Università Cattolica del Sacro Cuore

Quanto sono state “verdi” le politiche fiscali adottate durante la pandemia?

di Matilde Casamonti

19 aprile 2020

Le misure di sostegno sin qui varate dall’inizio della pandemia dai governi delle 50 principali economie del mondo hanno raggiunto quasi i 15 mila miliardi di dollari. Queste ingenti risorse sono necessarie per far fronte alla crisi sanitaria ed economica, ma rappresentano anche un’opportunità per favorire la transizione verso economie più sostenibili. La spesa verde resta ancora bassa, nonostante qualche miglioramento registrato nel corso del 2020. Tra le economie che hanno maggiormente orientato la spesa in direzione della sostenibilità ambientale troviamo i principali paesi dell’Europa occidentale e settentrionale, quali Francia, Germania, Spagna, Finlandia, Danimarca, Svezia e Svizzera, oltre a Canada e Regno Unito. L’Italia, tra i grandi paesi dell’Unione Europea, risulta essere quello che ha speso meno in interventi verdi.

La nota è stata ripresa da TPI in questo articolo del 15 aprile 2021.

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In risposta alla pandemia i paesi di tutto il mondo stanno mettendo in campo risorse senza precedenti. Queste ingenti risorse si sono rese necessarie per affrontare l’emergenza sanitaria e la crisi economica, ma il modo in cui sono state e saranno utilizzate avrà un impatto significativo sul raggiungimento degli obiettivi climatici di medio-lungo termine stabiliti dall’accordo di Parigi. In questa direzione, l’Unione Europea, sulla scia del Green New Deal di fine 2019, ha posto come requisito per l’ottenimento dei fondi Recovery Resilience and Facility (RRF) che il 37 per cento delle risorse dei Recovery Plan nazionali vadano a finanziare investimenti verdi. Anche negli Stati Uniti la nuova amministrazione si è impegnata a varare un piano per il clima, il c.d. Biden-Harris Climate Change, di 1,7 mila miliardi di dollari da spendere nei prossimi 10 anni. Nonostante queste premesse favorevoli, la spesa verde resta ancora molto bassa.[1] Secondo i dati del Global Recovery Observatory, un network promosso dall’ Environment Programme delle Nazioni Unite, le misure di sostegno varate dai governi delle principali 50 economie fra febbraio 2020 e febbraio 2021 ammontano complessivamente a 14,6 mila miliardi di dollari. Di questi, la spesa per finanziare politiche volte a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra ammonta solo al 2,5 per cento. Anche limitandoci a considerare solo le politiche che stimolano la crescita, equivalenti a circa 2 mila miliardi di dollari, e quindi non considerano i sostegni a breve termine a cittadini e imprese, la quota di risorse destinate a interventi che diminuiranno le emissioni dannose ammonta solo al 18 per cento (fig. 1).[2] Esistono inoltre importanti differenze fra paesi. L’80 per cento della spesa verde fa parte dei pacchetti di recupero dei paesi più avanzati, tra cui Francia, Germania, Canada, Spagna e Regno Unito, Giappone e Corea del Sud, oltre che della Cina.[3] Guardando la quota di spesa verde in rapporto al Pil emergono i paesi del Nord Europa, in particolare Danimarca e Finlandia.

Sostegni verdi: un confronto internazionale

Per valutare e confrontare l’impatto ecologico dei programmi di rilancio nei settori ad alto impatto ambientale di 30 economie, Vivid Economics, una società britannica specializzata nel settore ambientale ed energetico, ha elaborato un indicatore sintetico chiamato Greenness of Stimulus Index (GSI).[4] Questo indice è calcolato sulla base di:

  • le risorse stanziate per i settori ad elevato impatto ambientale, cioè agricoltura, industria, energia, rifiuti e trasporti;
  • l’impatto ambientale degli interventi adottati in questi cinque settori, tenendo conto anche del loro livello di sostenibilità pre-pandemia.[5] Infatti, un sussidio o una riduzione delle tasse per produzioni inquinanti avrà un impatto più negativo in un paese che fa un uso massiccio di tali produzioni.

 

I valori assunti dal GSI a febbraio 2021 mostrano che la maggior parte degli interventi varati nei settori ad alto impatto ambientale avrà un impatto ecologico netto negativo. Solo 10 paesi hanno infatti un GSI positivo (fig. 2). Questo rappresenta comunque un miglioramento rispetto ad aprile 2020, quando solo Regno Unito, Francia e Svizzera avevano un GSI maggiore di zero.[6] Adesso quasi tutti i paesi europei dell’Europa Occidentale e Settentrionale (Danimarca, Francia, Regno Unito, Spagna, Svezia, Finlandia, Germania e Svizzera), insieme a Canada e Regno Unito, si posizionano nella parte alta della classifica. A metà classifica troviamo i grandi paesi, quali Cina, India e Stati Uniti, e le altre economie avanzate, mentre le nazioni produttrici di energia da combustibile fossile e i paesi emergenti ottengono i punteggi più bassi. Questi paesi infatti sono maggiormente dipendenti dai settori ad alto impatto ambientale e le loro misure hanno un impatto ecologico dannoso.

Dove si posiziona l’Italia?

Rispetto alla precedente rilevazione, di aprile 2020, l’Italia ha aumentato la propria spesa verde; tuttavia, il suo GSI complessivo rimane negativo e si posiziona in 11esima posizione, ad un livello simile a Giappone ed Australia, poco al di sopra degli Stati Uniti e dietro tutti gli altri paesi europei. Tra le misure ad impatto ecologico positivo adottate nei decreti anticrisi, dal Cura Italia all’ultimo Decreto Ristori, troviamo principalmente il super bonus del 110 per cento per opere di efficientamento energetico, il bonus bicicletta, il bonus per i veicoli elettrici e il finanziamento degli enti locali per progetti di trasporto sostenibile. Tra le misure classificate come negative per l’ambiente troviamo invece il salvataggio di Alitalia per un valore di 3,3 miliardi di dollari e l’eliminazione delle clausole di salvaguardia sull’Iva e sulle accise, per la parte relativa ai prodotti combustibili. L’impatto complessivo di queste misure è negativo, anche a causa del peso che hanno in Italia i settori ad alto impatto ambientale. Infatti, secondo l’Environmental Performance Index 2020 (EPI), un indice composito elaborato dal Yale Center for Environmental Law & Policy per confrontare il grado di sostenibilità ambientale di 180 nazioni, l’Italia si posiziona al 20esimo posto al pari del Canada e della Repubblica Ceca, ma dietro a tutti i paesi scandinavi, ai principali paesi europei e anche ad Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Regno Unito (Tav.1).[7] Nel dettaglio, questo indice composito è costruito sulla base della performance di ogni paese in 11 categorie (qualità dell’aria, servizi igienico-sanitari e acqua potabile, metalli pesanti, gestione dei rifiuti, biodiversità e habitat, servizi ecosistemici, pesca, cambiamento climatico, agricoltura, risorse idriche). L’Italia, rispetto alla performance media dei paesi che la precedono nella classifica EPI, ottiene punteggi più bassi soprattutto nella gestione delle risorse idriche, qualità dell’aria, produzione di emissioni inquinanti, ma anche per quanto riguarda i metalli pesanti, la gestione dei rifiuti, cambiamento climatico. Si trova invece in linea con la media dei paesi che la precedono nella classifica EPI per la biodiversità e habitat, servizi igienico-sanitari e acqua potabile, agricoltura, pesca e servizi ecosistemici.

Tav. 1: Classifica Indice di Performance Ambientale (EPI) 

 

 

 

 

Paese

Classifica

Indice di performance ambientale (EPI)

Variazione dell'indice negli ultimi 10 anni

Danimarca

1

82,5

7,3

Lussemburgo

2

82,3

11,6

Svizzera

3

81,5

8,6

Regno Unito

4

81,3

9

Francia

5

80

5,8

Austria

6

79,6

5,4

Finlandia

7

78,9

6

Svezia

8

78,7

5,3

Norvegia

9

77,7

7,6

Germania

10

77,2

1,2

Paesi Bassi

11

75,3

1,5

Giappone

12

75,1

-0,5

Australia

13

74,9

5,5

Spagna

14

74,3

8,6

Belgio

15

73,3

2,1

Irlanda

16

72,8

2,9

Islanda

17

72,3

0,4

Slovenia

18

72

4,6

Nuova Zelanda

19

71,3

1,8

Canada

20

71

3,7

Repubblica Ceca

20

71

4

Italia

20

71

1,1

Malta

23

70,7

11,6

Stati Uniti d’America

24

69,3

2,9

Grecia

25

69,1

3,4

Slovacchia

26

68,3

3,9

Portogallo

27

67

4

Corea del Sud

28

66,5

2,2

Fonte: Elaborazioni OCPI su dati Yale Center for Environmental Law & Policy.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


[1] Vedi un precedente articolo dell’Osservatorio sulla spesa verde con dati di settembre 2020: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-quanto-sono-verdi-le-misure-anti-covid-adottate-in-italia#_ftn2.

[2] Per maggiori dettagli sulla metodologia utilizzata dal Global Recovery Observatory vedi: https://recovery.smithschool.ox.ac.uk/global-recovery-observatory-draft-methodology-document/.

[4] Il campione considerato comprende tutti i paesi del G20, Colombia, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Filippine, Singapore, Spagna, Svezia e Svizzera.

[5] Il grado di sostenibilità dei settori pre-covid è stato valutato utilizzando le seguenti fonti: Climate Action Tracker (https://climateactiontracker.org/countries/), Environmental Performance Index (https://epi.yale.edu/), Germanwatch Climate Change Performance Index (https://germanwatch.org/en/CCPI) e i progress reports verso i Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite. (https://s3.amazonaws.com/sustainabledevelopment.report/2019/2019_sustainable_development_report.pdf).

[6] Nell’edizione di April 2020 non erano compresi i paesi del Nord Europa.

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