Politiche keynesiane di stimolo alla domanda, senza effetti sull’offerta aggregata, generano più debito.
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Un paper pubblicato nei giorni scorsi da alcuni ricercatori della Banca d’Italia mette una pietra tombale sugli incentivi edilizi. Gli incentivi sono stati ben lungi dall’autofinanziarsi; sommando il superbonus e il bonus facciate, hanno avuto un costo complessivo, fino a dicembre 2023, di 170 miliardi e hanno generato un maggior gettito per lo stato di soli 70 miliardi. Costo netto: ben 100 miliardi di maggior debito pubblico. Il loro contributo alla crescita economica del triennio 2021-2023 (+13,5%) è valutabile in soli 2,6-3,4 punti percentuali. In altre parole, in assenza degli incentivi, la crescita sarebbe stata attorno al 10-11%. Si aggiunga che queste valutazioni retrospettive non tengono conto di ciò che sta succedendo adesso, a seguito del venir meno degli incentivi. Ce lo dicono le imprese di costruzioni che stanno rimanendo senza commesse, malgrado che gli investimenti del PNRR ne sostengano in qualche misura l’attività. La ragione è ovvia. Un incentivo che non ha effetti sul potenziale di crescita dell’economia, quando viene meno, è destinato a produrre un effetto negativo più o meno della stessa ampiezza di quando è stato introdotto. Quindi, anche senza fare complicati calcoli, si può facilmente concludere che l’effetto netto sul Pil dell’anno 2024 e seguenti è essenzialmente nullo; come se gli incentivi non ci fossero mai stati. Nel caso dei bonus edilizi, gli effetti negativi di fine corsa potrebbe anche essere maggiori degli effetti positivi iniziali se, come è probabile, qualche proprietario di immobile è stato indotto ad anticipare investimenti che sarebbero stati fatti comunque negli anni successivi.
C’è chi pensa che gli incentivi edilizi un qualche effetto positivo sul potenziale di crescita possano averlo avuto tramite i cosiddetti effetti di “isteresi”; in altre parole, senza gli incentivi, il Pil sarebbe stato un po’ più basso, un minor numero di lavoratori avrebbe acquisito competenze “on the job” e la capacità innovativa del sistema sarebbe stata un po’ minore. Può darsi, ma la ricerca della Banca d’Italia ci dice che questi effetti, se ci sono stati, sono stati minuscoli. Soprattutto, se si ragiona su effetti di medio o lungo termine, la pietra di paragone sono gli incentivi agli investimenti produttivi e all’innovazione: industria 4.0 e seguenti. Questi incentivi sostengono la domanda nel breve periodo, anche più degli incentivi edilizi, ma, soprattutto, danno vigore al potenziale di crescita dell’economia. Politiche keynesiane di semplice stimolo alla domanda, senza apprezzabili effetti sull’offerta aggregata, sono condannate a lasciare dietro di sé rovine: più debito e nessun contributo al Pil. Una lezione antica: speriamo che sia stata imparata.
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