Altro

Lo scandalo della Banca Mondiale

23 settembre 2021

Lo scandalo della Banca Mondiale

Condividi su:

In seguito a una serie di indagini interne e a un rapporto di uno studio legale indipendente è emerso che i vertici della Banca Mondiale avrebbero fatto pressioni sul personale che stila le classifiche di “Doing Business” per migliorare la posizione della Cina nel 2018. Pressioni analoghe, ma senza il coinvolgimento dei vertici della Banca, sarebbero state eserciate nel 2020 da alcuni altri paesi (Arabia Saudita, Emirati e Azerbaijan). Il 16 settembre scorso, la Banca ha preso la decisone di cessare la pubblicazione del rapporto che da vent’anni usciva con cadenza annuale. Lo scandalo è serio di per sé ed è aggravato dal fatto che la direttrice della Banca Mondiale nel 2018 era Kristalina Georgieva che è ora al vertice del Fondo Monetario Internazionale.

Forse la Banca ha fatto bene a cessare la pubblicazione per salvare la propria reputazione. Ma questa decisone priva la comunità internazionale di uno strumento molto prezioso per valutare l’efficacia delle politiche pubbliche di quasi tutti i paesi del mondo. Esistono altre graduatorie, fatte da altre istituzioni, ma questa era particolarmente utile perché interamente basata su dati oggettivi e non sui sondaggi. Anche per questo motivo, veniva utilizzata in quasi tutti ratings finanziari sul rischio paese.   

C’è chi esulta per questa decisione. Sono comprensibilmente soddisfatti i governi dei paesi la cui posizione era peggiorata negli ultimi anni. Ma sembrano contenti anche alcuni intellettuali europei che pensano che la Banca Mondiale sia un covo di liberisti e che le politiche per rendere meno difficile fare impresa comportino di comprimere i diritti. Nulla di più sbagliato dal momento che i paesi nordici, quelli con la pressione fiscale più alta al mondo e il welfare più sviluppato, stanno tutti nelle prime posizioni.

La faccenda non è chiusa, anche perché  la Georgieva ha dichiarato che i fatti non sussistono e che chiarirà la propria posizione. Se non riuscirà a farlo in  modo convincente -ad esempio, spiegando che la Cina aveva dei buoni argomenti- difficilmente potrà rimanere al suo posto al Fondo Monetario.  

La stampa anglosassone mette in evidenza le indebite pressioni della Cina e un clima molto pesante negli uffici della Banca. Chi guarda dall’Italia dovrebbe invece rimanere colpito dal rigore che ha informato i comportamenti della Banca e del suo staff. Quale ente pubblico italiano può dire di non aver mai ceduto a indebite pressioni? E chi mai potrebbe fare un audit interno che metta in discussione i propri vertici nonché una parte importante della propria missione istituzionale? Inoltre, entrando nel merito, risulta che la manipolazione del dato della Cina non sia stata affatto semplice, perché lo staff pretendeva, giustamente, di applicare identiche procedure a tutti i paesi; e dunque se si cambiava per la Cina bisognava cambiare anche per tutti gli altri; e alla fine la Cina non ha ottenuto nulla di più che rimanere al 78° posto invece dì essere retrocessa al 85°. Forse più che esultare, dovremmo trarre qualche insegnamento su cosa voglia dire avere funzionari di qualità che non saranno martiri, ma comunque  credono nella missione a cui è preposta la loro istituzione. Da noi uno scandalo del genere sarebbe mai venuto alla luce?

Un articolo di

Giampaolo Galli

Condividi su:

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?