Ambiente e trasporti

COP28 e cambiamento climatico: cosa è stato fatto finora?

30 gennaio 2024

Intermedio

COP28 e cambiamento climatico: cosa è stato fatto finora?

Condividi su:

L’Accordo di Parigi del 2015, ratificato da 194 Paesi, fissava l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale entro 2°C, con uno sforzo per contenerla entro 1,5°C. Per questo si concordava che le emissioni di gas serra dovrebbero essere azzerate entro il 2050. Purtroppo, il lento declino delle emissioni nei Paesi occidentali e la forte crescita di quelle dei Paesi emergenti mettono a serio rischio il raggiungimento di tali obiettivi. Infatti, l’analisi presentata nel documento “First Global Stocktake” della recente COP28 (tenutasi lo scorso dicembre a Dubai) non solo evidenzia che gli attuali impegni presi dai vari Paesi porterebbero solo a una riduzione del 2 per cento delle emissioni entro il 2030, ma conclude anche che l’effettivo andamento delle emissioni supera addirittura quello compatibile con tali impegni. Ciononostante, i dieci accordi climatici concordati a Dubai risultano prevalentemente formali, con impegni limitati e non vincolanti, e non sono neppure stati firmati da tutti i Paesi partecipanti.

* * *

Il principale accordo per affrontare il problema del cambiamento climatico è quello raggiunto a Parigi nel dicembre 2015, ratificato da 194 Paesi, e include tutti i principali Paesi, fatta eccezione per l’Iran (responsabile solo del 2 per cento delle emissioni totali globali). Nel 2020, durante la presidenza di Trump, gli Stati Uniti d’America si sono ritirati dall’accordo, ma sono rientrati nel 2021 dopo l’elezione di Biden.

In particolare, l’accordo si pone tre obiettivi:

  1. contenere l’aumento della temperatura media mondiale rispetto a quella preindustriale (convenzionalmente intensa come la temperatura del pianeta a metà del XIX secolo) ben al di sotto dei 2°C, sforzandosi di limitare l’aumento a 1,5°C. A tal fine, viene concordato che le emissioni nette globali (quelle lorde meno l’assorbimento naturale delle foreste) debbano azzerarsi entro il 2050;
  2. aumentare la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e promuovere la resilienza climatica e lo sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra, con modalità che non minaccino la produzione alimentare;
  3. rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni e resiliente al clima.

In base all’accordo, ogni Paese si è impegnato a definire un proprio specifico piano per la riduzione delle emissioni nette. Il limite principale dell’accordo è che ogni Paese è libero di fissare il proprio piano di riduzione di emissioni, sicché non c’è nessun meccanismo che garantisca che la somma delle emissioni comporti il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni nel 2050. Al momento, la Cina prevede un continuo aumento delle proprie emissioni fino al 2030, con l’impegno di ridurle progressivamente fino ad azzerarle, ma solo nel 2060. L’India dovrebbe raggiungere le zero emissioni nel 2070. Al contrario, i Paesi avanzati hanno specificato obiettivi di emissioni zero entro il 2050, compresi gli Stati Uniti e l’Unione europea, che hanno anche un obiettivo intermedio di riduzione rispettivamente del 50 e 55 per cento delle proprie emissioni entro il 2030.

Nel frattempo, le emissioni globali di CO2 hanno continuato a crescere raggiungendo i 37 miliardi di tonnellate nel 2022, anche se il tasso di crescita medio annuo nell’ultimo decennio si è ridotto rispetto al decennio precedente (2003-2012) dal 2,4 per cento allo 0,5 per cento (Fig. 1). Negli ultimi anni, però, l’aumento delle emissioni è stato dovuto interamente a quelle dei Paesi emergenti e a reddito basso, mentre le emissioni di Europa e Stati Uniti hanno iniziato a calare a partire, rispettivamente, dal 1990 e dal 2007 (Fig. 2). Questo grazie a politiche volte a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e a promuovere fonti di energia più sostenibili, incluso attraverso miglioramenti nell’efficienza energetica e la chiusura di centrali a carbone. Invece, gli altri Paesi, in primis India e Cina, spinti dalla crescita economica e dalla necessità di soddisfare la domanda energetica in rapida espansione, hanno continuato ad affidarsi pesantemente ai combustibili fossili, soprattutto carbone, con un forte aumento delle emissioni (Fig. 3).

Per quanto riguarda l’Unione europea, negli ultimi dieci anni le emissioni si sono ridotte in 22 su 27 Paesi (Tav. 1). I più virtuosi sono stati i Paesi nordici (Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Germania), insieme a Grecia e Francia, con una riduzione media del 25 per cento, contro una media UE del 13 per cento. L’Italia, pur essendo al di sotto della media UE in termini di riduzione delle emissioni, ha comunque registrato un calo di quasi 9 punti percentuali. Inoltre, il livello italiano di emissioni pro capite, a 5,7 tonnellate annue, è inferiore alla media UE (6,2 tonnellate) e ben al di sotto di quelle della Germania (7,9 tonnellate). Tra i principali Paesi che non hanno ridotto le proprie emissioni spiccano Ungheria e Polonia. Ma, mentre in Ungheria il livello di emissioni resta piuttosto basso (4,6 tonnellate per abitante), in Polonia le emissioni pro-capite (8,8 tonnellate pro capite) sono notevolmente superiori alla media europea.

L’incremento delle emissioni globali è dovuto al continuo aumento del livello mondiale di produzione e consumo di beni e servizi, non sufficientemente compensato da una riduzione dell’intensità energetica (Fig. 4) e dallo spostamento verso forme di energia a bassa emissione (Fig. 5). Dal 1971 al 2019, l’energia da petrolio è scesa dal 44 al 31 per cento del totale, ma resta la fonte più rilevante. La quota del carbone, il combustibile fossile più inquinante, è addirittura aumentata dal 26 al 27 per cento, mentre l’utilizzo del gas naturale, combustibile più pulito in termini di emissioni rispetto al carbone e al petrolio, ha aumentato la sua quota di 7 punti percentuali. L’energia da fonti rinnovabili (biocombustibili, idroelettrico e altre rinnovabili) è aumentata di un solo punto percentuale passando dal 13 per cento nel 1971 al 14 per cento nel 2019. Infine, l’utilizzo dell’energia nucleare è aumentato di 4 punti percentuali.

COP28: quali accordi sono stati raggiunti?

Molti media nazionali e internazionali hanno enfatizzato l’importanza “storica” degli accordi raggiunti durante la COP28 (la ventottesima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) tenutasi lo scorso dicembre a Dubai. Tuttavia, i risultati effettivi sembrano modesti.

Un primo documento uscito dalla COP28 è il “First Global Stocktake”, che descrive una situazione preoccupante per due motivi: primo, gli impegni già presi dai vari Paesi si tradurrebbero solamente in un calo del 2 per cento delle emissioni entro il 2030; secondo, l’andamento effettivo delle emissioni supera addirittura quello compatibile con tali impegni. Infine, il documento ribadisce che per limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C, si richiederebbe un calo delle emissioni di CO2 del 43 per cento entro il 2030, del 60 per cento entro il 2035 e l’azzeramento delle emissioni entro il 2050.

Nonostante questa critica analisi, il documento finale della conferenza si limita a “incoraggiare” i Paesi a compiere azioni specifiche ma non vincolanti come, per esempio, triplicare la capacità di produzione globale di energie rinnovabili, accelerare la riduzione dell’energia derivante dal carbone e avanzare verso emissioni zero entro “all’incirca la metà del secolo.” L’adozione nel documento per la prima volta dell’espressione “transitioning away from fossil fuels” (“allontanandosi dai combustibili fossili”, nella traduzione asettica di Google Translate cui ci affidiamo per non influenzare l’interpretazione di una espressione che ha richiesto settimane di negoziazione) al fine di azzerare le emissioni nette entro il 2050 ha generato notevole interesse mediatico ed entusiasmo. Tuttavia, tale dichiarazione non comporta nulla di nuovo. Già l’accordo di Parigi conteneva l’impegno di azzerare le emissioni entro il 2050: e come farlo senza abbandonare i combustibili fossili? Inoltre, l’affermazione è solo retorica se non è supportata da azioni concrete e impegni vincolanti, a maggior ragione se si considera che all’interno dello stesso documento conclusivo si afferma che i combustibili fossili possono “facilitare la transizione” e assicurare la sicurezza, con un esplicito riferimento al ruolo a lungo termine del gas.[1]

Quanto agli impegni concreti durante la COP28, sono stati approvati dieci documenti, ma molti di questi sono di carattere formale e contengono pochi impegni specifici e vincolanti. Inoltre, è importante notare che questi accordi non sono stati sottoscritti da tutti i Paesi partecipanti, compresi alcuni sviluppati come gli Stati Uniti, la Germania, l’Italia e il Regno Unito (Tav. 2). Gli accordi firmati sono i seguenti:

  1. Coalition for high ambition multilevel partnerships for climate action pledge (71 Paesi): comprende impegni per promuovere l’azione climatica anche a livello subnazionale, con progetti da definire entro il 2025 (come la costruzione di nuovi oleodotti) e maggiori sforzi per l’adattamento ai cambiamenti climatici preservando allo stesso tempo la biodiversità per limitare il riscaldamento a 1,5°C.
  2. UAE leaders’ declaration on a global climate finance framework (13 Paesi): promuove la mobilitazione di 100 miliardi di dollari entro il 2025 e dai 5 ai 7 trilioni di dollari entro il 2030 per politiche e progetti ambientali.
  3. COP28 UAE declaration on climate and health (143 Paesi): include impegni per ridurre gli impatti negativi sulla salute derivanti dai cambiamenti climatici in collaborazione con le popolazioni indigene, le donne, le comunità locali e gli operatori sanitari, per prevenire la diffusione di infezioni o malattie che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente tra gli animali e l’uomo.
  4. COP28 declaration on climate, relief, recovery and peace (82 Paesi): comprende impegni per promuovere politiche ambientali che sostengano al contempo la pace.
  5. Global renewables and energy efficiency pledge (123 Paesi): contiene l’impegno a raddoppiare il tasso di aumento dell’efficienza energetica “da circa il 2 per cento a oltre il 4 per cento ogni anno fino al 2030” e a triplicare la capacità delle energie rinnovabili entro il 2030.
  6. COP28 UAE declaration on sustainable agriculture, resilient food systems, and climate action (159 Paesi): comprende impegni per rendere il sistema alimentare globale più sostenibile e resiliente al clima, promuovere la sicurezza alimentare aiutando le persone vulnerabili e passare a una gestione sostenibile dell’acqua.
  7. COP28 gender-responsive just transitions and climate action partnership (68 Paesi): include l’impegno a garantire una transizione giusta, considerando gli effetti sulle donne soprattutto indigene, rurali e con disabilità.
  8. Global cooling pledge for COP28 (61 Paesi): impegna i Paesi a ridurre del 68 per cento le emissioni relative all’industria del raffreddamento, ad aumentare del 50 per cento il tasso di efficienza degli impianti di climatizzazione entro il 2030 e ad aumentare gli spazi verdi e blu nelle città.
  9. COP28 declaration of intent (37 Paesi): comprende vari impegni per promuovere i motori a idrogeno.
  10. COP28 joint statement on climate, nature and people (18 Paesi): riconosce che i problemi del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità, del degrado del territorio, del degrado degli oceani e della disuguaglianza sociale sono interconnessi.


[1] “Recognizes that transitional fuels can play a role in facilitating the energy transition while ensuring energy security.”

Un articolo di

Francesco Scinetti

Condividi su:

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?