Non è vero che la ripresa in corso sia una ripresa senza occupazione. Né è vero che si sia aggravato il problema della disoccupazione giovanile che, come al solito, qualcuno si è affrettato a definire drammatico, e a fronte del quale si propone di estendere ulteriormente il vincolo del 30 per cento di assunzioni di giovani. Vero è che, in base ai dati Istat, a dicembre le cose non sono migliorate rispetto al mese precedente, ma i dati mese per mese sono poco significativi. E’ invece significativo che nel corso del 2021 gli occupati siano aumentati di 540 mila unità, che il tasso di occupazione si sia stabilizzato sui livelli pre-Covid, 59 per cento, il massimo storico per l’Italia, che il tasso di occupazione femminile sia tornato al 50,5 per cento, anche questo un record positivo per noi. Quanto ai giovani, il tasso di disoccupazione nella fascia 15-24 anni è sceso al 26,8 per cento, in netta diminuzione rispetto al 32,6 per cento della fase acuta della crisi e quasi dimezzato rispetto ai picchi del 2013-2014 quando, come tutti ricordano, si avvicinava al 50 per cento.
L’incidenza dei giovani disoccupati sul totale dei giovani fra 15 e 24 anni (un dato che l’Istat pubblica, ma che - chissà perché - nessuno cita) è al 6,5 per cento, un dato molto più basso di quello della disoccupazione perché, per fortuna, la maggioranza dei giovani studia, ed uno dei valori più bassi degli ultimi 20 anni. In questo contesto, l’estensione del vincolo del 30 per cento (che oggi si applica solo ai progetti del PNRR) serve a poco e può anzi fare qualche danno. Serve a poco perché in generale le imprese preferiscono comunque assumere giovani, purché preparati, anziché persone più anziane. Qualora servisse, l’effetto sarebbe solo quello di aggravare la situazione delle persone non più giovanissime che, quando perdono un lavoro, fanno una grande fatica trovarne un altro; e lì sì che sono drammi seri per molte famiglie. Tant’è che, quando ciò accade, il governo finisce quasi sempre per rinnovare un qualche ammortizzatore sociale. Modesta proposta: mettiamo nel cassetto il vincolo a favore dei giovani e ragioniamo seriamente su come eliminare gli ostacoli ad una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Quest’ultimo è il vero buco nero dell’Italia. Malgrado il record di cui si è detto, rimaniamo il paese avanzato con il più basso tasso di partecipazione femminile, ben sotto i valori di Grecia e Spagna, due paesi che per molti aspetti hanno un mercato del lavoro non meno iper-regolamentato e inefficiente del nostro.