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Formiche e cicale: quale governo ha speso di più negli ultimi decenni?

20 giugno 2025

Intermedio

Formiche e cicale: quale governo ha speso di più negli ultimi decenni?

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La spesa pubblica primaria, ossia al netto degli interessi sul debito, è cresciuta tendenzialmente negli ultimi decenni. Dalla fine degli anni ’90, quando la prospettiva dell’ingresso nell’euro impose un maggiore rigore fiscale, è passata da livelli prossimi al 40% del Pil al 46,7% nel 2024. Escludendo i momenti di crisi, in cui il Pil scendeva, gli incrementi più consistenti sono quelli dei governi Berlusconi II e III nei primi anni Duemila, mentre le principali riduzioni si devono ai governi Berlusconi I e Dini (1994-1996) e ai governi Renzi e Gentiloni (2014-2018). Il calo più forte è però quello del 2024, anche se riflette la fine dei bonus edilizi che erano stati introdotti comunque come misura temporanea durante la crisi Covid. La graduatoria rimane sostanzialmente invariata anche considerando la sola spesa corrente. Pensioni e sanità restano le principali componenti della spesa pubblica, mentre si è ridotta la quota destinata all’istruzione.

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Nonostante nel dibattito pubblico si parli spesso di riduzione delle tasse, il tema della riduzione della spesa, pur necessaria per abbattere la pressione fiscale, non viene affrontato con lo stesso entusiasmo. Questa nota presenta l’andamento e la composizione della spesa pubblica italiana dal 1988 al 2024, focalizzandosi sulla spesa al netto degli interessi sul debito pubblico (spesa primaria), che è quella direttamente controllata da governo e parlamento.

Dal 1988 al 2024 la spesa primaria è cresciuta dal 42,5% del Pil al 46,7% (Fig. 1). L’aumento diventa più marcato prendendo come base la metà degli anni ’90, quando la spesa, dato l’impegno alla disciplina fiscale per entrare nell’euro, scese vicino al 40% del Pil. Non tutti i governi hanno però contribuito in egual misura a questo aumento.

  • Proseguendo lungo la traiettoria crescente degli anni ’80, la spesa pubblica sale dal 42,5% del Pil nel 1988 al 43,4% nel 1992. L’ulteriore aumento al 44% nel 1993 è invece sostanzialmente dovuto, anziché ad aumenti della spesa in termini assoluti, alla crisi finanziaria che colpisce (anche) l’Italia nel settembre 1992 e causa un calo del Pil reale nel 1993 dello 0,8% rispetto all’anno precedente.
  • I primi tagli alla spesa avvengono durante il Governo Ciampi (aprile 1993 - maggio 1994) e, soprattutto, durante i governi Berlusconi I (maggio 1994 - gennaio 1995), caduto dopo l’approvazione di una legge di bilancio restrittiva, e Dini (gennaio 1995 - maggio 1996), che ne ha curato l’implementazione. Questo taglio, pari al 2% del Pil e che ha portato la spesa al 40,4% del Pil nel 1995, è stato il secondo più forte degli ultimi decenni, inferiore solo al taglio operato dal governo Meloni, che tuttavia si è fondato sull’interruzione dei bonus edilizi adottati durante la ripresa post-Covid, e considerati temporanei fin da principio.
  • In misura più modesta, la spesa cala ancora durante il primo governo Prodi, vista la finalità strategica per l’Italia di rispettare i criteri del Trattato di Maastricht sulla strada verso l’adozione dell’euro. La spesa oscilla intorno al 40,5% del Pil durante i due governi D’Alema e riprende a crescere col secondo governo Amato.
  • La crescita della spesa accelera durante i governi Berlusconi II e III, salendo dal 40,3% nel 2000 al 43,1% nel 2006 (anno in cui è implementata l’ultima legge di bilancio presentata dal Governo Berlusconi III). In questo periodo gli aumenti sono particolarmente forti per la spesa in conto capitale, ma coinvolgono tutte le principali voci (stipendi, acquisti di beni e servizi, pensioni).
  • Dopo una breve ma significativa riduzione durante il governo Prodi II, la spesa risale al 42,8% del Pil in concomitanza della crisi finanziaria del 2008, a causa sia di un aumento delle risorse spese che della contrazione dell’1% del Pil reale nello stesso anno. Nel 2009, con un nuovo aumento in termini assoluti e l’ulteriore calo del 5,3% del Pil reale, la spesa arriva al 46,7%.
  • A fronte di un minore impegno di risorse in termini reali, la spesa prima si riduce fino al 44,4% nel 2011 e poi risale al 46,1% nel 2013 a causa della caduta del Pil nel biennio 2012-13, mentre l’Europa meridionale attraversa la crisi del debito sovrano.
  • Il governo Renzi ottiene una riduzione dell’1,1% del Pil tra il 2014 e il 2016, seguito da un ulteriore contenimento durante il governo Gentiloni (-0,4% tra il 2016 e il 2018, quando la spesa scende al 44,7%).
  • La spesa resta stabile nel 2019 per poi saltare al 53,4% del Pil nel 2020, anno in cui la crisi Covid porta il Pil a cadere dell’8,9%. La spesa si riduce negli anni successivi, prima per effetto della ripresa economica, e, nel 2024, della cessazione dei bonus edilizi. Nel 2024, la spesa pubblica primaria si attesta al 46,7% del Pil.

Gli andamenti sono sostanzialmente simili se si guarda alla spesa primaria corrente (linea tratteggiata nella Fig. 1), invece che a quella primaria totale, escludendo quindi la spesa in conto capitale. L’eccezione è l’ultimo periodo in cui la spesa in conto capitale include gli ingenti importi dei bonus edilizi: per la spesa corrente l’aumento operato dal governo Conte nel 2020 è meno marcato, mentre il calo operato dal governo Meloni nel 2024 è inesistente.

La Tavola 1 contiene la “classifica” dei governi (anno per anno) in termini di riduzione del rapporto tra spesa primaria e Pil. Come già indicato, al primo posto è il governo Meloni nel 2024, grazie alla scomparsa del bonus edilizio dalla definizione di spesa in termini di competenza (l’effetto sulla spesa in termini di cassa sarà invece prolungato nel tempo, purtroppo), seguito dal primo governo Berlusconi (con implementazione del governo Dini). Gli aumenti maggiori, in fondo alla classifica, sono invece appannaggio dei governi Conte II, Berlusconi IV e Monti, ma sono relativi ad annualità (2020, 2008-2009 e 2011) in cui il Pil si è contratto. Escludendo questi periodi di recessione, i maggiori aumenti sono quelli del 2003 (Berlusconi II) e 2001 (Amato-Berlusconi II). 

La Figura 2 mostra l’evoluzione della composizione della spesa pubblica primaria dal 1995 al 2023, distinguendo tra le principali funzioni.[1] In questo intervallo la spesa primaria cresce di 10 punti percentuali di Pil, dal 40,4% nel 1995 al 50,3% nel 2023, anno in cui la spesa è ancora straordinariamente alta a causa dei bonus edilizi. Le prestazioni legate alle pensioni e la spesa sanitaria aumentano in modo particolarmente marcato (rispettivamente del 3,6% del Pil e dell’1,4%), anche se gli aumenti sono diffusi in varie altre voci (compresa, come si è detto, quella relativa al sostegno all’edilizia per i relativi bonus ancora elevati nel 2023). Perde invece priorità la spesa per l’istruzione, che dal 4,4% del totale nel 1995 scende fino al 3,5% nel 2023.[2]

In conclusione, si noti che l’aumento della spesa primaria dall’inizio degli anni ’90 al 2024 è un fenomeno presente anche negli altri principali Paesi europei, anche se in misura diversa (Figura 3). Tra il 1996 e il 2024 la spesa pubblica primaria è cresciuta del 6,4% del Pil in Italia, del 3% in Francia, del 5% in Spagna e del 2% in Germania. Si notino tuttavia le differenze nei comportamenti fiscali dell’Italia e degli altri Paesi all’infuori degli sconvolgimenti economici. Spagna e Germania, in particolare prima del 2007, hanno adottato condotte più prudenti, mantenendo costante o addirittura riducendo la spesa pubblica. Quando una crisi si manifesta, essere stati parsimoniosi consente allo Stato di intervenire con margini fiscali più ampi per stabilizzare la congiuntura economica, senza che ciò si scontri con un eccessivo indebitamento. Salvo i tagli di cui sopra, l’Italia ha invece incrementato la propria spesa pubblica anche in periodi di relativa stabilità.


[1] La ripartizione segue la classificazione COFOG a 2 cifre.

[2] Sulla spesa per l’istruzione in dettaglio, si veda la nostra precedente nota “La spesa pubblica per l’istruzione in Italia: bassa, in discesa e sbilanciata verso i livelli meno avanzati”, 26 novembre 2024.

Un articolo di

Nicolò Geraci

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