Lavoro

Da dove verranno i nuovi posti di lavoro: dal pubblico o dal privato?

23 febbraio 2023

Intermedio

Da dove verranno i nuovi posti di lavoro: dal pubblico o dal privato?

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Una recente frase di Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio, ha ravvivato uno storico dibattito sui meriti relativi dello Stato e del privato nel generare ricchezza e posti di lavoro. Di seguito si mostra che, se nei prossimi anni vi sarà creazione di posti di lavoro, questa deriverà quasi certamente dal settore privato. Un certo scetticismo sulla capacità del sistema economico di creare “spontaneamente” occupazione e soprattutto posti di lavoro di qualità può essere giustificato dal fatto che tra il 2008 e il 2019 l’occupazione ha subito forti oscillazioni in funzione dei cicli dell’economici, ma non è aumentata. Come noto, la situazione è migliorata nel 2021 e 2022. Alcuni indicatori, come il fabbisogno occupazionale per il 2023-26, suggeriscono che la creazione di posti di lavoro possa continuare nell’anno in corso, seppure a ritmo ridotto, malgrado il previsto rallentamento dell’economia e la difficoltà di reperire le figure professionali necessarie.

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La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 18 febbraio 2023.

Il Sole24Ore-Radiocor del 29 dicembre ha riportato la seguente risposta di Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio, ad una domanda sulle politiche del lavoro del suo governo: “Non è lo Stato che genera lavoro, lo Stato può creare le condizioni per favorire chi crea lavoro ma il lavoro lo creano le aziende con le loro capacità. Ci stiamo muovendo nel senso di togliere cavilli e vincoli che sono controproducenti e, per quanto possibile, per dare segnali sulla tassazione”. Giorgia Meloni ha anche aggiunto: "Migliorare la qualità del lavoro è una materia che riguarda soprattutto la crescita economica, bisogna mettere le persone in condizione di assumere e questo si fa quando l'economia è libera di operare e quando ci si trova di fronte un governo e una politica che fanno del loro meglio per favorire chi crea ricchezza e lavoro".[1]

Queste frasi hanno generato reazioni contrastanti. Per molti si tratta di affermazioni importanti in quanto da un lato contribuiscono a fugare il sospetto che il governo intenda difendere i posti di lavoro nelle aziende in stato quasi fallimentare, magari nazionalizzandole, e dall’altro sottolineano l’importanza di rimettere in moto i meccanismi inceppati da quasi tre decenni della crescita economica, consentendo alle imprese di creare nuova occupazione e posti di lavoro di qualità.[2] Altri hanno invece voluto sottolineare l’importanza delle tante funzioni svolte dallo Stato collegate alla spesa sociale (istruzione, sanità, investimenti in ricerca e sviluppo) che sono essenziali per la crescita economica oltre che per la convivenza civile.[3]

In questa nota non cerchiamo di dirimere la questione, dato che è pressoché impossibile dire se siano più importanti i posti di lavoro creati dallo Stato o dalle imprese. Infatti, se è vero che funzioni fondamentali e basilari come, la difesa, la sicurezza, l’istruzione, la ricerca e la sanità sono svolte prevalentemente dallo Stato, è altrettanto vero che il settore privato produce la gran parte dei beni e servizi di cui hanno bisogno i cittadini-consumatori.

Riteniamo invece utile fornire alcuni numeri che mostrano che, se in Italia verranno creati posti di lavoro, questi proverranno in prevalenza dal settore privato. Così non è stato dopo il 2008, periodo in cui l’occupazione privata ha avuto forti oscillazioni cicliche (caduta fino al 2013 e ripresa successivamente), ma non ha mostrato un trend crescente (Fig. 1): nel 2019 il numero di occupati era all’incirca lo stesso del 2008. Questo fatto è peculiare dell’Italia ed è dovuto alla circostanza che la crescita economica si è sostanzialmente fermata. Ed è forse questo il fatto che spiega il diffuso scetticismo sulla possibilità che l’economia generi “spontaneamente” nuovi posti di lavoro.  

Come si vede dalla Fig. 1, fra l’inizio degli anni Novanta e il 2008, sono stati creati circa 2,5 milioni di posti di lavoro. Ma le cose sono cambiate drasticamente negli anni più recenti.  A seguito della doppia crisi che ha colpito l’Italia (la crisi finanziaria del 2008-09 e la crisi dei debiti sovrani in Europa del 2011-12), fra il 2008 e il 2013 si sono persi oltre un milione di posti di lavoro. Negli anni successivi vi è stato un lento recupero, ma ancora nel 2022 il numero di occupati si collocava leggermente al di sotto del picco del 2008. Va osservato che queste dinamiche sono anche determinate dalla demografia: negli ultimi anni vi è stata una forte riduzione delle persone in età lavorativa in quanto i giovani entrati nel mercato del lavoro sono stati di molto inferiori agli anziani in uscita. Per questo motivo, nel 2022 il tasso di occupazione (in cui gli occupati sono rapportati alla popolazione in età di lavoro) ha raggiunto un picco del 60 per cento, al di sopra del precedente massimo del 2008 (58,5 per cento). La scarsità di giovani che si affacciano sul mercato del lavoro è anche uno dei motivi per cui negli ultimi due anni molte imprese hanno lamentato difficoltà ad assumere.

L’occupazione nel pubblico e nel privato

Venendo al punto centrale di questa nota, la Fig.2 mostra l’andamento del numero di occupati in Italia suddivisi fra settore pubblico e privato, per il periodo 2004-2021.[4]

Questi dati sollecitano tre semplici considerazioni.

  1. L’occupazione pubblica (qui rappresentata in base ai dati Ocse) è una percentuale modesta di quella totale, collocandosi, a seconda degli anni, fra il 15 e il 16 per cento del totale. Ciò significa che anche qualora si potesse ipotizzare una forte crescita dell’occupazione pubblica, l’effetto sull’occupazione totale sarebbe modesto. Ad esempio, un incremento del 10 per cento dell’occupazione pubblica nel 2023 si tradurrebbe in un aumento di non più dell’1,5 per cento dell’occupazione totale. 
  2. L’occupazione pubblica ha registrato un forte ridimensionamento dal 2008 in poi, essendo scesa di quasi il 9,5 per cento, da 3,65 a 3,3 milioni nel 2021. Questa caduta va attribuita interamente ai problemi di finanza pubblica dell’Italia, problemi che si sono manifestati in modo molto evidente dal 2008 in poi e che hanno indotto i governi a intervenire con blocchi parziali o totali del turn-over.[5]  
  3. L’occupazione privata invece ha subito una perdita di quasi 1 milione di posti di lavoro fra il 2008 e il 2013, ed è aumentata a ritmi piuttosto sostenuti; tra il 2014 e il 2019 la crescita è stata del 5,4 per cento, corrispondente a circa il milione di posti di lavoro persi negli anni precedenti. L’occupazione privata ha registrato un crollo nell’anno del Covid (-720 mila posti), ma si è rapidamente ripresa nel biennio successivo, come mostrano i dati sull’occupazione totale. L’occupazione pubblica è invece rimasta costante nel 2020 e si leggermente ridotta nel 2021 (-3 per cento).  

Le prospettive dell’occupazione nel settore pubblico e nel privato

Per quanto riguarda le prospettive del settore pubblico, si può far riferimento agli scenari previsti nell’ultimo rapporto Excelsior di Anpal-Unioncamere (del giugno 2022).[6] Nello scenario definito intermedio, per il periodo 2022-2026 si prospettano 840mila assunzioni determinate per il 92 per cento dalla componente di sostituzione.[7] Lo stock di occupati dovrebbe aumentare quindi di 64mila unità. Si noti che questa previsione include le assunzioni (a termine) previste per l’attuazione del PNRR. Per il biennio 2022-2023, la previsione è di un aumento di 36 mila unità. Si tratterebbe di un aumento davvero contenuto, pari circa allo 0,2 per cento dello stock complessivo di occupati.

Questa previsione, per quanto modesta, non sembra tener conto dello scenario di finanza pubblica delineato dal governo nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia Finanza; in quel documento si prospetta infatti una riduzione nei prossimi anni della spesa per i redditi da lavoro delle pubbliche amministrazioni. Dopo un incremento nel 2022 del 6,6 per cento fino a 188 miliardi (interamente dovuto al recupero, peraltro parziale, dell’inflazione), la spesa per i redditi da lavoro dovrebbe scendere a 187, 185 e 186 miliardi rispettivamente nel 2023, 2024 e 2025. Queste cifre sono cruciali per conseguire gli obiettivi di riduzione del deficit definiti nel quadro programmatico. Appare quindi improbabile che ci sia spazio per la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore pubblico.  

Per l’occupazione privata, l’ultimo bollettino Excelsior è di tutt’altro tono.[8] Il comunicato indica in ben 504mila i lavoratori ricercati dalle imprese a gennaio e 1,3 milioni per il primo trimestre dell’anno. Ciò comporterebbe 46mila assunzioni in più rispetto a gennaio 2022 (+10 per cento) e +149mila assunzioni (+12,9 per cento) prendendo come riferimento l’intero trimestre.[9] Secondo questi scenari, “la domanda di lavoro prevista ad inizio d’anno si colloca sopra i livelli pre-Covid e segna un +14,0% (+62 mila assunzioni) rispetto a gennaio 2019. A guidare la domanda di lavoro il manifatturiero con un incremento su base annua del 17,8% (+19 mila assunzioni). Seguono turismo (+10 mila unità; +21,0%), servizi operativi di supporto a imprese e persone (+7 mila; +17,7%) e servizi alle persone (+7 mila; +12,9%). Sale al 45,6% la difficoltà di reperimento (+7 punti percentuali rispetto a un anno fa) che si attesta al 66% per le figure dirigenziali e sfiora il 62% per gli operai specializzati”.

Il nesso fra occupazione e crescita economica

Anche in questo caso è lecito dubitare che queste previsioni si trasformino in realtà. E ciò per due motivi. Il primo è che, come dice lo stesso comunicato, molte figure professionali non si trovano. Il secondo motivo è che l’economia sta rallentando e, di solito, quando l’economia rallenta diminuisce anche la domanda di lavoro. Si conferma così una ovvia regolarità statistica in base alla quale i posti di lavoro, e a fortiori quelli di qualità, si generano solo se vi è crescita economica. Tradizionalmente, gli economisti si riferiscono a questa regolarità come alla Legge di Okun, dal nome dell’economista statunitense che nei primi anni Sessanta sviluppò un modello econometrico che metteva in relazione la crescita del Pil con il tasso di disoccupazione. Nella versione originale di questa “legge”, occorrono due punti percentuali di aumento dell’output per ridurre di un punto il tasso di disoccupazione. Infatti, bisogna tenere in conto che l’aumento dell’output implica anche un aumento delle forze di lavoro (perché diminuiscono gli inattivi), delle ore lavorate per addetto e della produttività del lavoro. Questa relazione è stata oggetto di moltissime contestazioni e perfezionamenti, ma nessuno ha mai messo in dubbio che solo la crescita economica è in grado di creare posti di lavoro. A conferma di ciò, un lavoro relativamente recente di Andy Able e Ben Bernanke, l’ex Presidente della Fed, giunge alla conclusione che l’originaria relazione di Okun è ancora abbastanza solida, almeno nel caso degli Stati Uniti.[10]

Per quello che riguarda l’Italia, si può far riferimento all’ultima versione pubblicata del modello econometrico della Banca d’Italia.[11] In base a questo modello, un aumento dell’1 per cento dell’output genera un aumento della domanda di lavoro nel settore privato (al netto dei settori dell’energia e dell’agricoltura) pari allo 0,4 per cento nel primo anno e allo 0,6 nel secondo; successivamente l’occupazione aumenta lentamente fino a +1 per cento a regime.

In ogni caso, è indubbio che per migliorare la quantità e la qualità dei posti di lavoro siano cruciali le politiche per la crescita, fra le quali va senz’altro annoverata l’eliminazione o l’alleggerimento dei tanti oneri burocratici che rendono difficile fare impresa in Italia. 

 

[1] Il Sole24Ore-Radiocor, Meloni: lavoro lo creano aziende, non Stato, lavoriamo per togliere vincoli, 29.12.2022

[2] Si veda: Codogno, Lorenzo e Giampaolo Galli: “Meritocrazia e crescita economica, perché l’Italia non cresce e spreca i suoi talenti”, il Mulino, 2022.

[3] Si veda, in particolare, l’articolo di Andrea Boitani sul Quotidiano Domani, Chi produce ricchezza, lo stato o le imprese? L’idea di Giorgia Meloni messa alla prova, 22.01.2023. Si veda anche Federica D’Alessio su Micromega , Giorgia Meloni, la leader lepenista che al governo diventa thatcheriana. “Lo Stato non genera lavoro”. 30.12.2022.

[4] Purtroppo, non sono disponibili serie storiche più lunghe e aggiornate. L’occupazione pubblica include il personale impiegato in: Istruzione, sanità, personale disciplinato da norme di diritto pubblico, funzioni locali e centrali. Quella privata comprende invece lavoratori dipendenti e autonomi.

[5] Secondo l’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale, a causa della pandemia da Covid-19, nel 2020 il personale del Servizio sanitario nazionale è aumentato  del 2,3% (circa 13.600 nuove assunzioni) tra medici ed infermieri rispetto al 2019.

[7] Le stime di Excelsior si basano su uno scenario, cosiddetto B o intermedio, che prevede un rallentamento della crescita del Pil nel 2022-2023 e una ripresa nel 2024-2026.

[8] Per quanto riguarda l’occupazione privata, si veda l’ultimo bollettino del Sistema informativo Excelsior (3 gennaio 2023), I programmi occupazionali delle imprese rilevati dal sistema delle Camere di Commercio.  

[10]Abel, Andrew e Bernanke, Ben (2005). Macroeconomics (5th ed.). Boston: Pearson/Addison Wesley. 

Un articolo di

Giampaolo Galli, Leonardo Ciotti e Michela Garlaschi

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