Come definire la legge sulla autonomia differenziata? Legittima misura di decentramento che rimuove “discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio”, come dice il testo della legge stessa e come sostiene la maggioranza? Fine della solidarietà tra regioni e furto a favore delle regioni del Nord, come dice l’opposizione? Mutuando da Gadda ed evitando espressioni più volgari, definirei la legge “un pasticciaccio brutto”. Vediamo perché.
Il testo originariamente inviato dal governo in parlamento poteva aveva una sua logica. Era basato su due principi. Il primo era quello di consentire la gestione a livello regionale di un ampio numero di servizi pubblici. Niente di troppo nuovo: è quello che già avviene per la sanità. Il secondo, quello davvero rivoluzionario, era il decentramento delle risorse. L’articolo 5 infatti indicava che le risorse per la spesa decentrata sarebbero derivate da “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale”. Le ultime quattro parole erano fondamentali: “maturato nel territorio regionale”. Cosa vuol dire? Supponiamo che la Lombardia, per esempio, chieda l’autonomia per l’istruzione e che questa costi nella regione 10 miliardi. In pratica, la Lombardia avrebbe inizialmente ricevuto una quota, per esempio, dell’Irpef pagata dai cittadini lombardi, per un importo pari a 10 miliardi (semplifico, perché ci sarebbero state di mezzo le stime di fabbisogno standard, eccetera, ma in pratica sarebbe stato così). Supponiamo che tale quota fosse del 30%. Da lì in poi, a parità di aliquota, se reddito dei lombardi e relativa Irpef fossero cresciute più rapidamente di quelle delle altre regioni, più soldi sarebbero rimasti in Lombardia. In tal modo, si violava il principio di solidarietà tra le regioni a statuto ordinario per cui tutte (o quasi) le tasse pagate vanno a Roma che le redistribuisce poi su tutto il territorio nazionale.
Il sistema poteva piacere a chi pensa che la solidarietà tra regioni sia eccessiva e alimenti l’inefficienza. Poteva non piacere a chi ritiene che la solidarietà sia un principio fondamentale del nostro ordinamento. Ma c’era una coerenza. Certo i problemi non mancavano. Oltre alla complessità burocratica che sarebbe aumentata (visto che, potenzialmente, ogni regione avrebbe avuto il suo ordinamento in una marea di nuove aree) il problema principale era finanziario: se la Lombardia avesse trattenuto più risorse in regione, meno soldi sarebbero andati alle altre regioni. Da qui la necessità di trovare risorse per assicurare il rispetto dei “Livelli essenziali di prestazione” (i mitici Lep) che, comunque avrebbero dovuto essere garantiti ai cittadini di tutte le regioni. Ma il problema sarebbe stato, presumibilmente, risolto fissando Lep non troppo stringenti e tali da poter essere soddisfatti con le risorse esistenti.
L’attuale versione della legge, grazie agli emendamenti introdotti al Senato, ha però cambiato le carte in tavola. Forse per tranquillizzare chi temeva che una regione potesse trattenere sul proprio territorio una quantità eccessiva di risorse, l’articolo 8 della legge (che prima riguardava il semplice monitoraggio della riforma) ora dice che nel corso del tempo il ministro dell’Economia e delle Finanze potrà adottare le necessarie variazioni delle aliquote di compartecipazione (il 30% nell’esempio precedente). Lo farà nel caso in cui ci sia uno scostamento tra fabbisogni di spesa e andamento del gettito. Insomma, se la Lombardia cresce di più e quindi i tributi lombardi crescono più rapidamente dei relativi fabbisogni, l’aliquota di compartecipazione potrà, per esempio, essere ridotta al 25%, in modo da non lasciare in Lombardia troppe risorse. Questo potrà tranquillizzare chi temeva la fine della solidarietà. Se i cambiamenti di aliquota di compartecipazione saranno frequenti, il sistema potrebbe diventare simile a quello della sanità in cui si decentralizza solo la gestione delle risorse, ma non la loro provenienza. Ma allora perché non adottare il sistema di autonomia differenziata seguito per la sanità? Perché cedere una parte della base imponibile alle regioni, ma con aliquote di compartecipazione variabili nel tempo? La risposta più probabile è che la versione attuale della legge consentirà alla Lega di brindare all’autonomia differenziata, e, al tempo stesso, a Fratelli d’Italia di sostenere che i cittadini di tutte le regioni restano fratelli. Ancora una volta, gli interessi di facciata dei partiti politici hanno prevalso sull’esigenza di avere una legislazione semplice e chiara. Davvero un pasticciaccio brutto.
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