Inpiù, 2 luglio 2021
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Di fronte ai rincari delle materie prime, alcune associazioni d’impresa stanno chiedendo aiuto al governo. Si segnalano in particolare la filiera dell’edilizia e quella alimentare. I rincari, come già segnalato su Inpiù, ci sono e sono molto consistenti. Già all’inizio di giugno, in un’audizione alla Camera, l’Ance aveva segnalato rincari del +150% per l’acciaio tondo per cemento armato, del +129% per il polietilene, del +30% per il rame. Quanto alla filiera alimentare, i rincari, rispetto a un anno fa, sono del 48% per il complesso delle materie prime alimentari, del 76% per gli olii alimentari del 46% per i cereali; ci sono punte del 119% per la soia, del 112% per il mais, del 94% per l’olio di cocco.
Che può fare il governo? Nei casi in cui c’è un mercato libero, il governo non dovrebbe fare nulla. Le imprese alimentari aumenteranno un po’ i prezzi finali e i consumatori decideranno cosa fare, se pagare il prezzo più alto o acquistare altri prodotti. Ad esempio, sono scesi, persino rispetto ai valori molto bassi dell’anno scorso, i prezzi di the, arance, banane e riso. Le stesse imprese dovranno modificare la combinazione di input produttivi in modo da trovare le migliori combinazioni qualità/prezzo compatibili con le nuove realtà di mercato. Diversa è la situazione per gli appalti pubblici, nel caso in cui non ci siano clausole di adeguamento prezzi. Entro certi limiti, l’assenza di queste clausole fa parte del gioco: le imprese che hanno vinto le gare sapevano che andavano incontro a qualche rischio. Quando però i costi totali crescono del 60% e più, il governo non può rimanere indifferente. Il rischio è che si fermino lavori essenziali come quelli legati alle ricostruzioni nelle zone terremotate. L’auspicio è che si faccia una norma che consenta di adeguare i prezzi, dove necessario, e che non ci si inventino nuovi sussidi temporanei in un paese in cui, come diceva Prezzolini, non c’è nulla di più definitivo del provvisorio.