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Se torniamo fanalino di coda

30 ottobre 2024

Se torniamo fanalino di coda

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Con una crescita zero nel trimestre rispetto a quello precedente, contro un aumento del Pil dell’Eurozona dello 0,4%, non siamo gli ultimi, ma ci andiamo vicino.

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Il dato sulla crescita del Pil nel terzo trimestre è una brutta doccia fredda per il nostro Paese. Per usare una trita, eppur efficace, figura retorica siamo tornati a essere il fanalino di coda dell’Eurozona. Con una crescita zero nel trimestre rispetto a quello precedente, contro un aumento del Pil dell’Eurozona dello 0,4%, non siamo proprio gli ultimi, ma ci andiamo vicino. Peggio di noi fanno solo Lettonia e Ungheria. Ai primi posti, come accade ormai da diversi trimestri, sta la Spagna: più 0,8% nel trimestre (ritmi americani). Ha fatto meglio di noi persino la Germania in crisi (0,2%). Il nostro distacco è più netto rispetto alla Francia (0,4%), che molti davano ormai per spacciata dopo la recente crisi politica.

Non affliggiamoci troppo. Si tratta di un singolo trimestre e le stime Istat sono ancora preliminari. In realtà, prima del terzo trimestre non stavamo andando male. Da quando il governo Meloni ha prestato giuramento fino al secondo trimestre di quest’anno, il nostro Pil è cresciuto in linea con quello dell’Eurozona. Certo, non è vero, come sostenuto dalla presidente del Consiglio, che crescevamo più degli altri, citando dati della crescita del Pil del 2023 rispetto al 2022 che beneficiavano di una spettacolare spinta verso l’alto impressa al Pil nel corso del 2022, quando al governo c’era Draghi. Ma dopo decenni da fanalino di coda, crescere come la media sembrava una buona notizia (anche se, a dire il vero, questo voleva semplicemente dire mantenere il distacco accumulato in passato).

Troppo presto quindi per fasciarsi la testa. Non possiamo però neppure ignorare il segnale che ci arriva da questi dati. Primo, perché il divario aperto nel terzo trimestre è pesante, al punto che anche nella classifica della crescita rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso arretriamo parecchio: l’aumento del Pil italiano in questo periodo è stato dello 0,4%, meno della metà di quello dell’Eurozona (0,9% che, se si escludesse l’Italia, salirebbe all’1,1%). Secondo, perché con questo risultato l’obiettivo reiterato dal governo nella legge di bilancio di una crescita per il 2024 dell’1% diventa impossibile da raggiungere. Si viaggia sullo 0,6-0,7%, nonostante quattro giorni in più di giornate lavorative nel 2024 rispetto al 2023. Inoltre, se da qui in poi crescessimo alla stessa velocità media degli ultimi tre trimestri, nel 2025 il Pil crescerebbe solo dello 0,6%, la metà di quanto ipotizzato nella legge di bilancio, con probabili conseguenze negative per le entrate dello Stato e per il deficit. Infine, il fatto che il Pil, che è il prodotto del nostro lavoro, cresca così lentamente rispetto all’aumento dell’occupazione (in forte crescita almeno fino ad agosto) conferma che stiamo creando posti di lavoro a bassa produttività e/o part time. Lavoro povero, in altri termini.

Perché la frenata del terzo trimestre? Il comunicato dell’Istat è troppo scarno per un’analisi approfondita. Ha sofferto maggiormente l’industria, ma, probabilmente, anche il settore dei servizi ha rallentato. A voler essere ottimisti, si può pensare che sia un rallentamento temporaneo o che, magari, l’Istat rivedrà il dato verso l’alto. A voler essere pessimisti, si può pensare che si stia ormai esaurendo la spinta legata alle politiche iperespansive del 2021-2023 con deficit pubblici tra il 7% e il 9% del Pil. In quest’ottica, quel po’ più di crescita che abbiamo avuto negli ultimi anni era drogata da politiche non sostenibili: con un deficit pubblico sceso al 3,7% del Pil nel 2024 e con politiche monetarie più restrittive siamo tornati alla nostra normalità di fanalino di coda. E continuerà così finché non affronteremo davvero i problemi strutturali che spiegano la bassa crescita della produttività: troppa burocrazia, poca concorrenza, tassazione alta e inefficiente, spesa pubblica da rivedere, una giustizia ancora lenta (nonostante qualche progresso), investimenti pubblici che, anche per il PNRR, procedono a passo di lumaca. Probabilmente tra queste due visioni la realtà sta nel mezzo. Di certo non possiamo illuderci di “avere svoltato”. Prendiamo il dato del terzo trimestre come un campanello d’allarme, utile per chi si lanciava in altisonanti peana solo perché per un po’ di trimestri riuscivamo a tenere il passo col resto dell’Europa.

Leggi l’articolo completo qui.

Un articolo di

Carlo Cottarelli

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