Il dibattito pubblico italiano è spesso influenzato da luoghi comuni sull'economia italiana che non trovano fondamento nella realtà. Pachidermi&Pappagalli è la rubrica dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani in collaborazione con Tortuga, il primo think tank italiano di studenti di economia e giovani professionisti, che cerca non solo di smentire tali luoghi comuni, ma anche di spiegarne la natura e di analizzarne il contenuto in modo analitico e critico. Per avere veri "punti fermi e saldi", come canta Francesco Gabbani nella canzone che dà il nome alla rubrica, e lasciare campo aperto alle diverse opinioni e interpretazioni, ma senza confondere la realtà dei fatti, nell'era della post-verità.
Tortuga è un think-tank di studenti di economia nato nel 2015. Attualmente conta 42 membri, sparsi tra Italia, Francia, Belgio, Inghilterra, Germania, Austria, Senegal e Stati Uniti. Scrive articoli su temi di economia, politica e riforme, ed offre alle istituzioni un supporto professionale alle loro attività di ricerca o policy-making – www.tortugaecon.eu
Durante la crisi dell’eurozona, quando lo spread superò i 550 punti base alla fine del 2011, e, più recentemente durante la campagna elettorale, si è spesso sentito affermare che un ritorno alla lira potrebbe essere la soluzione a diversi problemi tra cui il finanziamento del debito pubblico. L’idea è che il ritorno alla sovranità monetaria permetterebbe una monetizzazione del debito: lo stato sarebbe in grado di finanziarsi a tasso zero, eliminando quindi il rischio di default e il conseguente aumento dello spread sui titoli di stato italiani. Ma che cos’è una monetizzazione del debito e quali sono i suoi benefici e svantaggi?
1. Che cos’è la monetizzazione del debito?
Quando il governo ha il controllo sulla banca centrale, o una forte influenza su di essa, può decidere di coprire il proprio deficit vendendo ad essa i propri titoli e imponendole di emettere moneta per finanziarne l’acquisto. L’emissione di moneta genera per lo stato il cosiddetto “signoraggio”: il costo di emissione di moneta per la banca centrale è quasi nullo, ma con questa moneta la banca centrale può acquistare titoli di stato, che hanno invece un rendimento positivo[1]. Il signoraggio ha anche un’altra componente che è legata alla possibilità per il governo di tassare i suoi cittadini attraverso l’inflazione.
La possibilità per la banca centrale di estrarre profitti attraverso il signoraggio rende attraente stampare moneta per finanziare il disavanzo pubblico. L’emissione di titoli di stato sul mercato comporta il pagamento di interessi agli investitori e la necessità di rinnovare i prestiti in scadenza. Al contrario, se il governo paga le proprie spese direttamente attraverso l’emissione di moneta da parte della propria banca centrale, non deve pagare interessi sui titoli di stato perché gli interessi sul debito ottenuti dalla banca centrale rientrano nelle casse del Tesoro sotto forma di signoraggio. Una monetizzazione del debito risulta quindi particolarmente allettante quando il debito pubblico è elevato, come in Italia, e quando esiste il rischio che i mercati inizino a dubitare della sua sostenibilità. Quando ciò avviene, gli investitori richiedono tassi di interesse nominali più elevati per compensare il rischio di non essere ripagati e il costo di emissione del debito aumenta fino a diventare di fatto insostenibile. Per questo motivo, alcuni sostengono che con il ritorno alla lira la banca centrale potrebbe teoricamente intervenire per finanziare direttamente la spesa pubblica, come avveniva in Italia prima del divorzio tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia del 1981.
Oltre alla creazione di moneta come fonte permanente di finanziamento della spesa pubblica[2], alcuni economisti hanno sostenuto che una monetizzazione temporanea del debito potrebbe essere utile in alcune speciali circostanze. L’idea è che durante la recente recessione sarebbe stato utile fare ricorso al cosiddetto “helicopter money”, dal momento che la maggior parte delle politiche monetarie ortodosse sembrava aver perso efficacia. Coniata da Milton Friedman, l’immagine di “helicopter money” descrive un aumento della spesa pubblica o una forte diminuzione delle tasse, finanziati direttamente attraverso la creazione di moneta: insomma, come se un elicottero facesse piovere le banconote dal cielo. Si tratta quindi di una manovra espansiva pagata dalla banca centrale: una monetizzazione del debito. Secondo Ben Bernanke[3], ex governatore della Federal Reserve, rispetto ad una politica espansiva finanziata a debito, una manovra di questo tipo, in alcune circostanze, ha il pregio di non aumentare strutturalmente la futura pressione fiscale e di poter essere attuata anche in presenza di un alto debito pubblico. Esauriti tutti gli strumenti di politica monetaria per combattere deflazione e crisi economica, la banca centrale potrebbe utilizzare quest’ultimo strumento per far ripartire l’economia del paese: una sorta di defibrillatore da utilizzare sul paziente in arresto cardiaco. Il Quantitative Easing attuato dalle principali banche centrali negli ultimi anni può avere avuto questa funzione, anche se, come argomentiamo più avanti, non è stato una forma di monetizzazione del debito.
Quindi, se la monetizzazione appare così conveniente, perchè lo stato non si finanzia esclusivamente stampando moneta? Il problema è che avere una politica monetaria subordinata alle esigenze di gestione delle finanze pubbliche può essere un’arma a doppio taglio. La monetizzazione del debito rischia di minare il valore della moneta stessa, ossia di produrre un aumento dell’inflazione. E, anche se usata in occasioni particolari come strumento di “helicopter money”, il rischio è di utilizzare il defibrillatore su un paziente sano e generare rischi seri, di nuovo legati ad un aumento dell’inflazione.
2. Il rischio inflazione
Se si stampa moneta con la finalità di finanziare la spesa pubblica, invece che di soddisfare le esigenze dell’economia, si finisce per creare inflazione. Se la moneta in circolazione aumenta più velocemente dell'offerta di beni e servizi, il valore reale della moneta diminuisce. Questo induce le persone ad anticipare gli acquisti, per evitare che il loro potere d'acquisto venga ulteriormente eroso. L'aumento della domanda di beni, a sua volta, determina un ulteriore aumento dei prezzi. Si genera così un circolo vizioso che è difficile interrompere. Se la monetizzazione del debito si protrae nel tempo, l'inflazione potrebbe trasformarsi in iperinflazione ed il pericolo è di assistere a scene simili alla Germania degli anni '30: i bambini che giocano con aquiloni di banconote e le loro madri che portano carriole di denaro per comprare il pane.
Allo stesso tempo un’inflazione molto elevata riduce il peso del debito perché erode il valore reale dei titoli di stato in circolazione[4]. Può quindi sembrare un’alternativa appetibile per ridurre il debito rispetto alla scelta di politiche di bilancio restrittive. Tuttavia, mentre lo stato ci guadagna, chi ha comprato i titoli di stato ci perde: se io ho prestato 100 euro allo stato, ma quei 100 euro che lo stato mi restituisce tra un anno hanno meno valore perché nel frattempo l’inflazione è aumentata, io subisco una perdita. L’inflazione rappresenta quindi una forma di una tassazione, la seconda componente del signoraggio di cui abbiamo parlato sopra. E bisogna ricordare che circa due terzi del debito pubblico italiano sono detenuti, direttamente o attraverso fondi, da residenti, i quali subirebbero quindi una perdita[5].
L’inflazione elevata causa anche altri danni all’economia: è una tassa che colpisce tutti i cittadini e soprattutto le fasce più deboli. Infatti, non tutti hanno le conoscenze necessarie per capire le conseguenze dell’inflazione e soprattutto per evitarle, investendo ad esempio in beni immobili o all’estero. Un’inflazione elevata è solitamente anche molto instabile, il che crea incertezza e frena gli investimenti. Infine, l’inflazione erode il potere d’acquisto dei salari. Quando questi sono indicizzati rispetto alle variazioni di prezzi, si genera una spirale fra prezzi e salari che produce un’inflazione continuamente crescente e, alla fine, socialmente inaccettabile.
Il punto chiave, però, è che, per ridurre veramente il peso di un debito pubblico ereditato dal passato, l’inflazione deve essere improvvisa ed elevata perché, se gli investitori si aspettano maggiore inflazione nel futuro, richiederanno tassi di interesse più alti per compensare il rischio di essere ripagati in moneta svalutata. Ma se l’inflazione è elevata e continuamente in crescita i mercati possono chiedere un premio al rischio ancora più alto per compensare non solo le aspettative di maggiore inflazione nel futuro, ma anche l’incertezza sul valore futuro dell’inflazione. Questo aumenta non solo i tassi d’interesse nominali ma anche quelli reali, cioè al netto dell’inflazione, con conseguenze negative sulla domanda aggregata.
La relazione positiva tra inflazione e monetizzazione del debito è ampiamente documentata. Il caso della Repubblica di Weimar è forse il più noto, ma anche più recentemente gli esempi sono numerosi. Ad esempio, nel 2016 l’Argentina aveva un livello di inflazione annuale vicino al 40%, spinta in larga parte da una crescita della base monetaria intorno al 35% nel 2015 al 25% nel 2016[6] per finanziare almeno in parte il deficit. Un altro caso è la Turchia degli ultimi anni, oltre che degli anni ‘80 e ‘90, in cui un elevato livello di inflazione è dovuto in larga misura al tentativo della banca centrale di sopperire agli squilibri della finanza pubblica.
Un livello di inflazione contenuto e stabile è invece importante per il buon funzionamento dell’economia e infatti la Banca Centrale Europea (BCE), insieme ad altre banche centrali, persegue l’obiettivo di un livello di inflazione poco al di sotto del 2%. Questo obiettivo è motivato dal fatto che un’inflazione vicina o pari a zero rischia di tramutarsi in deflazione, e la deflazione comporta seri rischi per l’economia: se i prezzi domani sono più bassi, le persone hanno un incentivo a rimandare gli acquisti e questo comprime la domanda aggregata.
3. Una possibile obiezione: il QE
Il Quantitative Easing (QE), l’acquisto massiccio di titoli di stato attraverso l’emissione di moneta (elettronica) che è stato attuato negli ultimi anni da diverse banche centrali, è spesso citato come un caso di monetizzazione del debito. Attraverso il QE, la banca centrale acquista i titoli di stato dalle banche commerciali, quindi nel mercato secondario e non direttamente dal Tesoro. Tuttavia, il QE differisce per molti aspetti da una monetizzazione. In primo luogo sono diversi gli obiettivi: attraverso il QE, la BCE mira a riportare l’inflazione poco al di sotto del 2%, evitando in questo modo il rischio di deflazione. E’ sempre stato chiaro che la BCE non aveva alcuna finalità di agevolare il finanziamento degli stati membri e che il QE avrebbe avuto termine una volta raggiunto l’obiettivo inflazione, come infatti sta avvenendo.
Il QE non ha aumentato l’inflazione in modo sensibile come alcuni commentatori avevano preannunciato e questo è dovuto, tra le altre cose, al fatto che l’elevata incertezza economica del periodo di crisi ha portato il sistema bancario e gli operatori economici a desiderare un’elevata quantità di liquidità. E, come spiegato sopra, stampare moneta crea inflazione quando l’offerta di moneta eccede quanto richiesto dall’economia, ma non quando la domanda di liquidità è essa stessa elevata. Il QE è comunque una politica temporanea in un doppio senso: gli acquisti netti cessano quando si ritiene che gli obiettivi macroeconomici siano raggiunti (alla fine di quest’anno, nel caso della BCE) e i titoli accumulati nel portafoglio della banca centrale prima o poi vengono gradualmente ceduti sul mercato.
4. Il conflitto istituzionale
Il rischio inflattivo è dunque il pericolo chiave di una monetizzazione del debito. Un problema connesso a questo è dovuto al fatto che gli effetti negativi della monetizzazione spesso non si manifestano immediatamente. Diventa quindi forte la tentazione di usare la monetazione per stimolare artificialmente la domanda interna e, soprattutto, rinviare nel tempo il necessario aggiustamento dei conti pubblici. La monetizzazione è dunque una sorta di droga che dà l’illusione di aver risolto i problemi, quando in realtà li ha solo rinviati nel tempo. Può dunque essere utile per vincere le elezioni, ma non risolve i problemi strutturali legati ad un elevato debito pubblico[7]. Alla fine la monetizzazione è quindi uno strumento controproducente: utilizzato in maniera permanente e continua, aumenta l’inflazione e rende fragili le finanze pubbliche.
Per questo motivo, in molti paesi ci sono limiti costituzionali sia alla possibilità di fare debito sia, in alcuni casi, alla possibilità di subordinare la banca centrale alle esigenze del Tesoro. Da questo punto di vista, l’assetto istituzionale dell’Eurozona è molto chiaro. La BCE ha un mandato limitato – la stabilità dei prezzi – ed è indipendente dagli stati membri e anche dagli organi di governo dell’Unione Europea. Nell’Eurozona vige anche il divieto di finanziamento monetario dei disavanzi, che comporta il divieto per la BCE di acquistare titoli sul mercato primario ed è un modo per chiarire le diverse responsabilità istituzionali degli stati membri e della BCE. Questo tuttavia non ha impedito alla BCE di mettere in atto strumenti non convenzionali di politica monetaria, come il QE, che comportano massicci acquisti di titoli pubblici sul mercato secondario.
Conclusione
Il dibattito sulla monetizzazione del debito si riapre ciclicamente durante ogni crisi economica. Anche in Italia, alcuni hanno sostenuto la necessità di ritornare alla lira per finanziare direttamente il deficit stampando moneta, “risolvendo” così una volta per tutte il problema del debito pubblico.
Tuttavia, la monetizzazione del debito è uno strumento di cui è facile fare un cattivo uso, creando così forti distorsioni e rischi per l’economia. Il suo utilizzo per finanziare permanentemente il deficit determina un aumento eccessivo dell’offerta di moneta e genera un’inflazione crescente. Inoltre, esso rappresenta un incentivo a rinviare i problemi e a non prendere seri provvedimenti per rendere sostenibili le finanze pubbliche. Alla lunga, può determinare gravi problemi alla credibilità delle istituzioni, oltre che alla tenuta dei conti pubblici.
In conclusione, la monetizzazione potrebbe essere equiparata al defibrillatore: quando è utilizzato per breve tempo su un paziente in arresto cardiaco, come ad esempio un’economia in grave recessione e ad alto rischio di deflazione, potrebbe essere efficace, come suggerito dalla recente letteratura sull’“helicopter money”. Quando però è utilizzato su un paziente sano e per un lungo periodo di tempo può avere effetti collaterali molto gravi.
[1] In realtà, anche se lo stato non detiene il potere di battere moneta come in Italia, o anche se la banca centrale è indipendente dal governo, lo stato riceve il signoraggio dall’emissione di moneta. Per un’analisi più approfondita si veda: https://www.bancaditalia.it/compiti/emissione-euro/signoraggio/index.html
[2] Andolfatto, D., Li, L. (2015). Is the Fed Monetizing Government Debt? Economic Synopses n° 5, Federal Reserve Bank of St. Louis. https://files.stlouisfed.org/files/htdocs/publications/es/13/ES_5_2013-02-01.pdf.
[3] Per esempio in: https://www.brookings.edu/blog/ben-bernanke/2016/04/11/what-tools-does-the-fed-have-left-part-3-helicopter-money/
[4] Si tratta dei titoli di stato emessi a tassi fissi, mentre quelli indicizzati sono protetti dall’inflazione.
[5] https://www.unimpresa.it/debito-pubblico-unimpresa-1-000-miliardi-da-rinnovare-in-legislatura/17009.
[6] IMF (Novembre 2016). Argentina 2016 Article IV Consultation. IMF Country Report n 16/346. https://www.imf.org/external/pubs/ft/scr/2016/cr16346.pdf.
[7] Alesina, A., Summers, L. H. (1993). Central Bank Independence and Macroeconomic Policy: Some Comparative Evidence. Journal of Money, Credit and Banking 25(2) pp. 151-162.