Il fallimento di Berlusconi sul debito saprà istruire Meloni-Giorgetti?
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A Bruxelles per molti anni lo hanno definito il peccato originale dell’Italia. E consiste nel fatto che il governo che vinse le elezioni del 2001 sperperò l’eredità di un avanzo primario che, grazie al lavoro di Prodi e del suo ministro del Tesoro Ciampi, nel 1997 aveva raggiunto un picco del 5,7 per cento. Una parte di questo avanzo aveva natura temporanea (per esempio, la cosiddetta “tassa per l’Europa” di cui era stata promessa la restituzione); infatti l’avanzo scese già con i due successivi governi di centrosinistra, al 3,4 per cento nel 2000. Per mettere in sicurezza i conti pubblici, questo valore avrebbe dovuto essere mantenuto negli anni successivi, ma ciò non accadde dopo la vittoria di Berlusconi alle elezioni del maggio 2001. Anzi, anno dopo anno l’avanzo si ridusse fino a raggiungere lo zero nel 2005. Forse la responsabilità è più del ministro dell’Economia di allora, ma il fatto è che il Presidente del Consiglio lo assecondò, nella convinzione che il problema del debito sarebbe stato risolto dalla crescita dell’economia, per la quale bastavano le grandi opere e l’appello agli “animal spirits” degli imprenditori non più spaventati dal rischio di un governo di sinistra. La ricetta non funzionò; la crescita non ci fu e il debito continuò a ridursi in rapporto al Pil solo perché, in una prima fase, l’Unione monetaria aveva provocato la convergenza dei tassi di interesse verso i livelli della Germania. Nel 2007, col ritorno di Prodi a Palazzo Chigi, in un solo anno, Tommaso Padoa Schioppa e Vincenzo Visco riuscirono a riportare l’avanzo primario al 3,2%. Dal 2008, tornato al governo Berlusconi, malgrado i draconiani tagli lineari della spesa messi in atto da Tremonti, il bilancio primario venne nuovamente eroso e già nel 2009 andò in rosso.
Come scrisse in un famoso articolo Padoa Schioppa, Tremonti aveva imparato la lezione del 2001-2006 e cercava di continuare lungo la linea della prudenza nella gestione dei conti. Ma Berlusconi aveva un’idea diversa e vagheggiava il ritorno allo spirito del 1994 e il mitico taglio delle tasse. Ripeté questo slogan con grande forza nel maggio-giugno del 2011, dopo che, alla elezioni comunali di Milano, Giuliano Pisapia aveva sconfitto Letizia Moratti; una sconfitta che bruciava. Da quel momento, il governo si sfaldò e lo spread iniziò a impennarsi. Tremonti cercò di salvare il salvabile anticipando la legge finanziaria a luglio. Ma, come noto, non bastò. È vero che l’Italia fu vittima del contagio greco e della passeggiata di Deauville. Ma il Belgio, che negli anni Novanta partiva con un debito più alto del nostro, evitò la crisi dei debiti sovrani perché dopo l’aggiustamento degli anni Novanta mantenne a lungo un elevato avanzo primario. Poi venne Monti e poi Letta e poi Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi e tutti furono pesantemente condizionati dalla situazione del debito pubblico. Oggi c’è nuovamente un governo di destra: sarà questo il governo che, con il progetto “responsabile, prudente e sostenibile” di Giorgetti-Meloni, saprà liberarci dalla pesante e lunga eredità del peccato originale?
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