Si può ridurre l’evasione incentivando i pagamenti elettronici?
di Edoardo Frattola
13 dicembre 2019
Per incentivare l’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici (ancora poco diffusi in Italia rispetto alla media europea), il governo ha previsto per il 2020-21 l’introduzione di una serie di misure che vanno dal “cashback” alla “lotteria degli scontrini”. Ma è possibile che questi interventi riescano ad aumentare il gettito fiscale, recuperando dall’evasione più di quanto verrà speso per gli incentivi? L’esperienza recente della Corea del Sud lascia ben sperare, a patto però che non vengano trascurati alcuni elementi fondamentali, come la semplicità delle misure e una vera tracciabilità dei pagamenti elettronici.
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L’Italia è uno dei paesi europei più affezionati all’utilizzo del contante come mezzo di pagamento. La Banca Centrale Europea ci dice per esempio che l’Italia è al terz’ultimo posto tra i 28 Stati Membri dell’UE per numero annuo di pagamenti elettronici pro-capite (53 nel 2018, contro una media europea di 151) e al quint’ultimo posto per valore dei pagamenti elettronici in rapporto al Pil (11,4 per cento, contro una media UE del 20,4 per cento).[1]
Per incentivare l’uso dei pagamenti elettronici, il governo intende introdurre nel 2020-21 le misure del cosiddetto “Piano Italia Cashless”. Alcune di queste misure sono state inserite nel decreto fiscale del 26 ottobre scorso (d.l. 124/2019), mentre altre compaiono nel testo del disegno di legge di bilancio in discussione in Parlamento. In particolare:
- a partire dal 1 luglio 2020 entrerà in vigore la “lotteria degli scontrini” prevista dalla Legge di Bilancio 2017: i consumatori e gli esercenti che eseguiranno un pagamento elettronico potranno partecipare a una specifica estrazione aggiuntiva di premi in denaro (art. 19 decreto fiscale).[2] In altre parole, accanto alla lotteria che coinvolgerà tutti i consumatori che richiedono lo scontrino (anche quelli che pagano in contanti), per la quale sono stati stanziati solo 3 milioni annui, si prevedono premi aggiuntivi per 45 milioni annui riservati solo per pagamenti cashless.
- per il 2021-2022 il disegno di legge di bilancio (art. 31) stanzia 3 miliardi annui per il cosiddetto “cashback”, cioè un rimborso in denaro per chiunque effettui abitualmente acquisti con strumenti di pagamento elettronici. A differenza della lotteria degli scontrini, il cashback prevede un rimborso certo, con modalità e criteri che verranno definiti in un decreto del MEF da adottare entro il 30 aprile 2020.
- un terzo incentivo (art. 85 del disegno di legge di bilancio) modifica la normativa in tema di tax expenditures: dal 1 gennaio 2020, il contribuente potrà godere delle detrazioni IRPEF al 19 per cento soltanto se l’onere corrispondente verrà sostenuto con mezzi di pagamento elettronici (ad eccezione delle spese per medicinali e per prestazioni sanitarie), mentre perderà questo diritto se pagherà in contanti.
- infine, il decreto fiscale introduce incentivi anche per i venditori: i premi aggiuntivi della lotteria degli scontrini (art. 19) potranno beneficiare non solo il cliente che paga con modalità elettroniche, ma anche l’esercente che accetta questo pagamento; inoltre, dal 1 luglio 2020, l’art. 22 prevede un credito d’imposta del 30 per cento delle commissioni sulle transazioni elettroniche per tutti gli esercenti con ricavi annui inferiori a 400 mila euro.
Accanto a queste misure incentivanti, il decreto fiscale introduce anche un deterrente, ovvero un abbassamento del tetto all’uso del contante (art. 18): dall’attuale tetto di 3 mila euro per transazione, si passerà gradualmente a 2 mila euro dal 1 luglio 2020 e a 1000 euro dal 1 gennaio 2022.[3]
È possibile ridurre l’evasione incentivando i pagamenti elettronici?
Per prudenza il governo non ha previsto maggiori entrate dalle misure sopra riportate.[4] Anzi, alcuni interventi sono per ora contabilizzati soltanto come comportanti una maggiore spesa per lo Stato (per esempio, i 3 miliardi di cashback). Ma al di là della prudenza del governo, è possibile che il piano introdotto riesca ad aumentare il gettito, recuperando dall’evasione più di quanto verrà speso per gli incentivi?
Un esempio positivo in tal senso viene dall’esperienza della Corea del Sud. Per ridurre l’evasione, nel 1999 la Corea ha introdotto un incentivo fiscale per i pagamenti elettronici nelle transazioni business-to-consumer. In particolare, ai consumatori finali è stata riconosciuta la possibilità di ottenere parziali deduzioni sul reddito da lavoro per tutti i pagamenti elettronici al di sopra di una soglia minima e al di sotto di un tetto massimo, con una percentuale di deduzione che negli anni è oscillata tra il 10 e il 30 per cento.[5] Una delle chiavi del successo di questa misura è stata la semplicità del processo per ottenere la deduzione. In sede di dichiarazione dei redditi, infatti, il contribuente deve soltanto presentare la richiesta di ricevere una deduzione sul proprio reddito e verificare sul portale online dell’autorità fiscale la correttezza di un modulo precompilato contenente i dati dei propri pagamenti elettronici avvenuti nel corso dell’anno (modulo inviato all’autorità fiscale dalla società che ha emesso la carta di credito/debito). Se la richiesta del contribuente è valida, quest’ultimo si vedrà riconosciuta la deduzione direttamente in busta paga il mese successivo alla dichiarazione dei redditi; se poi la deduzione spettante è superiore alle tasse dovute nel mese in questione, la parte eccedente del rimborso avverrà nei mesi successivi. L’intero processo quindi garantisce al contribuente di ricevere con certezza e in tempi rapidi quanto gli spetta. Grazie a questo incentivo, nel giro di quindici anni la Corea si è trasformata in un’economia quasi cashless, con il valore dei pagamenti elettronici (carte di credito, di debito e prepagate) che è passato dal 5 per cento del Pil nel 1999 al 43 per cento del Pil nel 2014. Ma quel che più interessa ai fini di questa analisi è che la misura ha avuto un effetto netto positivo sul gettito per lo Stato: a fronte di costi da mancate entrate stimati in circa 1,5 miliardi di euro, gli incentivi hanno generato maggiori entrate per circa 2,6 miliardi di euro (+4,2 per cento di gettito rispetto allo scenario senza incentivi).[6] Questo risultato si spiega con un forte recupero di gettito precedentemente sommerso, come testimoniato dalla crescita nel numero di contribuenti attivi tra i lavoratori autonomi: mentre nel 1999 soltanto 4 lavoratori autonomi su 10 avevano versato imposte al fisco, nel 2014 questa quota era salita a quasi 9 su 10.[7]
Quali condizioni hanno reso possibile questo risultato? Abbiamo già ricordato l’importanza di definire un processo semplice e veloce per richiedere e ottenere la deduzione. Ma almeno altre tre caratteristiche del sistema coreano sono state fondamentali per generare un aumento del gettito:
- la possibilità per l’autorità fiscale di avere accesso ai dati delle transazioni elettroniche;
- un contenimento dei costi di installazione dei terminali di pagamento (i POS) e delle commissioni sui pagamenti con carta a carico degli esercenti;
- l’introduzione di una soglia minima e di un tetto massimo per gli incentivi fiscali, in modo tale che le minori entrate dovute alle deduzioni non superassero le maggiori entrate derivanti dal recupero di gettito sommerso.
Nel delineare il suo “Piano Italia Cashless”, il governo sembra essere consapevole della rilevanza di tutti questi fattori. Per quanto riguarda l’accessibilità delle informazioni connesse ai pagamenti elettronici, l’art. 86 del disegno di legge di bilancio prevede che l’Agenzia delle Entrate possa finalmente disporre di tutti i dati presenti nell’Archivio dei Rapporti Finanziari (saldi e movimentazioni dei conti correnti) e incrociarli con quelli di altre banche dati di cui dispone.[8] L’Agenzia non potrà tracciare ogni singolo pagamento elettronico, ma per esempio potrà conoscere il totale annuo delle spese fatte con una carta di credito e incrociare questa informazione con la dichiarazione dei redditi del titolare della carta. Per superare le criticità dell’Autorità Garante per la Privacy, che più volte negli ultimi anni ha segnalato potenziali rischi per la privacy individuale derivanti dall’utilizzo di questi dati, a ogni contribuente verrà assegnato un numero casuale che lo renda inizialmente anonimo agli occhi del fisco; soltanto se dall’incrocio delle banche dati emergeranno informazioni sospette, l’Agenzia delle Entrate potrà richiedere l’identità del contribuente in questione e avviare i propri accertamenti. Questa novità potrebbe consentire all’Agenzia delle Entrate di tracciare davvero i pagamenti elettronici che il governo vuole incentivare e sfruttarli per una vera profilazione del rischio fiscale, anche se alcuni osservatori hanno messo in luce la possibile inadeguatezza del personale dell’Agenzia in termini numerici e di competenze necessarie per l’incrocio delle banche dati.[9]
Il governo ha annunciato di voler intervenire anche sul secondo fattore, ovvero le commissioni pagate dagli esercenti per ogni transazione elettronica. Come detto in precedenza, il decreto fiscale prevede un credito d’imposta pari al 30 per cento delle commissioni sulle transazioni elettroniche per tutti gli esercenti con ricavi annui inferiori a 400 mila euro. Inoltre, il Presidente del Consiglio ha sostenuto di voler lavorare a un abbassamento delle commissioni per transazioni di basso importo, in accordo con il mondo bancario. La logica di questo intervento è chiara: come dimostrato da alcuni studi econometrici, una riduzione delle commissioni applicate dalle banche e dai gestori dei circuiti di pagamento dovrebbe promuovere l’accettazione di carte da parte degli esercenti.[10]
Ma a quanto ammontano oggi le commissioni sui pagamenti elettronici? Le tariffe variano in base al settore di attività dell’esercente, alla banca da cui quest’ultimo acquista il POS e alla società che gestisce il circuito di pagamento su cui poggia la carta di credito o di debito del consumatore (es. Bancomat, MasterCard, Visa). Nella sua recente audizione sul disegno di legge di bilancio, la Banca d’Italia ha parlato di “una commissione media intorno all’1 per cento del valore della transazione”, con livelli superiori alla media per piccoli esercizi e bar e inferiori alla media per la grande distribuzione;[11] una cifra molto vicina a quella fornita dall’Associazione Bancaria Italiana, l’1,1 per cento, secondo cui la media europea è invece pari all’1,2 per cento.[12] A prima vista, dunque, sulla base di questi dati non sembra che gli esercenti italiani paghino in media commissioni più elevate di quelle esistenti in altri paesi, ma un intervento mirato sulle piccole transazioni e sui piccoli esercenti (che hanno meno potere contrattuale nei confronti di banche e gestori dei pagamenti) potrebbe favorire l’efficacia del piano del governo.
Sono invece ancora da definire i dettagli operativi del cashback. Su questo punto è auspicabile che il decreto del MEF, da adottare entro il 30 aprile 2020, introduca un sistema semplice e veloce per ottenere il rimborso. Inoltre, i costi previsti per questa misura (3 miliardi annui di rimborsi) sono piuttosto elevati: occorre quindi valutare con attenzione a quale livello fissare le soglie minime e massime per le spese che verranno considerate ai fini del bonus e quali tipologie di spese includere nel calcolo, per evitare che il recupero di gettito indotto da questo incentivo si riveli inferiore ai suoi costi.
In conclusione, esistono concrete possibilità che il sistema di incentivi ai pagamenti elettronici previsto dal governo possa contribuire a ridurre l’evasione, a patto però che vengano rispettate quelle stesse condizioni che nel caso della Corea del Sud sono state determinanti per il successo di un simile intervento.
[3] Inizialmente, il decreto fiscale conteneva anche una sanzione di 30 euro più il 4 per cento della transazione per gli esercenti che rifiutano un pagamento con carta di debito o di credito. Un successivo emendamento approvato dalla Commissione Finanze della Camera ha eliminato questa sanzione.
[4] Il Documento Programmatico di Bilancio 2020 prevede maggiori entrate dal contrasto all’evasione fiscale per 3,2 miliardi nel 2020, 4,9 miliardi nel 2021 e 4,5 miliardi nel 2022, ma questi importi derivano da una serie di misure contenute nel decreto fiscale (per esempio in tema di contrasto alle compensazioni indebite o alle frodi sui carburanti) e non dagli incentivi ai pagamenti elettronici qui discussi.
[5] Nessuna deduzione è invece prevista per altre tipologie di reddito. Sono inoltre escluse dal conteggio le spese per il pagamento di premi assicurativi, rette scolastiche e universitarie, imposte nazionali e locali, bollette e transazioni con l’estero (per evitare doppie deduzioni o perché si tratta di pagamenti tipicamente non soggetti a evasione).
[6] Si veda Sung, M., Awasthi, R. e Lee, H. (2017), “Can Tax Incentives for Electronic Payments Curtail the Shadow Economy? Korea’s Attempt to Reduce Underreporting in Retail Businesses”, The Korean Journal of Policy Studies, 32(2), pp. 85-134.
[7] Si potrebbe obiettare che questo aumento sia stato dovuto alla forte crescita del Pil nominale, che ha spinto un numero sempre maggiore di lavoratori autonomi oltre la soglia della “no tax area”. Tuttavia, gli autori dello studio sottolineano che la crescita economica, pur essendo ugualmente forte anche prima del 1999, non aveva avuto alcun effetto sulla quota di contribuenti attivi tra i lavoratori autonomi nel corso degli anni ’90 (quota rimasta attorno al 30-35 per cento per tutto il decennio). Sembra quindi più probabile che il fattore decisivo sia stata l’introduzione degli incentivi fiscali per i pagamenti elettronici.
[8] L’Archivio dei Rapporti Finanziari contiene le informazioni sui saldi e sulle movimentazioni di tutti i “rapporti attivi”, cioè conti correnti, carte di credito e di debito, finanziamenti, ecc. In particolare, gli intermediari finanziari (come le banche o le Poste) sono obbligati a comunicare: (i) informazioni mensili su aperture e chiusure di rapporti; (ii) informazioni annuali sul saldo di inizio e fine anno e sul totale dei movimenti di ciascun rapporto e sulla giacenza media annua di ciascun conto corrente o di deposito.
[10] Si veda per esempio Ardizzi, G. e Savini Zangrandi, M. (2018), “The impact of the interchange fee regulation on merchants: evidence from Italy”, Banca d’Italia Occasional Papers n.434.