Se non per i conti pubblici, almeno per l’ambiente
di Stefano Olivari
9 settembre 2019
Il Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli 2017 mette in luce alcuni potenziali benefici economici e ambientali derivanti da un ripensamento degli stessi. Su 161 sussidi analizzati dal valore di 41 miliardi, quelli dannosi all’ambiente valgono 19,3 miliardi.
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Una delle principali preoccupazioni per il nuovo governo riguarda le coperture da trovare per la manovra autunnale, incluso quelle destinate a evitare l’aumento dell’IVA.
Una parte di queste coperture potrebbe essere ricavata da una rimodulazione di alcuni sussidi dannosi per l’ambiente, come è stato documentato in un lavoro del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (“Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli 2017”[1]). Questa nota riassume tale lavoro, molto dettagliato ma anche molto lungo e in alcuni punti difficile da leggere per il lettore non specialista.
Cosa sono e come sono stati classificati i sussidi dannosi per l’ambiente
A livello di classificazione, i sussidi sono distinti in:
- diretti, che consistono in trasferimenti diretti ai produttori e trasferimenti di fondi per coprire i costi;
- indiretti, che consistono in spese fiscali, ossia esenzioni per certe categorie, riduzioni di certe aliquote, rimborsi e altre tipologie di agevolazioni.
La distinzione è legalmente importante, ma, in termini economici, non è sostanziale (si tratta comunque di benefici a un certo settore o attività) per cui nel seguito non sarà fatta alcuna distinzione tra sussidi diretti e indiretti.
La scelta di quali sussidi siano giudicati ambientalmente dannosi non è semplice e in parte arbitraria. Nel seguito non prendiamo una posizione sulla classificazione fatta dal Ministero, limitandoci a riclassificare le stime fornite del costo dei sussidi dannosi. In ogni caso, lo stesso Ministero classifica alcuni sussidi come aventi un effetto incerto sull’ambiente.[2] Questi sussidi di incerto effetto sono però una quota limitata del totale e il seguito di questa nota si concentra prevalentemente sui sussidi sicuramente dannosi.
Quali sono i settori più sussidiati?
Su 161 sussidi analizzati dal rapporto, 75 sono considerati dannosi per l’ambiente, di cui 53 hanno una quantificazione dell’effetto finanziario. Il costo previsto di tutti i 161 sussidi per il 2017 ammonta a 41 miliardi, di cui 15,2 miliardi per sussidi favorevoli all’ambiente, 6,6 miliardi per sussidi di classificazione incerta e 19,3 miliardi per sussidi dannosi. Tra questi ultimi, quasi il 90 per cento appartiene a sussidi per combustibili da fonti fossili che sono particolarmente inquinanti. Si legge nel rapporto che “da un punto di vista sociale, molti di questi sussidi giocano un ruolo rilevante, ma dal punto di vista economico e ambientale, tutti i sussidi ai combustibili fossili sono inefficienti, in quanto non internalizzano l’impatto ambientale e sulla salute umana e violano costantemente il principio chi inquina paga”. Ora invece vige il principio opposto, cioè che “chi inquina viene pagato”: esemplare è l’assegnazione a titolo gratuito e non a titolo oneroso delle quote di emissione previste dall’Emission Trading System (un sistema di compravendita di quote di emissione di gas serra), per cui è stata stimata una perdita di gettito di 340 milioni circa. Il minor gettito implica anche minori risorse da spendere per opere a favore dell’ambiente.
La Tavola 1 riporta gli effetti finanziari dei sussidi ambientalmente dannosi per il 2017, riclassificati in base ai beneficiari di tali sussidi.
Tav. 1: Effetti finanziari dei sussidi ambientalmente dannosi (2017)
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Beneficiari
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Numero misure
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Effetto finanziario (mld euro)
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Famiglie e Imprese
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3
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5,6
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Imprese
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8
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3,8
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Famiglie
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3
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2,5
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Agricoltura & Pesca
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14
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2,1
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Trasporto aereo
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2
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1,6
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Autotrasporto
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1
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1,3
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Imprese energetiche
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9
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1,1
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Navale
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4
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0,7
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Imprese energivore
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1
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0,6
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Settori residui
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8
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0,2
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53
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19,3
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Fonte: elaborazioni OCPI su dati Ministero dell'Ambiente
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Un primo gruppo di sussidi vanno a beneficio sia di famiglie sia di imprese (5,6 miliardi). Le risorse sono concentrate in due sussidi principali: uno è la minore tassazione del gasolio rispetto alla benzina (4,9 miliardi), l’altro è la minore aliquota IVA, rispetto a quella standard, per l’acqua e le acque minerali (0,7 miliardi). In quest’ultimo caso, il danno ambientale è causato dall’uso eccessivo di una risorsa scarsa (l’acqua) che deriverebbe dalla sua detassazione.
Un secondo insieme di sussidi sono erogati a favore di tutte le imprese (3,8 miliardi) incluso: l’agevolazione IVA sull’energia elettrica e gas per le industrie che operano in branche strategiche del settore agricolo e manifatturiero caratterizzate dalla presenza di piccole e medie imprese (1,4 miliardi); l’agevolazione fiscale sui fringe benefit a favore del lavoratore che utilizza in maniera promiscua l’auto aziendale (1,2 miliardi), che, secondo il Ministero, favorisce l’acquisto di vetture con elevate cilindrate ed emissioni. I restanti 1,2 miliardi sono composti da riduzioni di accise e altre agevolazioni sui carburanti fossili (gas naturale, GPL, olio, ecc.) per usi industriali e da crediti d’imposta di varia natura.
Terzo, ci sono sussidi da cui traggono beneficio le sole famiglie (2,5 miliardi), in larga parte costituiti dal regime agevolato dell’IVA per il consumo domestico di energia elettrica (1,7 miliardi) e da altre due esenzioni simili (0,8 miliardi).
Al quarto posto stanno i sussidi all’agricoltura e pesca (2,1 miliardi). Le due voci maggiori riguardano i sussidi all’impiego di prodotti benzina e gasolio nei lavori agricoli e assimilati (0,8 miliardi) e un regime IVA agevolato per i fertilizzanti (0,5 miliardi). Altri sussidi sono indirizzati al sostegno di settori specifici tipo la macellazione, la zootecnia, la produzione di latticini, di frumento e alle imprese per prodotti fitosanitari. Qui è anche importante notare l’elevato numero di sussidi giudicati “incerti” dal Ministero (comunque non inclusi nei totali sopra riportati).
Al quinto posto c’è il trasporto aereo (1,6 miliardi) per l’esenzione dall’accisa su “carburanti per la navigazione aerea diversa dall’aviazione privata”.
Al sesto posto, solo di poco, è l’autotrasporto (1,3 miliardi): si tratta di un sussidio per il pagamento dell’accisa sul gasolio impiegato come carburante per l’autotrasporto di merci ed alcune categorie di trasporto passeggeri.
Al settimo posto troviamo le imprese energetiche (1,1 miliardi), per sussidi alla produzione di energia elettrica attraverso l’uso di combustibili fossili.
All’ottavo posto c’è il settore marittimo (0,7 miliardi) grazie a un’esenzione dall’accisa sui carburanti per la navigazione (0,5 miliardi) e altre voci minori.
Al nono posto ci sono i sussidi alle imprese energivore (0,6 miliardi) che vanno a settori con elevato consumo di energia elettrica.
Infine, c’è un settore residuo (0,2 miliardi) che comprende voci minoritarie relative al mondo dei trasporti (0,1 miliardi), tra cui esenzioni IVA al servizio taxi e a riduzioni d’accisa nel trasporto ferroviario e altre voci minori.
Da notare che le cifre sopra riportate non includono i sussidi che devono ancora essere quantificati per il 2017, tra cui quelli al settore edile e estrattivo.
Perché ridurre i sussidi dannosi?
Un lavoro dell’OCSE riassume i benefici provenienti dalla rimozione dei sussidi dannosi all’ambiente[3]:
• da un lato ci sono benefici relativi all’ambiente:
- meno inquinamento significa più salute pubblica;
- meno danni ambientali diretti e indiretti;
- in generale, meno esternalità negative che potrebbero avere anche effetti transfrontalieri.
• dall’altro ci sono alcuni benefici di natura economica visto che i sussidi:
- sono spesso giudicati inefficienti e distorsivi del mercato perché alterano il costo di produzione non garantendo un’allocazione efficiente delle risorse, che potrebbero essere usate in altri mercati;
- sono una voce di costo per i bilanci pubblici;
- potrebbero essere utilizzati per altri scopi più meritevoli, ad esempio ricerca di energia pulita, innovazione o sicurezza sociale.
[2] Ad esempio, per il “contributo per servizi di trasporto ferroviario intermodale in arrivo e in partenza da nodi logistici e portuali in Italia” sono stati stanziati 20 milioni annui per il triennio 2016-2018: in questo caso, sebbene ci sia evidenza empirica di minori costi esterni del trasporto “ferroviario elettrico” rispetto a quello “ferroviario a gasolio” (paragonato a quello “stradale su gomma” per costi ambientali), al momento non è possibile stabilire quale sia stato il combustibile effettivamente poi impiegato per i trasporti.
[3] OCSE (2017a), Towards a G7 target to phase out environmentally harmful subsidies, OECD Publishing, Parigi.