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Dipendenti e autonomi di fronte alla flat tax

13 dicembre 2022

Dipendenti e autonomi di fronte alla flat tax

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Il calcolo del carico fiscale complessivo dei lavoratori dipendenti deve comprendere anche i contributi pagati dalle imprese. Appare così chiaro come la flat tax avvantaggi le partite Iva e produca rischi per la sostenibilità del sistema di welfare.

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Le parole della presidenza del Consiglio

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha scritto: “Si è detto che le nostre misure sulla flat tax per le partite Iva discriminano i lavoratori dipendenti: si sostiene la tesi che estendendo la flat tax per le partite Iva fino a 85 mila euro faremmo pagare molte meno tasse di quante ne pagano i lavoratori dipendenti. Falso. Un dipendente ha due terzi dei contributi a carico del datore di lavoro, un autonomo si paga i contributi interamente. A parità di remunerazione con la flat tax a 85 mila euro la partita Iva pagherà un po’ di più senza avere una serie di diritti che i lavoratori dipendenti hanno”.

Lezione n. 1 del corso di Scienza delle finanze: concetto di traslazione dell’imposta

Come si insegna nel corso di Scienza delle finanze, “è indifferente il lato di mercato su cui si introduce l’imposizione fiscale. Le imprese sono interessate al salario lordo (al lordo cioè di imposte e contributi), i lavoratori al salario netto. Nell’ equilibrio di mercato non fa nessuna differenza quale è il soggetto formalmente titolare dell’imposizione fiscale, il carico effettivo dipende dall’elasticità relativa dell’offerta e della domanda”.

Tradotto significa che l’argomento della presidente del Consiglio è scorretto. Il confronto tra lavoratori dipendenti e autonomi andrebbe fatto rispetto alla remunerazione al lordo dei contributi; da un punto di vista economico, non fa differenza se i contributi sono formalmente a carico dell’impresa o del lavoratore. Per dire, se la retribuzione lorda di un lavoratore è 1000 euro, con 360 euro di contributi totali, di cui due terzi, cioè 240 pagati dall’impresa e un terzo, cioè 120 dal lavoratore, la retribuzione netta (ma ancora al lordo delle imposte sul reddito da pagare) per il lavoratore è di 640 euro. Se invece imponessimo tutta la contribuzione sull’impresa, l’impresa pagherebbe 360 euro, il lavoratore nulla, ma la retribuzione netta sarebbe ancora di 640 euro; se la spostassimo tutta sul lavoratore l’impresa non pagherebbe nulla, il lavoratore riceverebbe 1000 euro, su cui però dovrebbe pagare 360 euro, con retribuzione netta di 640 euro.

Tutto questo naturalmente vale dando il tempo alle forze di mercato di aggiustarsi a variazioni improvvise nel sistema fiscale (in equilibrio, come dicono gli economisti), che è però esattamente il caso presente, visto che non sono state introdotte variazioni di rilievo sul sistema contributivo e fiscale.

Se si fanno i conti giusti, è facile vedere che anche tenendo conto dei contributi, i lavoratori autonomi sono molto avvantaggiati dalla proposta relativa all’ampliamento della flat tax, nel senso che la somma di imposte sul reddito e contributi che i lavoratori dipendenti pagano sulla propria retribuzione lorda è molto maggiore di quella pagata dagli autonomi nel regime forfettario.

Il punto è già stato sottolineato su questo sito e a breve uscirà una nota più dettagliata con esempi sull’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica.

I rischi per il sistema di welfare

La presidente del Consiglio ha tuttavia ragione su un punto. I lavoratori dipendenti pagano una quota maggiore di contributi e questo, oltre a garantirgli una pensione più alta in futuro e offrirgli ulteriori garanzie, rappresenta una fonte di finanziamento importante per il sistema pensionistico, che è a ripartizione: in altre parole, i contributi pagati dai lavoratori di oggi finanziano i trattamenti pensionistici pagati ai pensionati attuali.

Ma questo è un problema, forse ancora più grave dell’indubbia iniquità introdotta nel campo dell’imposta dei redditi con l’ampliamento del forfettario. Con la riforma della flat taxprevista dalla legge di bilancio, diventerà ancora più conveniente per un’impresa trasformare un contratto da lavoro dipendente in un contratto di collaborazione, le cosiddette finte partite Iva, perché in quest’ultimo caso, i soldi necessari per garantire lo stesso stipendio al lavoratore al netto di imposte e contributi saranno meno. I lavoratori potrebbero avere un vantaggio nel breve periodo, nella forma di una più alta retribuzione al netto di imposte e contributi, ma al costo di minori garanzie e di minori trattamenti pensionistici in futuro.

Non è un caso che l’Italia abbia già la quota maggiore di lavoratori autonomi sul totale tra i paesi sviluppati (il doppio che in Germania e Francia). Ora la riforma del forfettario spingerà ulteriormente in questa direzione, con l’aggravante di una maggiore difficoltà a finanziare nell’immediato il sistema pensionistico e di welfare.

Leggi l'articolo completo qui.

Un articolo di

Massimo Bordignon

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