1. Introduzione alla finanza pubblica
Questo capitolo ha due obiettivi. Il primo è descrivere che cosa è la finanza pubblica. Il secondo è rispondere brevemente a quattro fondamentali domande di finanza pubblica: Perché lo Stato dovrebbe intervenire nell’economia? Come? Con quali effetti? Cosa spinge lo Stato ad agire in tal senso?
1.1 Cosa è la finanza pubblica?
La finanza pubblica è quella branca dell’economia che si occupa di studiare l’interazione del settore pubblico con l’economia. In realtà, gli economisti hanno seguito due diversi approcci allo studio di tale interazione:
- Una analisi “positiva” volta a descrivere in maniera oggettiva gli effetti dell’azione del settore pubblico. Ad esempio, parleremo di un approccio positivo quando ci chiederemo quale sarà l’impatto di un aumento di un punto percentuale di IVA sui consumi.
- Una analisi “normativa” volta a valutare cosa il settore pubblico dovrebbe fare. Per esempio, un approccio normativo si propone di valutare se è maggiormente equo per la collettività ottener maggior gettito tassando il reddito oppure i consumi. Naturalmente questa analisi normativa non può prescindere dalle preferenze della collettività rispetto a certi valori; per esempio il peso da dare a obiettivi di equità rispetto a quelli di efficienza economica, il che introduce nell’analisi elementi di soggettività.
Naturalmente, questi due approcci si intrecciano vicendevolmente, nel campo della finanza pubblica come in altre aree economiche. Ciò detto, l’approccio utilizzato nella stesura del corso si prefigge, per quanto possibile, di indagare in maniera oggettiva lo studio della finanza pubblica, tralasciando quindi esigenze normative, ovvero giudizi di valore formulati in modo soggettivo.
Detto questo, occorre comunque porsi una domanda di carattere normativo, seppure esprimendola in termini generali: “è sensato e ragionevole che lo Stato intervenga nell’economia?”.
1.2 Le quattro domande della finanza pubblica
“Non c’è alcun principio, alcuna regola normativa unitaria che possa essere applicata alla conduzione della finanza pubblica”
Questa è una citazione da un famoso testo di Richard Musgrave del 1959 che è tuttora valida.[1] Anche oggi non esiste un insieme di principi e di regole universalmente accettati per guidare le scelte di finanza pubblica. Tuttavia, questa considerazione non impedisce di individuare un metodo per affrontare il problema e, quantomeno, per individuare le ragioni per cui un intervento dello Stato nell’economia delle volte si rivela necessario.
1.2.1 Perché lo Stato dovrebbe intervenire?
Lo stesso Musgrave definisce tre funzioni all’interno delle quali possono essere classificati quasi tutti gli interventi del settore pubblico: una funzione allocativa, una redistributiva e una di stabilizzazione del ciclo economico.
Nella funzione “allocativa” rientrano quegli interventi che cercano di correggere i meccanismi di mercato quando questi non garantiscono una allocazione socialmente ottimale delle risorse. Il punto è che molti beni collettivi non possono essere forniti dal mercato o non è efficiente che siano forniti dal mercato. Lo Stato, quindi, attraverso la tassazione, la regolamentazione e la spesa deve intervenire per correggere i cosiddetti “fallimenti di mercato” che impediscono che le risorse produttive siano allocate in linea con la massimizzazione del welfare della società. In proposito, in una economia di mercato come la nostra le risorse sono allocate tra diverse attività sulla base di un sistema basato sui prezzi. Tuttavia, può accadere che il sistema dei prezzi invii dei segnali “sbagliati” e che quindi sia necessario l’intervento dello Stato per incorporare il costo sociale di alcuni beni e servizi nel sistema dei prezzi.
Se io consumando benzina inquino l’ambiente e non ne subisco il costi (il prezzo della benzina non riflette questo costo per la società), tenderò a consumare troppo. La mia attività causa un effetto esterno, una “esternalità” che non viene riflessa nei prezzi. Da qui la necessità per lo Stato di intervenire per correggere, per esempio, attraverso la tassazione attività che inquinano.
Più nello specifico, è difficile pensare che il mercato possa fornire il servizio della difesa nazionale o quello della sicurezza interna, anche se in questo caso iniziative private regolamentate spesso si affiancano all’intervento pubblico. Vi è anche un consenso abbastanza ampio sul fatto che lo Stato abbia un ruolo importante nel fornire un servizio scolastico accessibile a tutti, anche se in questo caso si discute da sempre su quale ruolo debbano avere i privati. In Italia nel 2017 la spesa per istruzione valeva circa 60 miliardi e quella per la difesa poco più di 23.[2] Queste cifre misurano l’entità della riallocazione di risorse che lo Stato opera per questi due servizi, sottraendo risorse al mercato attraverso la tassazione.
La seconda funzione è quella “redistributiva”: in generale gli economisti ritengono che il mercato abbia una grande capacità di fornire beni e servizi in modo efficiente, ma non vi è alcuna presunzione che la distribuzione del reddito che il mercato genera sia in qualche senso quella desiderabile. Non vi è anzi nessun criterio condiviso per stabilire quale sia una distribuzione desiderabile. Si sa che una distribuzione eccessivamente egualitaria rischia di scoraggiare l’intrapresa privata, ma si sa anche che una distribuzione eccessivamente diseguale può essere di ostacolo alla coesione sociale e alla crescita economica. Il dato di fatto è che quasi tutti gli stati intervengono con l’obiettivo di rendere la distribuzione del reddito meno diseguale di quella che viene generata spontaneamente dalle forze di mercato.
La terza funzione dello Stato individuata da Musgrave è la “stabilizzazione del ciclo”. Come noto, su questo punto vi sono opinioni molto diverse fra gli economisti. Vi è chi ritiene che un’economia di mercato sia intrinsecamente instabile e necessiti dunque di continui interventi di riequilibrio. Vi è chi invece ritiene che gli interventi finalizzati al riequilibrio finiscano spesso per aggravare il problema, ad esempio generando livelli eccessivi del debito pubblico. In ogni caso, tutti i governi intervengono con l’obiettivo di stabilizzare il ciclo economico. Tipicamente, quando l’economia è in recessione si aumentano i disavanzi pubblici e si riducono i tassi di interessi. L’opposto accade, o dovrebbe accadere, quando invece si percepisce il rischio di un surriscaldamento dell’economia e dunque di un aumento dell’inflazione.
La grave recessione, innescata nel 2008 dalla crisi dei mutui subprime, ha indotto quasi tutti i paesi ad adottare massicce misure di sostegno dell’economia. Queste politiche sono state probabilmente necessarie per fermare la spirale recessiva che si stava profilando, ma hanno lasciato in eredità debiti pubblici molto alti in quasi tutti i paesi.
È importante inquadrare e perseguire queste tre macro funzioni di finanza pubblica in un quadro di sostenibilità fiscale, come sottolineato da Musgrave. Questo non implica, come vedremo più approfonditamente nel capitolo terzo, che in ogni caso lo Stato dovrebbe evitare ogni forma di ricorso al debito; piuttosto che quest’ultimo, in rapporto alla crescita economica, debba essere sostenibile nel medio-lungo periodo. Ad esempio, il risultato di un debito pubblico eccessivo e di una conseguente spesa per interessi ingente, rappresenta un vero e proprio fardello per le finanze pubbliche. Si pensi che in Italia, solo nel 2017, la spesa per interessi ammontava a 65 miliardi di euro, quasi due punti percentuali al di sopra dell’Area Euro (3,8 per cento contro 2 per cento).
1.2.2 Come intervenire?
Sarebbe ora logico chiedersi come il governo debba intervenire. Un modo attraverso il quale lo Stato può affrontare i fallimenti di mercato è attraverso il meccanismo dei prezzi. Le strade a disposizione sono essenzialmente due:
- Attraverso la tassazione, la quale modifica il prezzo dei prodotti, generalmente aumentandolo;
- Attraverso dei sussidi, i quali normalmente diminuiscono il prezzo dei prodotti.
Ad esempio, in assenza di un servizio sanitario gratuito, potrebbe accadere che alcune famiglie necessitino dell’aiuto per vedersi garantite le cure necessarie. Questo può essere stanziato attraverso dei sussidi, o meglio, attraverso dei crediti di imposta, che compensino il costo della polizza assicurativa.
Alternativamente, il governo potrebbe scegliere di fornire direttamente il bene in questione. Si pensi all’Italia, dove il servizio sanitario nazionale è gratuito, o meglio, finanziato dalla fiscalità generale, e agli Stati Uniti dove invece la maggior parte del sistema sanitario è gestito privatamente. Se il primo è un chiaro esempio di come la assistenza sanitaria sia da considerarsi un bene pubblico, il secondo testimonia il contrario.
Ancora, lo Stato potrebbe decidere di non fornire il bene in maniera diretta, piuttosto di obbligarne l’acquisto oppure di limitarne la vendita. Sempre in tema di assistenza sanitaria, Germania e Svizzera forniscono un buon esempio in tal senso. Sia l’una sia l’altra non provvedono direttamente a fornire il bene, almeno parzialmente, ma ne prevedono l’obbligatorietà attraverso l’acquisto una copertura assicurativa.
1.2.3 Quali sono i potenziali effetti?
La terza domanda che avevamo posto era quali fossero gli effetti di tali interventi. Di nuovo, l’obiettivo non è una trattazione esaustiva dell’argomento, piuttosto fornire qualche cenno introduttivo. Oltretutto, è certamente complesso valutare a priori l’impatto che l’introduzione di una policy comporta, ci limiteremo quindi a descrivere la tipologia di effetti che questa può avere piuttosto che le sue implicazioni empiriche.
Nell’architettare una policy, il governo dovrà tener presente due potenziali effetti:
- Diretti: ovvero quegli effetti che possono essere quantificati qualora gli individui non cambino il loro comportamento a seguito dell’introduzione della misura. Ad esempio, potremmo calcolare il gettito aggiuntivo di un punto di IVA in più, considerando che gli individui non cambino le loro preferenze in termini di consumi.
- Indiretti: ovvero quegli effetti che si verificano solo a causa dell’introduzione di una policy. Riferendoci all’esempio sopracitato, parrebbe inverosimile ipotizzare uno scenario simile nel calcolo di gettito aggiuntivo a seguito di un aumento dell’IVA; sarà plausibile ipotizzare un diverso comportamento in termini di consumi.
1.2.4 Cosa spinge lo Stato ad intervenire?
Chiudendo il cerchio, la quarta domanda che ci eravamo posti riguardava le motivazioni per cui un governo decide di agire in una maniera piuttosto che un’altra. Una tale questione, riprende in qualche modo la prima e la seconda domanda che ci eravamo posti (Perché lo Stato interviene e con quali mezzi). Tuttavia, si è cercato di rispondere utilizzando un approccio meramente positivo, ovvero valutando in maniera oggettiva le motivazioni che rendono ragionevole l’intervento del governo nell’economia e con questo, quali mezzi ha a disposizione. La natura di quest’ultima domanda, ha invece una radice normativa, ovvero richiede dei giudizi di valore nel comprendere le singole misure da implementare. Insomma, le scelte di politica economica che ogni singolo governo deve affrontare devono considerare una ampia visione di vedute e di preferenze, determinanti per comprendere come architettare una policy per far fronte ad un fallimento di mercato, ad esempio.
Le motivazioni per cui gli Stati Uniti abbiano deciso di fare affidamento principalmente su una assicurazione sanitaria privata, mentre invece in Italia si sia optato per una pubblica, giacciono in preferenze differenti da parte della popolazione, che hanno radici socio-culturali. Insomma, chiudendo il cerchio, ci si accorge come sia difficile scindere un approccio normativo da uno positivo e come le scelte di finanza pubblica non siano ascrivibili soltanto a valutazioni oggettive, ma come, il più delle volte, implichino giudizi di valore personali.