Repubblica

Fisco, gli ostacoli di una riforma

20 settembre 2021

Fisco, gli ostacoli di una riforma

Condividi su:

La presentazione della legge delega sulla riforma del fisco è imminente. Il nostro fisco ha un grande bisogno di essere riformato, come, peraltro, tante altre cose in Italia relative all’interazione tra pubblico e privato. Il nostro fisco è troppo complicato, sia in termini di politiche di tassazione, sia di procedure di riscossione, non è equo orizzontalmente (a cittadini con lo stesso reddito o a fonti di reddito relativamente simili si applicano aliquote diverse), la progressività è anomala (vedi il balzo dell’aliquota Irpef tra il secondo e il terzo scaglione) e, soprattutto, lascia spazio all’evasione. Ah, dimenticavo: la pressione fiscale è un po’ troppo alta, come quasi tutti i partiti riconoscono, rispetto agli altri paesi europei, soprattutto in termini di cuneo fiscale sul lavoro. Detto tutto questo, credo che la riforma è tra le più difficili da attuare per vari motivi.


Per capire gli ostacoli partiamo da un fatto. La riforma non fa parte del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (l’ormai mitico PNRR), il che comporta che non sarà coperta dal cronoprogramma del Piano, con relativa sorveglianza nella sua implementazione da parte delle istituzioni europee. Perché la riforma fiscale non sta nel PNRR? Il principale motivo è che i fondi europei disponibili per la realizzazione del PNRR hanno una natura temporanea. I finanziamenti durano solo fino al 2026. Una riforma che punti a ridurre la pressione fiscale richiede invece finanziamenti permanenti. E qui si arriva a un’altra difficoltà: trovare i fondi.


Il problema è evidente nelle conclusioni della Commissione congiunta Camera-Senato guidata dall’onorevole Marattin. La Commissione ha fatto un ottimo lavoro, ma ha evidenziato quanto una riforma che possa, seppur in minima parte, riconciliare le diverse esigenze del centro-destra e del centro-sinistra abbia come valvola di sfogo una notevole perdita di gettito. Quanto grande? Il rapporto della Commissione non contiene stime precise, ma, in assenza di rilevanti aumenti compensativi di alcune tasse, si tratterebbe probabilmente di diverse decine di miliardi (c’è chi ha detto 40).


Inoltre, c’è l’esigenza di ridurre la pressione fiscale, ma c’è anche di eliminare le disparità di trattamento, il che richiederebbe (a meno di voler portare i livelli di tassazione al minimo comun denominatore) un aumento di qualche tassa. E quale partito vuole prendersi la responsabilità di aumentare una qualsiasi tassa o di eliminare qualsivoglia deduzione o detrazione (ossia i trattamenti a favore di qualche settore o attività)? Lo stesso discorso vale per la riforma del catasto, di cui si è tornato a parlare e che dovrebbe, logicamente, essere un importante complemento alla riforma fiscale: comporterebbe un calo delle tasse per qualcuno e un aumento per qualcun altro, se si volesse fare a gettito zero. Fra l’altro avrebbe conseguenze per il calcolo dell’ISEE, cosa non irrilevante per molti con redditi relativamente bassi.


Ultima difficoltà: una vera riforma del fisco richiede una visione comune di come si vuole plasmare la società in cui viviamo, soprattutto in termini di come deve essere distribuito il carico fiscale e di quali attività si vuole incentivare o scoraggiare. E come si può riconciliare visioni politiche diametralmente diverse come quelle del centro-sinistra e del centro-destra, entrambi presenti nella coalizione di governo?


Quindi niente sarà fatto? No, qualcosa sarà fatto. Il salto tra secondo e terzo scaglione Irpef sarà ridotto oppure si passerà al cosiddetto "metodo tedesco" in cui si definisce direttamente l’aliquota media (quella che alla fine interessa al contribuente perché vuol sapere, dato il suo reddito, quanto deve pagare), abbandonando il metodo degli scaglioni. Questo ridurrà un po’ le tasse sui redditi medio-bassi.
Probabilmente la tassazione dei redditi da capitale sarà riordinata, per esempio eliminando la diversa tassazione tra dividendi e guadagni in conto capitale. E forse sparirà l’Irap che ormai non svolge più la sua funzione originaria dopo l’esclusione della remunerazione del lavoro dalla sua base imponibile. Qualche compensazione sarà introdotta per evitare un’eccessiva perdita di gettito. Il resto potrebbe andare a deficit, magari rinunciando a quel miglioramento nei nostri conti che la più rapida ripresa economica renderebbe possibile. Ma sarei sorpreso se si trattasse di una riforma anche solo lontanamente comparabile a quella del 1974, l’ultima grande riforma del fisco.


Chissà, forse sarò piacevolmente sorpreso.

Un articolo di

Carlo Cottarelli

Condividi su:

Newsletter

Vuoi essere aggiornato
sui temi più importanti
di economia e conti pubblici?