L’accordo OCSE/G20 sulla tassazione delle imprese multinazionali è stato giustamente definito storico perché si torna a ragionare di accordi multilaterali e perché troppe grandi imprese avevano esagerato nell’utilizzo di ogni possibile artificio per aggirare le tasse. L’accordo è un atto di equità nei confronti di tutti coloro che le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo.
Se si fanno i conti però il quadro cambia. Il Ministro Daniele Franco ha dichiarato che probabilmente l’Italia incasserà circa 250 milioni dalla nuova tassa, più o meno lo stesso ammontare che ricava adesso dalla tassa nazionale che colpisce le sole multinazionali del web e che, in base agli accordi, verrà abolita. Ora 250 milioni non sono nulla, ma sono una cifra irrisoria rispetto alle aspettative di chi pensava che inseguendo le cattive multinazionali si potesse fare finalmente una grande operazione di redistribuzione del reddito e rendere così sostenibile un welfare che continua a caricarsi di nuovi oneri. Né la tassa esistente sulle cattivissime multinazionali del web né la nuova tassa su tutte le (grandi) multinazionali cambieranno il profilo del nostro welfare, del nostro debito pubblico, della distribuzione della ricchezza; non cambierà nulla.
Qualcuno, fra coloro che avevano alimentato quelle aspettative, dice, forse per consolarsi, che l’aliquota al 15% è troppo bassa. Può darsi. Ma anche se fosse raddoppiata e se, tenuto conto anche dell’altra gamba dell’accordo -sulla redistribuzione di una parte degli utili fra paesi –, si riuscisse a raddoppiare il gettito, si arriverebbe a 500 milioni. Rimarrebbe una cifra irrisoria rispetto alle grandi aspettative che sono state alimentate da molti anni a questa parte. Soprattutto, rimarrebbe un’inezia rispetto agli oltre 100 miliardi di evasione fiscale in Italia stimati dal MEF.
E’ ora di cominciare a fare sul serio la lotta all’evasione, che in Italia, purtroppo è evasione di massa. Lo dice la stessa relazione del MEF quando presenta i dati dell’evasione di lavoratori autonomi e microimprese soggette all’IRPEF: il gap è del 69,2 per cento, il che significa che queste categorie pagano poco più del 30% di quanto dovrebbero. A pensarci bene, forse uno dei vantaggi dell’accordo è proprio questo: per i politici in cerca di facile popolarità non sarà più tanto facile dire che basta tosare le multinazionali per risolvere il problema dell’evasione e magari anche quello del debito pubblico.