InPiu'

Working poor e salario minimo

28 gennaio 2022

Working poor e salario minimo

Condividi su:

Secondo la relazione di una commissione ad hoc costituita presso il ministero del lavoro, in Italia un quarto dei lavoratori ha una retribuzione individuale bassa - cioè, inferiore al 60 per cento della mediana - e più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà - cioè, vive in un nucleo famigliare con reddito netto equivalente inferiore al 60 per cento della mediana. Una della proposte avanzate per affrontare il problema è quella del salario minimo per legge. Lungo queste linee di sta muovendo anche la Commissione Europea. E’ evidente che il salario minimo non risolve tutti i problemi, perché una buona parte dei working poor sono tali  perché hanno lavori discontinui o lavorano poche ore.
 
Tuttavia, il salario minimo aiuterebbe e, se collocato attorno al 60 per cento della retribuzione mediana, non dovrebbe avere effetti negativi sulla competitività delle imprese, quanto meno delle imprese serie. Taglierebbe le gambe – questo sì- a quelle microimprese che vivono proprio grazie ai bassi salari e all’evasione fiscale e che rappresentano una buona parte di quell’11 per cento di Pil sommerso che è una delle grandi anomalie dell’Italia. E’ ora di chiamare le cose con il loro nome: queste sono “imprese zombie”, che sopravvivono grazie al contributo di lavoratori mal pagati e dei contribuenti. Il loro destino è uscire dal mercato.  I sindacati strepitano contro i working poors e i contratti pirata, ma si oppongono al salario minimo, perché temono di perdere ruolo; una visione miope che ne mina la credibilità come paladini dei lavoratori.

Un articolo di

Giampaolo Galli

Condividi su:

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?