Il Foglio

Produttività e declino. I mali dell’Italia arrivano anche nel Regno Unito?

08 dicembre 2023

Produttività e declino. I mali dell’Italia arrivano anche nel Regno Unito?

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“È un paese che, sotto molti aspetti, è diventato meno dinamico negli ultimi decenni ed è stato colpito dalle sfide interconnesse della debole crescita della produttività e della stagnazione degli standard di vita”. Suona familiare?

No, non stiamo parlando dell’Italia, ma del Regno Unito. Infatti, è la sintesi del rapporto “The Economy 2030 Inquiry”, una collaborazione durata tre anni tra la Resolution Foundation e il Centre for Economic Performance della London School of Economics, e finanziato dalla Nuffield Foundation. Il rapporto è stato discusso in una conferenza di cui ha dato notizia Luciano Capone su questo giornale, a cui hanno partecipato Keir Starmer, il leader del partito laburista, e Jeremy Hunt, l’attuale ministro delle finanze del governo conservatore di Rishi Sunak.

È un progetto a cui abbiamo dato un contributo con un paper “Lezioni dal declino economico italiano”, tratto dal nostro recente libro su crescita economica e meritocrazia. Ovviamente, sono lezioni in negativo. E nel rapporto il leitmotiv è proprio questo: cerchiamo di non finire male come l’Italia.

Sta il Regno Unito diventando un po’ come l’Italia?

Starmer, forte di 20 punti percentuali di vantaggio nei sondaggi, si sente già primo ministro in pectore e ha affermato a chiare lettere che “ciò che definirà il prossimo governo laburista, la missione che sta al di sopra di tutte le altre, sarà quella di aumentare la crescita della produttività del Regno Unito”. Ha anche detto che chiunque si aspettasse che il nuovo governo laburista “apra rapidamente i rubinetti della spesa” rimarrà deluso.

Anche per Jeremy Hunt “l’unico modo, nel lungo termine, per migliorare il tenore di vita è aumentare la produttività”.

Per quanto possa sembrare strano per due politici navigati e con lunga esperienza, entrambi hanno focalizzato il loro intervento sulla produttività, un concetto a volte un po’ ostico per chi deve parlare alla gente comune e non ad economisti.

Il rapporto rileva che durante gli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila il Regno Unito stava recuperando terreno rispetto a paesi più produttivi come Francia, Germania e Stati Uniti, un processo che si è interrotto con la crisi finanziaria del 2008-2009 mettendo in luce come il precedente modello di sviluppo non fosse sostenibile.

La crescita dell’economia sarà un campo di battaglia elettorale per entrambi i principali partiti, ma è certamente incoraggiante vedere che quantomeno i problemi sono pienamente compresi, anche se ovviamente le ricette economiche sono diverse.

E in Italia? I problemi di produttività dell’Italia sono molto più di lunga data, molto più profondi e radicati, e molto più preoccupanti. L’Italia è tormentata da quasi mezzo secolo di stasi e declino e offre un duro avvertimento al Regno Unito. A partire dal ‘miracolo economico’ degli anni Cinquanta e Sessanta, l’andamento della produttività totale dei fattori (TFP), ovvero il tasso al quale l’economia nel suo complesso converte input come il capitale e lavoro in output, è stato a dir poco sconfortante. A volte considerata la misura del ‘know-how’ complessivo, la TFP in genere avanza con la conoscenza scientifica e tecnologica, come ha continuato a fare nella maggior parte dei paesi europei. Ma in Italia è rimasta stagnante dalla metà degli anni Settanta, e negli ultimi 25 anni è crollata. Molti sono i fattori che appaiono essere responsabili: il gran numero di aziende che rimangono troppo piccole e poco produttive,  processi innovativi scadenti, competenze inadeguate o non valorizzate, il mancato riconoscimento del merito, le ricorrenti preoccupazioni sulla sostenibilità del debito pubblico, le crisi finanziarie, l’instabilità politica.

L’Italia suona di forte monito ad un paese come il Regno Unito, che più di recente si è avviato su un crinale discendente altrettanto preoccupante. Ma se la performance dell’Italia è di monito per il Regno Unito, lo è per il governo italiano?

Il discorso inaugurale del primo ministro Meloni era effettivamente incoraggiante poiché lasciava capire una certa consapevolezza dei problemi, così lo erano varie dichiarazioni del ministro Giorgetti. Ma dopo più di un anno, sta cambiando qualcosa?

Si ha la sensazione che la politica italiana sia più impegnata a redistribuire o a favorire questo o quel gruppo di interesse, perdendo di vista l’obiettivo primario. A volte sembra addirittura che vi sia una sorta di nostalgia per il passato, per un mondo che forse non è mai esistito. Ma se crescesse di più la produttività, potrebbero crescere anche i salari, e potrebbero aumentare gli standard di vita dei cittadini; sarebbe possibile attuare politiche a favore delle fasce deboli della popolazione, dando a qualcuno senza necessariamente “far piangere i ricchi”.

In sostanza la crescita della produttività è alla radice del successo di ogni economia. Tutto dovrebbe essere indirizzato a questo fine, compresi i fondi elargiti dall’Europa proprio per aiutare l’Italia ad affrontare con più risorse e con le riforme le sfide per il suo futuro. È il caso di dire a nuora perché suocera intenda?

Un articolo di

Giampaolo Galli, Lorenzo Codogno

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