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Evasione: che cosa ci dice davvero la Relazione 2025

21 novembre 2025

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Evasione: che cosa ci dice davvero la Relazione 2025

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Pubblichiamo volentieri un articolo scritto dai Professori Riccardo Puglisi, Nicola Rossi e Giovanni Tria, membri della “Commissione per la redazione della Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”. Le loro opinioni, com’è ovvio, non impegnano la Commissione.

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Chissà se l’edizione 2025 della Relazione sull’economia non osservata e l’evasione fiscale riuscirà nel suo intendimento principale: sottrarre il dibattito al clima da stadio che solitamente lo accompagna e riportarlo con i piedi per terra. Quattro principali indicazioni in questo senso.

Primo, focalizzare l’attenzione – come molti hanno fatto e continuano a fare – sulle grandezze nominali senza tenere conto del processo inflattivo particolarmente evidente a valle della pandemia non ha alcun senso. Continuare a ripetere che le risorse (tributarie e contributive) sottratte all’erario si aggiravano intorno ai 100 miliardi di euro nel 2022 (ultimo dato disponibile) come, per esempio, nel 2018, e che di conseguenza nulla sarebbe cambiato è ovviamente risibile, stante il fatto che fra il 2018 ed il 2022 il livello dei prezzi è lievitato per circa il 12,5% (in termini di prezzi al consumo). Non a caso la Relazione pone l’accento, per quanto riguarda l’obbligo tributario, sul rapporto fra gettito sottratto all’erario (tax gap) e imposta potenziale (pari nel 2022 al 17% circa rispetto al 19,7%, per esempio, del 2018).

Secondo, l’evasione tributaria e contributiva è un fenomeno strutturale e in quanto tale la prospettiva di analisi corretta non può che essere quella delle tendenze di lungo periodo (nei limiti in cui lo permettano le informazioni disponibili). In questa ottica, la riduzione del rapporto citato appare marcata e persistente e pari ad un terzo circa del valore osservato in occasione del picco del 2004. Essa appare attribuibile, in primo luogo, alla riduzione dell’evasione dell’IVA, dell’IRES e dell’IRAP (più che dimezzate nel corso dell’ultimo ventennio). Più contenuta la riduzione dell’evasione dell’IRPEF sui redditi da lavoro autonomo e di impresa (e prossima al 5% nel corso degli ultimi due decenni).

Terzo, l’Italia non è l’unico Paese in cui si pone il tema del mancato rispetto dell’obbligo fiscale e la comparazione internazionale è la sola che può consentirci una valutazione equilibrata del fenomeno e della sua evoluzione. Diversamente dall’Italia, però, i nostri principali partner europei raccolgono (si spera) ma non pubblicano tutte le informazioni disponibili sul tema. Non rimane quindi che limitarsi al tax gap riferito all’imposta sul valore aggiunto per il quale la Commissione Europea produce stime omogenee per tutti i Paesi membri. La tendenza ad una riduzione del VAT tax gap – seppur interrotta temporaneamente dagli eventi del 2008 – caratterizza l’intero contesto sovranazionale in cui l’Italia è collocata. In questo quadro, l’Italia ha visto ridursi vistosamente la propria distanza dalla media europea. Rispetto al punto di picco registrato nell’ultimo ventennio (2004, nel caso dell’Italia) l’Italia ha ridotto il proprio VAT gap per circa 22 punti percentuali: un risultato fra i più significativi registrati nell’Unione, il quale ha consentito di abbattere considerevolmente la distanza, in termini di VAT gap, rispetto alla media europea, passata dai 16 punti percentuali circa del 2005 ai 2 punti percentuali o poco più osservati nel 2022.

Quarto ed ultimo punto, come spesso accade, il dato aggregato confonde fattispecie molto diverse: segnatamente, l’evasione derivante da omessa o infedele dichiarazione (cui è imputabile oltre il 90% del tax gap) e quella originata da omesso o parziale versamento. Sottolinearne la diversa natura, come fa la Relazione, è la logica premessa per comprenderne le (presumibilmente) diverse determinanti e per disegnare le (presumibilmente) diverse misure di prevenzione e contrasto. In particolare, enucleare la componente relativa agli omessi o parziali versamenti è un passo necessario verso una ricostruzione degli stock e dei flussi in cui il fenomeno dell’evasione si traduce e che spesso vengono superficialmente sovrapposti e confusi.

La lettura corretta dei dati disponibili è la base per un dibattito informato e orientato alla soluzione dei problemi e la premessa per un’analisi più approfondita del fenomeno. La Relazione avanza, sotto quest’ultimo aspetto, tre ipotesi di lavoro. La prima, ormai supportata da una significativa evidenza, riguarda l’impatto dei processi di digitalizzazione in atto da tempo e, in particolare, la capacità del cosiddetto digital reporting (di cui la fatturazione elettronica rappresenta forse l’esempio più noto al pubblico) di accrescere la consapevolezza del contribuente circa la natura dell’obbligo fiscale, circa le attività dell’Amministrazione e circa le conseguenze di un suo mancato rispetto, con ciò contribuendo alla promozione ed al rafforzamento dell’adempimento spontaneo. La seconda, ancora ad uno stadio preliminare, sottolinea il collegamento tra il grado di compliance fiscale e la quantità e qualità della fornitura di servizi pubblici. Con ciò, per un verso, affiancando – sotto il profilo teorico del diritto tributario e della scienza delle finanze –  il principio del beneficio a quello della capacità contributiva e, per altro verso, estendendo significativamente il concetto stesso dell’attività di prevenzione e contrasto dell’evasione tributaria. La terza, infine, anch’essa ad uno stadio preliminare, analizza la propensione al mancato rispetto dell’obbligo per classi di età dei contribuenti con riferimento, per il momento, alla sola imposta sul valore aggiunto. Il diverso grado di compliance osservato fra diverse generazioni e con riferimento all’IVA (meno elevato al ridursi dell’età), lascia pensare che l’architettura del fisco italiano vada probabilmente aperta agli aspetti generazionali e che il tema del contesto amministrativo e fiscale delle nuove attività imprenditoriali vada forse rivisto.

In breve, diversamente da quanto spesso si racconta, la prevenzione ed il contrasto dell’evasione tributaria sono non solo possibili ma anche, in buona misura, già in atto. Lungi dall’essere data per scontata, questa tendenza deve invitare a proseguire nella strada intrapresa.

Un articolo di

Riccardo Puglisi, Nicola Rossi, Giovanni Tria

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