Repubblica

Il catalogo delle incognite

30 settembre 2021

Il catalogo delle incognite

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Il governo ha approvato ieri la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef) rivedendo le previsioni macroeconomiche pubblicate in aprile. Quali sono le principali novità? Quali le incognite? La prima novità, anche se i dati pubblicati negli ultimi mesi andavano chiaramente in questa direzione, è che la ripresa post Covid sta procedendo più rapidamente di quanto il governo aveva previsto in aprile. Quest’anno il Pil crescerà del 6 per cento e nel 2022 del 4,7 per cento. Questo significa che già nel primo trimestre del 2022 il Pil avrà raggiunto il livello (pre Covid) del quarto trimestre del 2019. Il rimbalzo sarà terminato. Saremo usciti dalla crisi. Beh, non proprio dice la Nadef perché la crisi sarà stata davvero superata solo quando il Pil sarà tornato a dove si prevedeva sarebbe stato prima dell’arrivo del virus. La Nadef stima che questo avverrà nel 2023. Fino ad allora saremo in fase di “rimbalzo”. Forse per questo, o forse perché si prevede che le riforme del Pnrr abbiano un rapido effetto sull’economia, la Nadef prevede tassi di crescita elevati (rispetto al nostro passato) ben oltre il primo trimestre del 2022: ancora nel 2024 il Pil crescerebbe di quasi il 2 per cento. È questo un elemento di incertezza: rimbalzare è facile, ma portare il Paese su un tasso di crescita molto più elevato del passato (avevamo fatto lo 0,2 per cento annuo nei 10 anni pre-Covid) è tutta un’altra storia.

La seconda novità riguarda i conti pubblici: nel 2021 sono andati meglio del previsto. Il deficit che doveva raggiungere l’11,8 per cento del Pil sarà “solo” del 9,4 per cento. Questo per due motivi: primo, il Pil nominale (anche per la maggiore inflazione) è stato più alto del previsto il che ha sostenuto le entrate dello Stato; secondo, c’è stato meno tiraggio del previsto per le misure di sostegno dell’economia, presumibilmente perché la crescita è stata più rapida. Con un deficit più basso e un Pil più alto, il rapporto tra debito pubblico e Pil, che era previsto sfiorare il 160 per cento del Pil (battendo il record raggiunto dopo la prima guerra mondiale) si fermerà al 153,5 per cento. Un’ottima notizia.

La più rapida ripresa del Pil e delle entrate ha creato un potenziale “tesoretto” anche per il 2022 e oltre. Il governo poteva decidere di usare questo tesoretto per accelerare il miglioramento dei conti pubblici. Dopo tutto se l’esplosione di deficit del 2020-21 era dovuta alla caduta del Pil, ci si poteva aspettare che migliori notizie sul lato del Pil avrebbero portato a un minor bisogno di deficit. La Nadef segue invece una strada diversa: il deficit nel 2022 è un po’ più basso di quanto previsto ad aprile (5,6 invece che 5,9 per cento del Pil), ma molto più alto di quanto sarebbe stato possibile in assenza di nuove misure espansive (il 4,4 per cento del quadro tendenziale). Le misure espansive, spiega la Nadef, comprendono il prolungamento di precedenti misure di sostegno che erano previste esaurirsi e nuove iniziative, in particolare la riforma degli ammortizzatori sociali e la riforma fiscale (non si nomina l’uscita da Quota 100: forse il governo non intende mettere molti altri soldi nel sistema pensionistico). Tutto questo è un po’ strano: la crescita è più alta del previsto e si prendono ulteriori misure di espansione rispetto ai piani iniziali. O si era sbagliato prima o si sta sbagliando adesso. Fatto sta che il sentiero di discesa del nostro deficit pubblico resta lento: nel 2024 saremo ancora al di sopra del mitico 3 per cento delle regole europee.

Naturalmente il lento sentiero di rientro per i nostri conti pubblici non sarà un problema se la Bce continuerà a finanziarci in modo massiccio come ha fatto da marzo 2020, se i tassi di interesse mondiali resteranno bassi e se le regole europee sui conti pubblici saranno riattivate solo gradualmente a partire dal 2023. Dopo tutto, tutte le organizzazioni internazionali ammoniscono di non togliere sostegno all’economia prematuramente, per evitare i problemi insorti nel 2010. Speriamo abbiano ragione.

Un articolo di

Carlo Cottarelli

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