiori differenze risiedono nell’individuazione della platea di beneficiari. Ad esempio, in Spagna il criterio scelto è su base settoriale, ossia le imprese operanti nei settori ritenuti più esposti ai rincari (agricoltura, itticoltura, trasporti e siderurgico); invece, in Italia e Germania si è distinto tra imprese a più alto consumo di energia e gas (energivore e gasivore) e sulla base della potenza dei contatori. Questo secondo approccio sembra essere più coerente con l’obiettivo di alleviare l’onere per imprese più esposte ai rincari.

Appendice

Francia

Inoltre, entro la fine di quest’anno il governo francese dovrebbe portare a termine l’acquisizione della società EDF (il maggior produttore e distributore di energia in Francia, attualmente di proprietà pubblica all’84 per cento), con un costo per le casse statali stimato in 9,7 miliardi (che si aggiungono al finanziamento statale da 2,1 miliardi deliberato nel febbraio 2022). Una volta acquisita, al fine di abbattere i prezzi dell’energia, l’intenzione del governo è quella di risanare le centrali nucleari esistenti entro il 2030 e di costruire sei nuovi reattori entro il 2035, per un costo complessivo di 100 miliardi di euro.

Italia

Regno Unito

Inoltre, il nuovo governo guidato da Liz Truss ha annunciato un piano di aiuti da 130 miliardi di sterline (150 miliardi di euro) distribuiti sul prossimo anno e mezzo, finanziato a debito, con cui intende stabilizzare il costo medio annuale delle bollette di gas ed elettricità di una famiglia media inglese. Le imprese e il settore pubblico riceveranno un sostegno di simile portata ma solo per sei mesi, dopo i quali gli interventi si concentreranno sulle imprese più fragili.

Germania

Ricordiamo che la Germania ha annunciato due piani consecutivi lo scorso settembre. In particolare, il secondo piano avrà una portata di 200 miliardi con un impatto finanziario sul bilancio statale nel 2023 e 2024.[6] Non ci sono ancora dettagli precisi sulle misure del maxi piano, ma solo delle proposte sulla copertura di tutte le bollette di famiglie e imprese per dicembre 2022 (5 miliardi) e sulla struttura del price cap per il 2023. Va detto comunque che questo piano ammonta al 5,55 per cento del Pil tedesco in due anni, dunque il 2,7 per cento all’anno, una cifra comparabile agli interventi di altri paesi europei nel 2022.[7] Va anche detto che non è chiaro come questi interventi possano essere finanziati dal momento che il ministro delle finanze ha imposto la reintroduzione del freno al debito (debt brake) per il 2023, bloccando così la possibilità di raggiungere un indebitamento superiore allo 0,35 per cento del Pil.

Spagna

Paesi Bassi

Tuttavia, in sede di definizione del budget 2023, il governo ha stanziato 17,3 miliardi per il sostegno ai redditi e prevede di introdurre un price cap flessibile su gas ed energia.


[2] Ad esempio, la Commissione Europea nel valutare quanto le misure contro i rincari energetici incidano sul Pil dei singoli paesi, considera solo alcuni interventi (come misure con un effetto diretto sul costo dell’energia e misure a supporto del reddito delle persone fisiche e giuridiche) e sottrae nel calcolo finale le entrate legate gli extra profitti delle imprese energetiche. Fonte: Budgetary Policy Measure to mitigate the impact of high energy prices on households and firms, Methodology and updated budgetary impact, Commissione Europea, 15.09.2022

[3] Oltre al diverso orizzonte temporale, la nostra analisi differisce da Bruegel perché quest’ultimo considera tutti gli interventi governativi mentre noi abbiamo scorporato dalle somme riportate i fondi che non hanno una relazione diretta con i rincari energetici.

[4] I dati sul prezzo all’ingrosso per settembre 2022 non sono ancora stati resi disponibili dall’Office for National Statistics (ONS) e pertanto non sono riportati in Fig. 1 e Fig.2.

[5] Solo il 5 per cento del fabbisogno nazionale in Finlandia è generato da centrali a gas e ben più del 60 per cento è coperto da fonti rinnovabili e dal nucleare. Ciò ha consentito alla Finlandia di sostituire rapidamente il gas russo anche grazie alla pronta messa in opera di una nave rigassificatrice e al collegamento con il gasdotto estone. L’esempio finlandese suggerisce che l’incremento dei prezzi avrebbe potuto essere mitigato da un’efficace diversificazione delle fonti energetiche che avrebbe permesso una migrazione più rapida e definitiva verso il gas proveniente da altri esportatori. Questo dipende anche dalla non completa correlazione tra l’indice del mercato baltico (Finlandia e le repubbliche baltiche) e il TTF di Amsterdam.

[6] Tale intervento porterebbe il totale degli investimenti a quasi 300 miliardi di euro. Per un approfondimento sulla proposta, vedi: https://www.bundesregierung.de/breg-en/news/protective-shield-2131014

[7] La cifra annunciata corrisponde al tetto massimo delle risorse rese disponibili per gli interventi futuri contro il rincaro energetico e non all’ammontare di risorse impiegate o destinate a interventi specifici. Tali stanziamenti sarebbero legati al fondo di stabilizzazione economica da 600 miliardi di euro previsto per il rilancio dell’economia tedesca a seguito della pandemia da COVID-19, successivamente ridotto a 250 miliardi a gennaio 2022. Di quei fondi già resi accessibili, meno di 50 miliardi sono stati spesi o stanziati a garanzia di crediti verso imprese in difficoltà. Per maggiori informazioni sul Fondo di Stabilizzazione Economica (ESF), vedi: https://www.deutsche-finanzagentur.de/en/esf/economic-stabilisation-fund/measures.

Un articolo di

Giampaolo Galli, Michela Garlaschi e Federico Neri

Condividi su:

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?