La sanità italiana si trova da tempo di fronte a difficoltà strutturali, amplificate dall’invecchiamento della popolazione e dall’aumento delle patologie croniche. Una delle maggiori necessità, resa evidente anche dai più recenti esercizi di monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), è quella di rafforzare le cure territoriali, cioè l’insieme dei servizi sanitari e socio-assistenziali erogati al di fuori dell’ospedale. L’ultimo tentativo di riforma è quello del PNRR, che introduce le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità come strutture intermedie per rafforzare l’assistenza primaria e ridurre la pressione sugli ospedali. Al centro di questo nuovo sistema di cure primarie dovrebbero esserci i medici di medicina generale, che però sono sempre meno e sempre più anziani, anche per la scarsa attrattiva della professione per i laureati in medicina. Il governo – alla ricerca di personale per popolare le Case della Comunità – starebbe pensando a una riforma dello status giuridico dei medici di medicina generale, proponendo il passaggio dalla convenzione alla dipendenza e un nuovo percorso formativo. Potrebbe essere l’occasione per arrivare finalmente a nuovi professionisti che si occupino della “presa in carico” dei pazienti anziani e cronici.
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I sistemi sanitari e socio-assistenziali europei sono chiamati da tempo ad affrontare l’aumento della prevalenza delle patologie croniche fra le persone anziane. Il caso italiano è illustrativo. Secondo l’ISTAT, la popolazione italiana over 65 costituiva al 1° gennaio 2024 il 24,3% della popolazione residente totale, quella over 85 più del 4,5%, mentre la classe più giovane degli under 15 il 12,2%. Dal 2000 ad oggi, l’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra over 65 e under 15, è salito da 1,2 a 1,95 – cioè quasi due ultrasessantacinquenni ogni minore di 15 anni.[1] Questo valore porta l’Italia in vetta alla classifica di un’Unione Europea sempre più anziana, dove l’invecchiamento demografico si accompagna ad una sempre maggiore incidenza delle malattie croniche. In Italia all’inizio del secolo circa il 30% della popolazione residente era affetta da almeno una malattia cronica.[2] Nel 2023, la medesima percentuale sale al 40,5% e l’incidenza cresce ulteriormente con l’aumentare dell’età, attestandosi al 51,6% nella fascia 55-59 anni e all’85% nella fascia over 74[3]. Frequente è anche la situazione di multi-cronicità (o multi-morbidità): le persone che convivono con più di una patologia cronica sono già più di un quinto della popolazione complessiva[4].
Le patologie croniche richiedono un approccio assistenziale diverso dalla gestione delle acuzie: il paziente richiede una “presa in carico” da parte di un professionista, perché necessita di interventi periodici per lunghi periodi di tempo e di una stretta integrazione tra servizi sanitari e socio-assistenziali. Ciò pone la necessità di riflettere sulla medicina territoriale, quell’insieme di cure primarie fornite da diversi operatori (dagli ambulatori medici alle RSA) che coinvolgono numerose figure professionali (p.e., medici, infermieri, tecnici della riabilitazione, assistenti sociali) e comprendono tutti i servizi che intervengono prima e, se necessario, dopo le cure ospedaliere.
I cantieri infiniti della sanità territoriale
Il problema italiano è che – nonostante la necessità di cure primarie sia riconosciuta da tempo – le riforme che sono state proposte negli anni non sono mai state effettivamente implementate e, ancora oggi, le cure primarie sono un problema irrisolto in molte regioni. Lo dimostrano anche i risultati del monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza nel Paese, cioè la valutazione delle prestazioni sanitarie garantite dallo Stato. I risultati più recenti relativi al periodo 2020-2023 mostrano, oltre al noto divario fra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud, particolari carenze nelle macroaree dell’assistenza distrettuale e della medicina preventiva, quelle appunto riferite all’assistenza territoriale.[5]
L’organizzazione dell’assistenza territoriale risale alla legge n. 833 del 1978, che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e che ha posto al centro della medicina di famiglia i medici di medicina generale (MMG) e i pediatri di libera scelta (PLS).[6] Dal 2000 in avanti sono stati fatti diversi tentativi per riorganizzare l’assistenza territoriale. Tra questi, la sperimentazione delle "Case della Salute", introdotta dalla Legge Finanziaria del 2007 che vi indirizzava fondi per 10 milioni, prevedeva la creazione di strutture polivalenti in cui concentrare l’erogazione di servizi sanitari e favorire l’integrazione sociosanitaria. L’implementazione di questo modello è stata parziale e nel 2020 le Case della Salute, con denominazioni disomogenee tra i territori, erano state realizzate solo in 13 regioni.[7] Una riforma chiave per la riorganizzazione delle cure territoriali si deve al decreto Balduzzi (DM n. 158 del 2012), che mirava a garantire l’assistenza primaria sulle 24 ore attraverso due forme di integrazione dei professionisti: le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT, composte da professionisti della medesima categoria) e le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP), le quali costituirebbero una rete di ambulatori multidisciplinari. Di fatto il decreto tentava di rilanciare le già note associazioni multi-professionali, ma anche in questo caso la riforma ha incontrato difficoltà di attuazione a causa della inadeguatezza delle risorse e della resistenza dei sindacati medici.[8] Un altro passo importante è stato il Piano Nazionale della Cronicità, adottato dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2016 e aggiornato nel 2024, che ha definito una strategia nazionale per la gestione delle patologie croniche fondata sull’inquadramento della popolazione nei territori in diverse classi di rischio.[9] A queste iniziative nazionali, si sono spesso affiancati i tentativi regionali. Ne è un esempio la LR 23/2015 della Lombardia, tanto criticata durante la pandemia, che voleva disegnare la “presa in carico” dei pazienti cronici invitando i medici di medicina generale a diventare “gestori” dei propri assistiti.[10]
Le risorse messe a disposizione dal Next Generation EU dopo l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia hanno dato nuovo impulso ai progetti di riforma dell’assistenza territoriale. In materia di salute, l’obiettivo del PNRR non è infatti solo quello di potenziare le strutture ospedaliere, ma anche di migliorare la prevenzione, la medicina di iniziativa e le cure domiciliari e territoriali. Ai fini dell’organizzazione della rete, l’unità territoriale di riferimento è il Distretto, un’area che dovrebbe coprire tra i 60.000 e i 100.000 abitanti e integrare al suo interno tutte le funzioni di assistenza sanitaria extra-ospedaliera. Il quadro normativo per questa trasformazione è il Decreto Ministeriale 77/2022, che ha introdotto nuove misure e sistematizzato le sperimentazioni avviate negli anni precedenti. Il decreto si inserisce nel disegno del PNRR - Missione 6 (Salute), Componente 1 (dal valore di 7 miliardi), che prevede la realizzazione di una rete capillare di assistenza sanitaria territoriale basata su strutture di prossimità e telemedicina.
Il nuovo assetto organizzativo ruoterà attorno alle "Case della Comunità" (CdC, di fatto le ex “Case della Salute”), pensate come ambulatori polivalenti in cui i cittadini potranno accedere per visite, screening e trattamenti che non richiedono il ricovero. Per la loro realizzazione sono stati stanziati 2 miliardi di euro. Tali strutture rappresenteranno anche il principale punto di raccordo tra il SSN e i servizi sociali, con la possibilità di erogare prestazioni a distanza.[11] Secondo le stime dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, il bacino di utenza di ciascuna delle 1430 strutture previste dovrebbe oscillare tra i 30.000 e i 50.000 individui in base alle caratteristiche demografiche dell’area di riferimento, con alcuni casi particolari in Molise, dove si prevede un bacino medio di 22.500 individui per struttura, e nelle Provincie Autonome di Trento e Bolzano, oltre 53.000 individui per struttura.[12] Per tener conto delle differenze nella densità della popolazione fra i territori, la rete delle CdC si articola mediante uno schema hub e spoke: le CdC hub sono i centri principali operativi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che coprono fino a 50.000 residenti. Le CdC spoke sono strutture più leggere in termini di prestazioni offerte e attive per almeno 12 ore al giorno per 6 giorni su 7.[13]
La seconda novità in questo riordino della sanità territoriale sono gli “Ospedali di Comunità” (OdC), strutture intermedie tra l’assistenza domiciliare e il ricovero ospedaliero tradizionale. Queste strutture sono destinate a pazienti con patologie acute minori o riacutizzazioni di malattie croniche, che necessitano di cure riabilitative o cure a bassa intensità clinica, non gestibili a domicilio. L’OdC offre assistenza infermieristica continuativa e medica su base programmata, supportando la stabilizzazione clinica, il recupero funzionale e la dimissione protetta del paziente. Ogni struttura dovrebbe contenere tra i 15 e i 20 posti letto e servire circa 100.000 abitanti, contribuendo a ridurre i ricoveri ospedalieri impropri.[14]
Dal punto di vista operativo, il percorso di cura di ogni paziente sarà definito attraverso un "progetto di salute individuale", che verrà attivato al primo accesso nel SSN. A ogni paziente sarà assegnata un’équipe multidisciplinare, composta almeno da un medico di medicina generale o pediatra di libera scelta (che manterrà il rapporto di fiducia con il paziente) e un infermiere, con la possibilità di coinvolgere altri specialisti in base alle esigenze cliniche.[15]
Il ruolo dei medici di medicina generale
In base a questa riorganizzazione del sistema sanitario, l’assistenza territoriale non è più chiamata a svolgere un ruolo ancillare rispetto all’ospedale ma deve diventare il perno attorno a cui far ruotare gli altri livelli di cura. All’interno di questo nuovo sistema, un ruolo primario verrebbe svolto proprio dal MMG. In Italia i “medici di famiglia” sono prevalentemente organizzati in ambulatori privati convenzionati con il SSN attraverso i quali forniscono un’assistenza oraria disciplinata dagli Accordi Collettivi Nazionali (ACN) e successive negoziazioni regionali. Attualmente l’ACN pone a 1.500 il limite di assistiti per MMG, con la possibilità di estenderlo a 1.800 in casi particolari e, mediante deroghe locali, anche oltre (es., fino a 2000 nella P. A. di Bolzano).
La Tavola 1 presenta l’evoluzione della spesa sanitaria pubblica per l’assistenza medico-generica convenzionata, comprensiva delle prestazioni dei MMG e dei PLS, passata da 6,66 miliardi di euro nel 2014 a 6,76 nel 2023.[16] In termini nominali, la spesa è rimasta sostanzialmente ferma nel decennio nonostante variazioni significative anno su anno. Per esempio, nel 2019 il mancato rinnovo delle convenzioni per il 2018 provoca una contrazione della spesa del 2,4% rispetto all’anno precedente. Nel 2020 la spesa cresce dell’11,2% prevalentemente a causa degli oneri di rinnovo delle convenzioni per il 2018, con annesse le relative morosità, e il coinvolgimento dei convenzionati nell’emergenza Covid-19, specie per l’esecuzione di tamponi e la somministrazione di vaccini.
Secondo l’ufficio statistico del Ministero della Salute, nel 2023 si contavano 37.983 MMG (erano 46.209 nel 2009) con una media di 1335 assistiti per ogni medico (1.134 nel 2009).[17] Un simile deflusso di professionisti riguarda anche i PLS che nel 2023 erano 6.706 (7.695 nel 2009) con una media di 936 bambini assistiti per ciascun medico (857 nel 2009).[18] Il dato sui MMG nasconde però una notevole variabilità tra le regioni italiane (il numero di assistiti per MMG è più basso al Sud) e tra gruppi di medici con molti o pochi assistiti. Nel 2023 il 51,7% dei MMG aveva oltre 1500 assistiti (erano il 42% nel 2021) e il 17,6% fino a 1000.[19]
Oltre alla sua peculiare situazione contrattuale, un ulteriore aspetto che distingue in Italia il MMG dagli altri medici specializzati (incluso il pediatra) è l’assenza di un percorso specialistico universitario per la sua formazione. Nel 1986, l’Italia è stata l’unico paese europeo a non seguire la scelta inglese di istituire la specializzazione accademica in medicina generale[20]. Oggi il MMG accede alla professione, dopo la laurea a ciclo unico in Medicina e Chirurgia di 6 anni, attraverso un corso triennale di formazione in medicina generale attivato dalle regioni con il contributo determinante degli attuali MMG. Secondo diversi autori, la mancanza di una specializzazione e la “burocratizzazione” del MMG sono tra i fattori che hanno reso la professione meno attrattiva per i laureati in Medicina.[21]
La scarsità di professionisti è aggravata dall’invecchiamento di quelli oggi in servizio: nel 2023, il 68% dei MMG aveva oltre 27 anni di servizio e si stima che oggi il 77% abbia oltre 55 anni d’età.[22] Infine, si noti che un numero esiguo di MMG rende vuoto il diritto alla libera scelta del medico poiché molti di questi hanno già raggiunto il numero massimo di pazienti e non potrebbero aggiungerne altri.
Prospettive di riforma dei medici di medicina generale
Secondo alcune notizie circolate sulla stampa nelle scorse settimane, il governo avrebbe in cantiere una riforma per la categoria dei medici di base il cui fulcro sarebbe proprio il passaggio da un regime contrattuale di privati convenzionati col SSN a dipendenti pubblici, come già lo sono i medici ospedalieri. In base alle indiscrezioni, la proposta sarebbe appoggiata dal ministero della salute e dalle regioni, i cui assessori alla sanità già il 22 settembre 2021 avevano sottoscritto un documento in sede di Conferenza Stato-regioni con il quale riconoscevano l’inadeguatezza del profilo giuridico-contrattuale del MMG per far fronte alle difficoltà emerse con la crisi del Covid-19 e la crescita delle multi-cronicità.[23]
Secondo le ricostruzioni della stampa, i punti fondamentali della riforma sarebbero quattro:
- Passaggio alla dipendenza per i nuovi MMG: l’attività di assistenza primaria in ambito medico e pediatrico richiede la stipula di un rapporto d’impiego di lavoro dipendente con il SSN.
- Scelta per gli attuali MMG: mentre i nuovi MMG saranno direttamente assunti, quelli già convenzionati potranno scegliere se proseguire come liberi professionisti o decidere di passare alla dipendenza del SSN.
- Case della Comunità: i MMG devono prestare la propria attività (anche) presso le Case della Comunità.
- Formazione: i nuovi MMG dovranno essere formati attraverso un nuovo corso specialistico universitario.[24]
Questa ricostruzione della riforma ha inevitabilmente sollevato un acceso dibattito nel quale spicca la contrarietà della professione chiaramente evidenziata tramite il maggior sindacato di categoria (la Fimmg, Federazione italiana dei medici di medicina generale), l’ente di previdenza (l’Enpam, Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri) e la Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri). Non mancano, tuttavia, voci favorevoli: per esempio, il “Movimento MMG per la dirigenza” e, almeno secondo alcuni sondaggi, la maggioranza dei medici più giovani vedono la riforma con favore.[25] Tra le ragioni addotte, i primi sostengono che la questione dello status pubblicistico o privatistico non abbia nulla a che vedere con le difficoltà che la categoria deve oggi affrontare, legate invece alla «burocratizzazione» e alla scarsa attrattività della professione dovuta al trattamento salariale. Ritengono inoltre che il trasferimento del MMG nelle Case della Comunità porterebbe i cittadini a farsi visitare dal medico di turno anziché dal proprio medico di fiducia, mettendo dunque in discussione il diritto di scelta. E paventano addirittura la possibilità di una “privatizzazione” della sanità conseguente al passaggio alla dipendenza, ignorando che un aumento dell’occupazione pubblica e una riduzione del numero di professionisti privati va esattamente in direzione opposta a una qualsiasi nozione di privatizzazione.[26] I secondi sostengono invece che proprio il passaggio alla dipendenza pubblica consentirebbe di ridurre la “burocratizzazione” della professione e renderebbe la carriera dei MMG più appetibile data la possibilità di lavorare in gruppi multidisciplinari.[27]
Anche autorevoli think-tank sono contrari alla riforma, indicando come nodo cruciale e ignorato l’insufficienza del numero di professionisti. A ciò segue l’urgenza di alleggerire gli oneri amministrativi e la critica sia al nascituro sistema delle Case della Comunità, giudicato una «soluzione in cerca di un problema», che al passaggio dei MMG alla dipendenza pubblica poiché creerebbe «posti fissi» anziché favorire medici con una «mentalità imprenditoriale e innovativa».[28]
Altri autori hanno già cercato di mettere in prospettiva la questione dei MMG che mancano. Il confronto con il Regno Unito, dove nel 2023 ogni MMG aveva in media 1.518 assistiti rispetto ai 1.325 in Italia, suggerisce che un utilizzo più efficiente delle nostre risorse professionali già disponibili potrebbe portare a significativi miglioramenti. [29] Il problema, dunque, sembrerebbe risiedere non tanto nella carenza assoluta di medici, quanto piuttosto nella loro distribuzione e organizzazione: molti professionisti operano in modo isolato e si osservano squilibri, riportati sopra, nel numero di pazienti seguiti, con alcuni medici che ne gestiscono un numero eccessivo e altri che ne hanno troppo pochi, sebbene a volte possono essere l’orografia e la demografia a dettare queste scelte.
Il punto di partenza della discussione sulla riforma della professione, che però si tende a perdere di vista, dovrebbe essere la necessità di costruire un sistema di cure territoriali. Questo sistema prevede nuove strutture (le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità) che consentano di sgravare l’attività del Pronto Soccorso e degli Ospedali e richiede professionisti (medici e infermieri su tutti) capaci di prendersi in carico i pazienti cronici. Se questi professionisti differiscono dall’attuale figura di MMG si deve prendere atto che queste sono le professionalità che serviranno domani nella ristrutturazione che sta attraversando il SSN; e non è un caso che la formazione debba essere fatta in modo diverso, diventando una specializzazione dentro l’Università. Da questo punto di vista, la dipendenza potrebbe essere letta semplicemente come l’esito naturale di una maggior integrazione nel SSN di nuovi professionisti dediti, anche, alla “presa in carico”.
[1] ISTAT, Annuario Statistico Italiano 2000, pag. 38 ss.; ISTAT, Annuario Statistico Italiano 2024, pag. 123 ss.
[2] Annuario Statistico Italiano 2020, pag. 77.
[3] Istituto Nazionale di Statistica, “Annuario Statistico Italiano 2024”, 19 dicembre 2024. Va notato che i due dati non sono perfettamente confrontabili poiché nel tempo l’ISTAT ha modificato la lista delle patologie croniche mappate. Resta tuttavia evidente l’aumento dell’incidenza di tali patologie nella popolazione.
[4] Ibid.
[5] Ministero della Salute, “Livelli essenziali di assistenza, sintesi dei risultati del Nuovo Sistema di Garanzia 2023”, 26 febbraio 2025. Riduzioni del punteggio nella macroarea dell’assistenza distrettuale si registrano per esempio anche in Lombardia (da 94 a 76 tra il 2022 e il 2023), una delle regioni normalmente annoverata nel gruppo delle migliori performance. Questa valutazione ha causato una forte reazione da parte del governatore della regione Fontana e uno scontro politico con il Ministero della Salute. Si veda per esempio qui.
[6] C. Ugolini, “Il ruolo della medicina generale nella riorganizzazione delle cure primarie”, in Pubblico e privato nel sistema di welfare, Fondazione Cesifin, Aprile 2017, pp. 23-36.
[7] Servizio Studi Affari Sociali della Camera dei deputati, “Case della salute ed Ospedali di comunità: i presidi delle cure intermedie. Mappatura sul territorio e normativa nazionale e regionale”, 1° marzo 2021.
[8] Con riferimento alla medicina generale, le forme di associazione fra i professionisti sono state gradualmente regolamentate dopo il 1978 fino al D.P.R. 270 del 2000 (art. 40) che contiene la formula tutt’oggi in vigore: i) l’associazione è libera volontaria e paritaria, ii) i rapporti tra i membri e la suddivisione delle spese sono disciplinati da un accordo interno; iii) ogni medico dev’essere disponibile a svolgere la propria attività nei confronti degli assistiti degli altri medici; iv) sono individuate tre forme associative: la medicina in associazione, in rete e di gruppo. Si veda V. Mapelli, “La grande incompiuta: l’assistenza primaria” in “Verso un welfare più forte, ma davvero coeso e comunitario?”, welforum.it, 20 settembre 2021; V. Mapelli, “Mancano i medici di base? Mettiamoli in rete”, in Lavoce.info, 10 febbraio 2025.
[9] Ministero della Salute, “Piano Nazionale della Cronicità”, Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano del 15 settembre 2016.
[10] Si vedano le riflessioni e i riferimenti contenuti in G. Turati, “Che cosa blocca l’attuazione della riforma della sanità territoriale (e non solo)? Qualche spunto di riflessione”, Corti Supreme e Salute, aprile 2023, N.2.
[11] Si veda il sito istituzionale del Ministero della Salute dedicato al comparto M6C1 del PNRR.
[12] Tali stime sono state elaborate all’interno dei Contratti Istituzionali di Sviluppo stipulati tra il Ministero della Salute e le regioni nel maggio 2022 riferendosi alla popolazione residente nel 2022.
[13] Secondo il recente rapporto AGENAS sull’avanzamento dei lavori (aggiornato a dicembre 2024), solo il 3% delle Case della Comunità programmate è pienamente operativo, con tutti i servizi obbligatori attivati. Questo dato si riferisce alle 1717 CdC previste complessivamente, sia attraverso i Contratti Istituzionali di Sviluppo (CIS, citati nel documento dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio) sia tramite altri provvedimenti. Considerando invece le strutture con almeno un servizio attivo, il numero sale a 485, pari al 28% del totale.
[14] Per una descrizione dettagliata dei compiti delle Case di Cura (divise fra hub e spoke) e degli Ospedali di Comunità si rinvia all’Allegato 1 del DM 77/2022.
[15] Ulteriori novità del sistema sanitario territoriale che si va ridisegnando attraverso il PNRR sono il potenziamento dei servizi domiciliari già attivi (fino alla presa in carico del 10% degli assistiti over 65).
[16] Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Stato, “Il monitoraggio della spesa sanitaria – 2024”, Roma, dicembre 2024, p. 21 e pp. 32 ss.
[17] Ministero della Salute, Ufficio di Statistica, “Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale – Anno 2023”, pp. 109 – 116.
[18] Ibid., p. 114.
[19] Ibid., p. 24.
[20] M. Giachello, C. Ugolini, “La medicina di famiglia nel riassetto dell’assistenza territoriale”, in Rivista di Economia Politica, 2024, N.1, pp. 67-90.
[21] Ibid.
[22] Audizione parlamentare del Presidente dell’istituto Nazionale di Statistica Prof. Francesco Maria Chelli, 5 novembre 2024.
[23] M. Gabanelli, S. Ravizza, “Sanità, come la lobby dei medici di famiglia punta alle visite a pagamento”, Corriere della sera, 28 ottobre 2024; M. Gabanelli, S. Ravizza, “Medici di famiglia, ecco il documento riservato che porta a una svolta epocale”, Corriere della sera, 3 febbraio 2025.
[24] M. Gabanelli, S. Ravizza, “Medici di famiglia, ecco il documento riservato che porta a una svolta epocale”, cit.
[25] Il sondaggio è stato promosso e organizzato dalle associazioni AprireNetwork e Associazione Liberi Specializzandi: “Orgogliosamente MMG”, febbraio 2020.
[26] In questo senso, per esempio, il segretario della FIMMG. Si veda https://www.fimmg.org/index.php?action=pages&m=view&p=18&art=5868
[27] Redazione DottNet, “Se medici di famiglia passano a dipendenza Enpam non sarà più in grado di garantire pensioni”, DottNet, 12 novembre 2024; “Medici. Scontro tra Ministro Salute e Fnomceo”, Quotidianosanità.it, 13 gennaio 2025; “Medicina generale. Fimmg Lazio e Fimmg Nazionale: “Incoerente il rapporto di dipendenza, avviare confronto locale su Acn e Acr”, Quotidianosanità.it, 26 febbraio 2025; “Riforma dei medici di famiglia. Scotti (Fimmg): «Non serve, c’è già stata. Difficile parlare di Casa della comunità, perché non ne è chiara la funzione»”, Quotidianosanità.it, 7 marzo 2025; Movimento MMG per la Dirigenza, “Siamo mmg e sosteniamo fortemente il passaggio alla dipendenza dal Ssn. Ecco perché”, Quotidianosanità.it, 27 febbraio 2025.
[28] Istituto Bruno Leoni, “Medici di medicina generale: servono più medici, non più posti fissi”, 11 febbraio 2025.
[29] V. Mapelli, “Mancano i medici di base? Mettiamoli in rete”, lavoce.info, 10 febbraio 2025.