Tempi di pagamento delle PA: un aggiornamento
di Raffaela Palomba
4 luglio 2020
In una precedente nota l’Osservatorio CPI ha discusso le cause del ritardo nel pagamento dei debiti commerciali delle Pubbliche Amministrazioni (PA).[1] Il 27 giugno il MEF ha pubblicato i dati sui ritardi nei pagamenti relativi al 2019. Un aggiornamento è quindi appropriato anche perché i nuovi dati hanno destato qualche perplessità.
* La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 4 luglio 2020.
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I tempi di pagamento: eccedono ancora i limiti fissati dalla legge italiana e dalle direttive europee?
Secondo i dati sui pagamenti pubblicati il 27 giugno, nel 2019 il tempo medio di pagamento per tutte le PA registrate alla Piattaforma dei Crediti Commerciali è di 48 giorni. Secondo il MEF questo comporta un solo giorno di ritardo medio rispetto alla scadenza media prevista. In reazione a questa notizia è stato però sottolineato che una scadenza media prevista di 47 giorni è ben più alta del limite di 30 giorni previsto dalla Direttiva UE 7/2011 (recepita con decreto legislativo n. 192 del 2012).[2] Come è possibile?
In realtà, sia la direttiva UE, sia la normativa italiana consentono pagamenti in eccesso ai 30 giorni in due casi:
- il limite di pagamento può essere fino a 60 giorni: (i) per le PA che svolgono attività commerciali e che sono soggette a obblighi di trasparenza; e (ii) per le PA che operano in ambito sanitario. Poiché queste ultime stipulano contratti pari a circa il 45 per cento del totale è chiaro che la loro durata incide significativamente sulla scadenza media prevista.
- in tutti i casi in cui una scadenza più lunga sia giustificata dalla natura della prestazione e accordata dalle parti, nel limite massimo di 60 giorni.
Questi elementi spiegano perché la scadenza media prevista sia pari a 47 giorni senza che ciò significhi pagamenti in violazione a quanto stabilito dalle norme italiane ed europee.
Tutto a posto allora? Non proprio
Il fatto che l’analisi del MEF indichi che a livello nazionale l’Italia supera i limiti previsti dalla legge solo di un giorno non significa, però, che saremmo “salvi” in caso di indagine UE: infatti, dalla sentenza dello scorso 28 gennaio è chiaro che la media nazionale non è l’unico dato valutato dalla Corte di Giustizia per giungere a una possibile condanna per violazione dei tempi di pagamento..[3] La Corte, infatti, considera ritardi per lo meno nei vari settori, il che sembra del tutto appropriato: tutti i pagamenti dovrebbero essere effettuati nei tempi prescritti e non dovrebbe essere rilevante se i pagamenti anticipati di alcune amministrazioni compensano i pagamenti in ritardo di altre amministrazioni. Da questo punto di vista, i dati pubblicati mostrano che nel 2019 la percentuale di amministrazioni con medie di pagamento superiori ai massimi consentiti dalla legge era del 30 per cento, quelle paganti in anticipo o puntualmente costituivano il 50 per cento e la restante parte non aveva ancora effettuato il pagamento.
Guardando in avanti, gli ulteriori 12 miliardi di liquidità stanziati dal Decreto Rilancio per il pagamento dei debiti pregressi delle PA dovrebbero contribuire a migliorare la situazione; inoltre, a partire dal 2020 è entrato in vigore un nuovo meccanismo per garantire che i pagamenti delle PA vengano effettuati puntualmente, che produrrà i suoi effetti a partire dal 2021. Si tratta di una disposizione contenuta nella legge di bilancio per il 2019, la quale prevede che le PA che non rispettino i tempi di pagamento o che non abbiano ridotto il debito pregresso del 10 per cento rispetto all’anno precedente debbano effettuare un accantonamento ad un fondo denominato Fondo di garanzia debiti commerciali (le cui risorse non potranno essere utilizzate per pagamenti e impegni) o ridurre i costi per consumi intermedi rispetto all’anno precedente. Questa disposizione dovrebbe incentivare gli enti a pagare più rapidamente.
[3] La Corte di Giustizia, con una sentenza del 28 gennaio 2020, ha condannato l’Italia per i ritardi dei pagamenti per il periodo tra dicembre 2014 e agosto 2016. La questione però è ancora aperta perché dopo la sentenza è iniziata la fase delle interlocuzioni, in cui saranno presentati dall’Italia i dati aggiornati con le riduzioni dei tempi ottenute.