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L’acquisto congiunto di armamenti in UE

28 marzo 2025

L’acquisto congiunto di armamenti in UE

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Visto che non possiamo avere un esercito comune perché non siamo politicamente pronti, ci dobbiamo accontentare di coordinare meglio le forze armate dei 27 Stati Membri.

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Un mese fa Kaja Kallas, l’Alta Rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha dichiarato che nell’Unione “noi non abbiamo bisogno di un esercito europeo. Abbiamo bisogno di 27 eserciti europei che siano in grado e che possano lavorare insieme in modo efficace.” Ora, è ovvio che coordinare 27 eserciti non può essere preferibile ad avere un unico esercito. Ma immagino che anche la Kallas lo sappia benissimo. La realtà è che, visto che non possiamo avere un esercito comune perché non siamo politicamente pronti, ci dobbiamo accontentare di coordinare meglio le forze armate dei 27 Stati Membri. E ce n’è un gran bisogno.

Prendiamo, in particolare, il processo di acquisti degli armamenti. Comprare insieme armi contribuisce ad aumentare l’interoperabilità delle diverse forze armate e a risparmiare sia in termini di prezzi d’acquisto, sia, se anche la produzione è congiunta, in termini di costi di produzione, date le economie di scala esistenti.

Riconoscendo questo, da anni la Commissione Europea ha incoraggiato l’acquisto congiunto di armamenti. Già nel 2007, la European Defence Agency (EDA) aveva fissato come benchmark di effettuare congiuntamente il 35% degli acquisti di armamenti. Questa percentuale non è mai stata raggiunta. Tra il 2007 e il 2021 (ultimo dato disponibile) la percentuale ha oscillato tra il 12% e il 25% senza nessuna tendenza all’aumento (nel 2021 era del 18%). Questo nonostante il fatto che, per essere considerato congiunto, un acquisto basta che coinvolga due Stati Membri. Il risultato è l’elevata frammentazione dei sistemi d’arma tra le 27 forze armate europee. Per esempio, queste hanno in dotazione 13 diversi tipi di carri armanti. Gli Stati Uniti hanno un solo modello. Inoltre, hanno 14 tipi di caccia contro 6 negli Stati Uniti.

La strategia presentata nel recente Libro Bianco sulla difesa della Commissione Europea riconosce che occorre far meglio e propone la creazione di uno strumento di finanziamento di acquisti comuni denominato Security and Action for Europe (SAFE). Il SAFE sarà finanziato da 150 miliardi di euro presi a prestito dall’Unione sui mercati finanziari. L’UE presterà poi queste risorse a tassi agevolati agli Stati Membri per finanziare acquisti congiunti di materiale per la difesa.

Il SAFE è un passo nella direzione giusta, ma si tratta purtroppo di un piccolo passo. Primo, l’attrattività del SAFE in termini di facilità di finanziamenti è limitata ai Paesi che prendono a prestito dai mercati a tassi più alti di quelli dell’UE. La Germania, per esempio, non ha nessun interesse a usare il SAFE. Secondo, l’accesso al SAFE è limitato ad acquisti congiunti, principalmente, di munizioni, missili, sistemi di artiglieria, droni, cybersicurezza, difesa aerea e missilistica, IA e guerra elettronica. Questo lascia fuori un lungo elenco di armamenti, tra cui carri armati e caccia, per esempio. Ma il problema più grande è che un acquisto congiunto è definito come un acquisto che coinvolge anche soltanto due Stati Membri (in linea con la poco ambiziosa definizione già utilizzata per fissare il sopra citato benchmark EDA). Insomma, ci sono aspetti positivi nella proposta (soprattutto, attraverso il SAFE sarà anche possibile effettuare acquisti congiunti con l’Ucraina), ma non è certo quanto servirebbe per superare la frammentazione dei sistemi d’arma nell’Unione Europea.

 

Leggi l'articolo completo su L'Espresso.

Un articolo di

Carlo Cottarelli

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