Il 6 novembre è stata firmata una pre-intesa per il rinnovo del contratto 2022-2024 delle Funzioni centrali della Pubblica Amministrazione. Gli aumenti salariali previsti nel triennio, pari al 6%, non compensano l’inflazione cumulata nello stesso periodo e, a maggior ragione, non consentono un recupero dell’inflazione del 2021 e del 2022. Inoltre, le risorse stanziate per il successivo triennio (5,55 miliardi per il 2025-2027 e 6,11 miliardi per il 2028-2030) sarebbero solo sufficienti a coprire l’inflazione prevista. Nel complesso, nel 2027 il rapporto tra retribuzioni pubbliche e private toccherebbe un nuovo minimo da almeno trent’anni. In compenso, lo Stato introduce maggiore flessibilità nei contratti statali, come la possibilità di lavorare maggiormente da remoto e una settimana lavorativa di quattro giorni. Nel complesso, si sembrerebbe puntare a una PA con personale meno pressato dagli impegni lavorativi, anche per la ripresa delle assunzioni, ma meno pagato che in passato.
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Il 6 novembre Aran e alcuni sindacati (CISL, CONFSAL, FLP e Confintesa Fp) hanno firmato una pre-intesa per il rinnovo del contratto 2022-2024 delle Funzioni centrali della Pubblica Amministrazione (PA), cioè dei dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti economici (circa 195 mila persone). CGIL e Uil non hanno firmato, lamentando risorse insufficienti. La pre-intesa, che ha raggiunto la maggioranza richiesta, pari al 54,4%, ora deve passare i controlli di rito alla Ragioneria generale dello Stato e alla Corte dei conti prima di arrivare alla firma definitiva e all’entrata in vigore.
I fondi per il contratto sono stati in larga parte stanziati dalle leggi di bilancio precedenti e dal decreto-legge “Anticipi” (rispettivamente 0,3 miliardi per il 2022, 1,5 miliardi per il 2023 e 5,5 miliardi per il 2024), cui si sono aggiunti altri 300 milioni per il 2024 previsti nel disegno di legge di bilancio per il 2025. Complessivamente l’aumento salariale rispetto al 2021 sarebbe del 6%.[1]
Si tratta di aumenti inferiori all’aumento dei prezzi al consumo (16,4% cumulato nel 2022-2024) e che comportano quindi un taglio dei salari reali. Al netto dell’inflazione, infatti, il livello delle retribuzioni pubbliche sarà inferiore a quello registrato nel 1995 (Fig. 1).
Al tempo stesso, è stata introdotta la possibilità di optare per una settimana lavorativa di 4 giorni (per nove ore di impegno quotidiano) e la possibilità di lavorare maggiormente da remoto superando il vincolo della presenza fisica prevalente in ufficio.[2]
Sulla spinta delle nuove regole fiscali comunitarie che impongono agli Stati di predefinire la traiettoria della spesa pluriennale, l’art. 19 del disegno di legge di bilancio per il 2025 stanzia anche le risorse per le prossime due tornate contrattuali (5,55 miliardi sul triennio 2025-2027 per un aumento complessivo del 5,5% e 6,11 miliardi sul triennio 2028-2030 per un aumento complessivo del 6%). Questi aumenti si estenderanno anche al personale sanitario, tramite una quota destinata del fondo sanitario e agli enti territoriali che dovranno invece reperire le risorse dai propri bilanci. Si tratta di aumenti più o meno in linea con l’inflazione programmata e che garantirebbero una remunerazione reale su livelli leggermente superiori ai minimi registrati nel 2023 (Fig. 1).[3]
Considerando gli aumenti nei redditi da lavoro dipendente stimati dal Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine, nel 2030 il rapporto tra le retribuzioni pubbliche e private raggiungerebbe un nuovo minimo storico dal 1995 (Fig. 2).
Nel complesso, queste tendenze suggeriscono un orientamento dello Stato verso un modello in cui le retribuzioni reali nel pubblico impiego si abbassano fortemente anche rispetto a quelle private, concedendo in cambio condizioni di lavoro più flessibili, come l’estensione dell’utilizzo dello smart working e la riduzione (facoltativa) della settimana lavorativa a quattro giorni. Sono riprese anche le assunzioni nel settore pubblico. Sembra si punti quindi più sui numeri che sulla qualità di chi lavora nel settore pubblico (salari bassi difficilmente attrarranno personale qualificato). C’è da chiedersi se questa sia la strategia migliore in un contesto in cui lo sviluppo tecnologico (compresa l’intelligenza artificiale) dovrebbe premiare chi punta sull’aumento della produttività, anche nel settore pubblico.
[1] In termini assoluti, l’accordo porta ai lavoratori statali aumenti da 121 a 194 euro lordi al mese nel triennio 2022-2024, il che significa un incremento medio di 165 euro lordi per tredici mensilità, con il riconoscimento di altri 850 euro in media di arretrati. Inoltre, il limite dell’indennità per le posizioni organizzative (gli incarichi che prevedono maggiori responsabilità senza comportare una promozione) passa da 2.600 a 3.500 euro.
[2] Nel dettaglio, nell’accordo viene abolito il criterio secondo cui la maggior parte del lavoro deve essere svolta in presenza e non in modalità di lavoro agile.
[3] Secondo il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine di settembre il deflatore dei consumi dovrebbe crescere del 5,5% nel triennio 2025-2027 e del 6% nel triennio successivo.