All’Ecofin la trattativa per le nuove regole europee sui conti pubblici: 11 Paesi chiedono più attenzione al debito.
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Oggi l’Ecofin, il comitato dei ministri delle Finanze dell’Unione europea, discuterà le nuove regole sui conti pubblici che, dopo la sospensione di quelle vecchie nel periodo Covid, dovrebbero diventare operative dal 2024. Si discuterà, ma manca ancora un accordo su un tema che influirà non poco sulla futura evoluzione delle nostre politiche di bilancio e sui rapporti tra il nostro Paese e le istituzioni europee. A che punto siamo?
Lo scorso aprile la Commissione europea ha pubblicato una proposta di riforma piuttosto radicale (si veda il mio commento qui). Rimarrebbe il tetto del 3 per cento del Pil per il deficit pubblico, ma, a parte questo, il sentiero di riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil non dipenderebbe più da una regola numerica fissa, ma avverrebbe a una velocità da negoziare Paese per Paese, con un orientamento di medio termine (nel breve periodo il rapporto tra debito e Pil potrebbe persino aumentare) e tenendo conto delle riforme e degli investimenti che un Paese si impegnerebbe a realizzare. L’approccio è, in linea di principio, sensato perché ogni Paese è diverso dall’altro e perché, effettivamente, riforme e investimenti influiscono sulla sostenibilità del debito. Il problema, però, è che questo approccio concede alla Commissione europea, che in prima battuta dovrà negoziare i piani di rientro del debito Paese per Paese, un grande potere discrezionale. La discrezione implicita nella proposta della Commissione non garantisce nulla a priori: occorre fidarsi di come la Commissione si comporterà. E c’è chi non si fida.
Ieri questo giornale ha pubblicato la lettera congiunta dei ministri delle Finanze di 11 Paesi europei che esprimono sostanziali critiche alla proposta di Bruxelles. L’orientamento a medio termine, per certi aspetti, va bene, ma “adottando una maggiore focalizzazione sul medio termine non si può neanche arrivare a situazioni in cui le future sfide vengano utilizzate per ritardare o posporre quegli adeguamenti finanziari oggi necessari” (ossia non ci fidiamo delle promesse dei Paesi). E dare alla Commissione più discrezionalità nell’accettare i piani di rientro lascia causa troppa incertezza: “Consideriamo un nostro compito lavorare al fine di formulare regole finanziarie affidabili, trasparenti, facilmente misurabili e vincolanti in Europa” (ossia non ci fidiamo della Commissione).
Gli 11 Paesi sono guidati dalla Germania (gli altri sono Austria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Danimarca, Croazia, Slovenia, Lussemburgo e i tre baltici). La riforma delle regole europee deve essere approvata da una maggioranza qualificata, il che significa il 55 per cento dei Paesi e il 65 per cento della popolazione. Gli 11 Paesi in questione non bastano per bloccare l’adozione della riforma. Basterebbe però l’aggiunta di Olanda e Finlandia (spesso schierate coi falchi) per costituire una minoranza di blocco. Questo implicherebbe il ritorno alle vecchie regole che sono ormai considerate irrealistiche e che comporterebbero, per Paesi come l’Italia, la riduzione del rapporto tra debito e Pil di quattro punti percentuali l’anno (una cura da cavallo).
In questa situazione si arriverà probabilmente a un compromesso (un mancato accordo sarebbe deleterio, visti anche i rischi di una reazione negativa dei mercati). Qualche regola quantitativa più precisa, come proposto dai firmatari della lettera sopra citata, sarà probabilmente aggiunta all’impianto proposto della Commissione, che difficilmente però verrò stravolto. Ma per l’Italia c’è un altro punto piuttosto delicato. Ho detto che anche la proposta della Commissione prevede la permanenza del tetto del 3 per cento del debito pubblico. Al momento il nostro governo ha programmato un deficit del 3,7 per cento nel 2024. Se, nelle nuove regole, lo sforamento comportasse automaticamente l’inizio di una procedura per deficit eccessivo, l’Italia potrebbe trovarsi già dal prossimo anno nella lista dei “sorvegliati speciali”. A favore del governo italiano giocano però due fattori politici: primo, altri Paesi attualmente prevedono deficit superiori al 3 per cento nel 2024; secondo, in un anno di elezioni europee la Commissione potrebbe essere più clemente del solito nel valutare gli sviluppi dei conti pubblici di un ampio numero di Paesi che potrebbero essere decisivi nell’elezione del nuovo Presidente. Ma anche il voto dei falchi sarà importante. La situazione resta perciò parecchio incerta. Mi sa che molti in Italia rimpiangeranno il periodo in cui le regole erano sospese e il nostro deficit era finanziato dalla BCE come da un bancomat.
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