Il Financial Times ieri sollevava un tema che è fondamentale per gli sviluppi economici e politici in Italia non solo per il prossimo anno, ma anche nel medio periodo: se Draghi lasciasse la presidenza del consiglio il sentiero delle riforme sarebbe messo a rischio. Naturalmente si potrebbe notare che, comunque, il governo Draghi giungerebbe al suo naturale termine con le elezioni generali della primavera del 2023. Ma il 2022 è fondamentale per il prosieguo delle riforme. Cerchiamo di capire perché.
I dieci mesi da quando Draghi è arrivato a Palazzo Chigi sono stati densi di risultati. La campagna vaccinale è avanzata rapidamente (tanto da essere invidiata da Angela Merkel), il Pnrr è stato presentato e approvato dalla Commissione Europea, e importanti riforme sono state avviate: tra queste la riforma della giustizia civile, quella della giustizia penale, la riforma della concorrenza, la semplificazione burocratica, la riforma fiscale. Una legge di bilancio adeguata alle esigenze del Paese è in corso di approvazione e stanzia fondi per la riforma degli ammortizzatori sociali e per un primo taglio delle tasse. Certo non ha reso felici né Confindustria né i sindacati, il che forse significa che si è scelta la giusta via di mezzo. Si potrebbe allora dire: ma se si sono fatte già tutte queste cose, non si dovrebbe considerare completato il lavoro di questo governo di emergenza e grande coalizione? No e lo si capisce bene scendendo nel dettaglio. Per quanto importanti, i passi fatti restano da completare. Infatti, le riforme approvate o in via di approvazione utilizzano spesso lo strumento della legge delega: il Parlamento delega il governo a scrivere decreti legislativi aventi forza di legge, ponendo solo dei vincoli, più o meno stretti, che dovranno essere rispettati. È così per la riforma della giustizia civile, per quella della giustizia penale, per parti della riforma della concorrenza e, soprattutto, per la riforma del fisco dove la legge delega in corso di approvazione in parlamento contiene vincoli particolarmente vaghi, lasciando quindi un amplissimo grado di discrezionalità al governo. Ovvio che risulterà cruciale chi sarà responsabile nel 2022 dei decreti legislativi necessari per il completamento delle riforme ora avviate, nonché degli ulteriori passi previsti dal Pnrr nel prossimo anno.
Anche per la conduzione dei conti pubblici il prossimo anno assume un’importanza fondamentale. Il deficit pubblico nel 2022, al 5,6 per cento del Pil, riflette ancora le esigenze congiunturali della crisi. Nella legge di bilancio per il 2023 sarà necessaria una sua riduzione e la presenza di Draghi a palazzo Chigi durante la preparazione della prossima legge di bilancio consentirebbe probabilmente un’uscita più bilanciata dalle attuali politiche espansive. Ma non è soltanto questione della prossima legge di bilancio. Nel 2022 verranno riscritte le regole europee sui conti pubblici che influenzeranno la gestione della finanza pubblica nostra e degli altri paesi europei nei prossimi anni. Si tratta di una scelta di importanza cruciale e l’autorevolezza di Draghi può fare un’enorme differenza.
Anche per la gestione della politica monetaria il 2022 è un anno molto importante. La tempistica dell’uscita dalle politiche di sostegno alla liquidità (leggi acquisti di titoli di stato) della Banca centrale europea avrà conseguenze immediate sui tassi di interesse in Europa. E sappiamo quanto la sostenibilità dei nostri conti pubblici dipenda dal livello dei tassi di interesse. Ora, la politica monetaria è gestita dalla Bce, una istituzione indipendente. Ma un buon banchiere centrale, pur decidendo autonomamente, parla con tutti, e le persone con cui parla possono avere molta importanza, soprattutto se hanno esperienza nel settore.
Qualcuno potrebbe notare che Draghi serve anche come presidente della Repubblica. Vero. Ma, visto che non lo si può clonare, occorre scegliere tra le due posizioni, soprattutto ora che sembra che il presidente Mattarella non sia disponibile per un secondo mandato (cosa che, al di là dei motivi personali, mi sembra anche preferibile da un punto di vista istituzionale). Viene ventilata da alcuni l’ipotesi di portare avanti comunque la legislatura, anche dopo un possibile passaggio di Draghi al Colle, attraverso un governo tecnico che porti avanti il corrente programma di riforme. Se si trattasse di una guida a distanza, questo solleverebbe, compreso in termini di precedente istituzionale, serissime obiezioni. Ma resta, in ogni caso, il fatto che chi siede effettivamente a Palazzo Chigi fa una differenza enorme in un lavoro che richiede un impegno, una credibilità e una capacità di mediazione fuori dall’ordinario.
Tutto questo ci dice che, per quanto importanti siano i risultati ottenuti nel corso degli ultimi dieci mesi, una conclusione prematura di questo governo vada evitata. La recente promozione da parte dell’agenzia di rating Fitch e il giudizio positivo dato dalle organizzazioni internazionali su quanto fatto dal governo italiano indica che anche a livello internazionale il recente progresso viene apprezzato. Ma che esistano ancora forti incertezza sul futuro dell’Italia, a mio giudizio condizionale dall’incertezza sul futuro del governo, è provato dal persistere dello spread, l’indicatore più sintetico del rischio attribuito all’investimento nei nostri titoli di Stato, su livelli elevati rispetto a quelli degli altri Paesi del Sud Europa. E lo spread nelle ultime settimane è risalito a livelli che non si vedevano da oltre un anno. Oltre all’aumento dell’inflazione, non conterà anche il percepito avvicinarsi della fine del governo Draghi, con la sua elezione a presidente della Repubblica?
Draghi è stato appropriatamente silenzioso sulla questione della futura presidenza della Repubblica. Non spetta a lui decidere. La scelta spetta al Parlamento. Da cittadino spero che possa continuare nel suo attuale lavoro e che la decisione sulla presidenza della Repubblica non rifletta l’attrattività che per qualche partito potrebbero avere elezioni anticipate. Draghi sarebbe un ottimo presidente della Repubblica, ma altri eccellenti candidati (uomini e donne) sono disponibili. Sostituirlo come presidente del Consiglio sarebbe molto più difficile.