Dopo gli anni di spinta monetaria e di bilancio, servirebbe uno slancio del PNRR per portarci ai livelli spagnoli. Manca però un cambio di passo della capacità produttiva.
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Cosa ci possiamo attendere dalla nostra economia nel 2025 in termini di crescita economica? Per rispondere facciamo un passo indietro.
Grazie in buona parte a un eccezionale afflusso di risorse dalle istituzioni europee, prima attraverso il programma di acquisti di titoli di Stato messo in piedi dalla Banca Centrale Europea per fronteggiare la crisi Covid e successivamente attraverso i fondi del Next Generation EU/PNRR, l’economia italiana è uscita da quella crisi non solo più rapidamente del previsto, ma anche più rapidamente della media dei Paesi dell’Eurozona. Per la prima volta in tanti anni, col vincolo di bilancio rimosso temporaneamente dalle risorse della nostra banca centrale e dell’Unione europea, la leva dei conti pubblici è stata utilizzata per sostenere l’economia in modo massiccio. Questa bonanza è durata fino alla seconda metà del 2022, quando i soldi della BCE, impegnata a combattere l’inflazione, sono terminati. Dall’ultimo trimestre del 2022 fino al secondo trimestre del 2024 il Pil è comunque cresciuto più o meno in linea con quello dell’Eurozona. Non è vero, come diceva Meloni, che crescevamo molto più rapidamente degli altri Paesi europei, ma non eravamo neppure il fanalino di coda del continente, come eravamo stati per gran parte del primo ventennio di questo secolo.
Poi la doccia fredda. Crescita zero nel terzo trimestre di quest’anno, contro una crescita dello 0,4% per l’Eurozona. Non solo: il “preconsuntivo” annuale pubblicato di recente dall’Istat implica sì che nell’ultimo trimestre la crescita sia stata più alta di quella del trimestre precedente, ma il rimbalzo sarebbe limitato. Resterebbe comunque un rallentamento nel secondo semestre rispetto al primo.
Ci sono due modi di interpretare questo rallentamento. Il primo è che si tratta di un fenomeno casuale: un semestre sfortunato può accadere. Il secondo è che si è ormai esaurita completamente la spinta derivante da quella marea di risorse che sono arrivate dall’Europa. È vero che i soldi del PNRR continuano a fluire, ma la BCE sta invece riducendo la consistenza della propria posizione creditoria rispetto all’Italia. Con l’estinguersi di quei finanziamenti, il deficit pubblico, rimasto su livelli superiori al 7% del Pil fino al 2023, si è necessariamente ridotto. E visto che il deficit è il netto dei soldi che lo Stato mette nell’economia, la spinta sulla crescita economica si è interrotta. Tendo a propendere per questa seconda interpretazione. Se è così le prospettive per il futuro appaiono deludenti.
Nel 2025 il bilancio dello Stato continuerà a esercitare una pressione negativa sulla crescita: il deficit pubblico è previsto calare di mezzo punto percentuale di Pil, circa 10 miliardi. L’effetto potrebbe essere in parte compensato dell’allentamento della politica monetaria. Con l’inflazione ormai scesa non troppo lontano dall’obiettivo del 2%, la BCE dovrebbe continuare a ridurre i tassi di interesse nel corso del prossimo anno, forse di 75-100 punti base. Anche in questo caso però la spinta congiunta della politica di bilancio e di quella monetaria non sarà certo molto forte, anche se l’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro potrebbe aiutare. La domanda internazionale difficilmente potrà aiutare molto. Il Fondo Monetario Internazionale prevede una continuazione della crescita globale alla stessa velocità del 2024.
Facciamo allora qualche calcolo partendo dai dati trimestrali. Proseguendo nel corso del 2025 alla stessa velocità del secondo semestre del 2024, o poco più, nel 2025 il Pil aumenterebbe dello 0,6-0,7%, ben sotto l’1,2% previsto dal governo Documento Programmatico di Bilancio dello scorso ottobre, e vicino a quello che ci possiamo aspettare a questo punto dal 2024 (0,5% corretto per giorni lavorativi, 0,6% senza tale correzione).
Non starei però troppo a sofisticare su questi decimali. Il punto fondamentale è invece che, a ormai tre anni e più dall’inizio del PNRR, non sembrano esserci ancora segni tangibili di un suo impatto sulla crescita economica. Insomma, tassi di crescita intorno, anzi un po’ inferiori, all’1% sono quelli che ormai da tempo caratterizzano l’economia italiana in assenza di shock esterni. I tassi di crescita a cui dovremmo puntare, vicino a quelli della Spagna degli ultimi due anni, oltre il 2%, sembrano ancora irraggiungibili. Il PNRR avrebbe sì svolto un utile ruolo come strumento di ripresa dopo il Covid, allentando il vincolo di bilancio e sostenendo la domanda aggregata, ma il suo effetto sulla crescita della capacità produttiva sarebbe invece stato modesto o trascurabile. Eppure quello era il suo obiettivo principale: accrescere il nostro potenziale di crescita. L’obiettivo non sarebbe stato per ora raggiunto, il che sarebbe una pessima notizia non tanto per quello che ci possiamo aspettare nel 2025, ma per quello che ci possiamo aspettare nel medio termine.
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