Professor Galli, siamo sulla via della Nadef. Mi dica una cosa, a bocce ferme, in questo momento, quanti miliardi ha a disposizione il governo per la manovra sul 2024?
Lo spazio dovrebbe rimanere quello quantificato nel Def di aprile: 4,5 miliardi. Che è coerente con l’obiettivo della Nadef dell’anno scorso e nel Def di aprile con un obiettivo di indebitamento netto del 4,5 per cento del Pil. In più bisogna aggiungere quello che riusciranno a trovare da eventuali risparmi dovuti a spending review, sulla quale però non mi pare di notare un grande impegno. Nel Def si parla di 300 milioni.
Quanto serve anche solo per rifinanziare le misure come il taglio del cuneo fiscale di Draghi e Meloni?
Siamo attorno ai 10 miliardi solo per il cuneo. Poi abbiamo le politiche invariate, che scadono a fine anno e vanno rinnovate: missioni internazionali, armi all’Ucraina ecc. La Corte dei Conti le ha quantificate in circa 6 miliardi. E tra le politiche invariate ci sono anche i rinnovi del pubblico impiego per adeguarli all’inflazione. Stiamo parlando di una cifra considerevole, ben 30-32 miliardi di euro che non sarà facile scaglionare su più anni. Sommando tutto siamo già a 46 miliardi.
E per la riforma fiscale, che parte dalla riorganizzazione dell’Irpef?
La delega è molto generica. Bisogna vedere poi, nei decreti attuativi, cosa vuole fare effettivamente il governo su Irpef e quant’altro. C’è da tener d’occhio la riorganizzazione annunciata delle deduzioni, le tax expenditures. Tenendo conto che se si riducono le aliquote ma al tempo stesso si tagliano deduzioni e detrazioni si fa un’operazione forse giusta, ma non si riduce la pressione fiscale, che è l’obiettivo dichiarato dal governo.
Lato entrate la partita è bella complicata. Il governo è a caccia di soldi ma non sa dove andarli a prendere. Alla fine la norma sui cosiddetti extraprofitti delle banche porterà a risorse consistenti dal suo punto di vista? Quante?
Non abbiamo ancora fatto i conti. Ma che sia 1 o 2 miliardi, questi sono comunque una tantum. Questi riguardano i cosiddetti extraprofitti che si registrano in questa fase eccezionale. Non è una norma strutturale che aumenta le tasse in permanenza sulle banche.
Il governo dichiara, nel provvedimento approvato lunedì, che il nuovo prelievo servirà per finanziare, tra le altre cose, il taglio delle tasse. Ma quanto è credibile una promessa del genere? Cioè la tassa è una tantum, il taglio delle tasse, nei piani dell’esecutivo, sarà strutturale…
Questa cosa non è possibile. Non verrebbe consentita dalla Ragioneria dello Stato. Se una norma non è bollinata, mette in grande difficoltà il Presidente della Repubblica al momento della promulgazione.
Il governo dove andrà a prendere altre risorse. Quante a suo parere? Idee da dove potrebbero prenderle? Oppure si dovrà procedere obbligatoriamente con tagli a sanità, pensioni, scuole, sicurezza e via dicendo?
La mia opinione è che non ci sono facili risorse da reperire. Anche perché, come abbiamo visto adesso con il ridimensionamento del Reddito di cittadinanza, quando tu hai dato un sussidio a qualcuno poi diventa molto difficile toglierlo. E il governo, va riconosciuto, ha avuto un certo coraggio nel ridimensionare il Rdc. Detto questo, credo che il resto consista nel lavoro che fa l’amministratore delegato di qualunque impresa: andare riga per riga su tutte le spese di tutti i ministeri e vedere dove intervenire. Una cosa salta subito all’occhio: basta fare quattro passi per un ministero italiano per vedere che ci sono spazi enormi di risparmio.
Dunque che fare?
Attivare quelle norme che consentono di mettere le persone in un pool da cui possono essere utilizzate in diverse amministrazioni. Noi abbiamo questa cosa un po’ assurda che se uno è assunto da un Comune, da quel Comune non si può muovere e via dicendo. Noi dobbiamo attivare norme che pure esistono e che consentono di evitare che ci siano nuove assunzioni dato che ci sono persone in eccesso da altre parti. Questo è un punto di partenza, ovviamente unito a un impegno serio – in parte già affrontato con serietà negli ultimi anni – contro l’evasione e le frodi fiscali, come su Rdc e 110%.
L’anno scorso il governo diceva che doveva concentrare buona parte della manovra per il 2023, 21 miliardi su 35, sul caro bollette. “La nostra prima vera manovra sarà quella per il 2024” dicevano. Però anche quest’anno, mi pare di capire, gli spazi restano stretti?
Quella del 2024 è la prima vera manovra di sostanziale austerità. Il deficit pubblico quest’anno è il 4,5 per cento. Per l’anno prossimo è programmato al 3,7 per cento e per il 2025 al 3 per cento. Un’operazione in realtà facilitata da un paio di cose: da un lato i crediti fiscali del 110% che sono stati messi quasi tutti sul 2021 e 2022 dall’Eurostat e che dunque alleggeriscono il bilancio del 2023 e del 2024. Ed è facilitata anche dal fatto che non sarà più necessario spendere quei 21 miliardi per il contrasto al caro energia messi in campo lo scorso anno. Ciò detto la svolta è consistente: dal 4,5 per cento si arriva in due anni al fatidico 3 per cento. E questa non è una scelta arbitraria del governo: è il minimo indispensabile per produrre una modesta riduzione dell’alto debito pubblico. Con questo programma il debito scende dal 144 al 140 per cento nel giro di quattro anni. Una riduzione modesta, anche perché nelle previsioni di crescita del Pil l’Europa non brilla e l’Italia dovrebbe tornare intorno a un 1-1,5 per cento. Questi sono i numeri e dentro questi numeri ci sono tutti i limiti alla politica economica del governo.
Secondo lei, tra le promesse elettorali portate avanti dai partiti di maggioranza in campagna elettorale, ce ne sarà qualcuna che il governo sarà in grado di soddisfare già in questa manovra? Oppure ci sarà un nuovo rinvio di tutte?
Ho l’impressione che ci sarà spazio per qualche piccola bandierina, dal valore ciascuna di qualche centinaio di milioni di euro.
Esattamente come con la manovra dello scorso anno…
L’anno scorso c’era la scusa che buona parte della manovra era sui rincari energetici. Quest’anno questa scusa non c’è. Ma ce ne sarà un’altra: “Se non facciamo così, ci riaumenta il debito pubblico”. Teniamo conto, tra l’altro, che lo spread, con Giorgia Meloni, non è salito rispetto a quello di Mario Draghi, è vero, ma gli spread degli altri Paesi sono scesi e dunque l’Italia, sotto questo punto di vista, è l’osservata speciale, con uno spread più alto persino della Grecia.
In un contesto del genere, interventi come quello sui cosiddetti extraprofitti non aiutano…
Non aiutano. Non che non si possano fare misure di questo tipo. Ma devono essere presentate in maniera completamente diversa. Dire che questi sono “profitti ingiusti” non suona bene. Il fatto che il ministro dell’Economia non si sia presentato in conferenza stampa unito alle modalità di presentazione da parte del vicepremier Matteo Salvini e alle precisazioni del Mef del giorno dopo, ecco tutto ciò dà l’impressione di una certa improvvisazione. Tutto questo non aiuta.
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