La riforma delle pensioni tra passato e futuro
Le riforme delle pensioni degli ultimi anni sono state inevitabili per contrastare due tendenze demografiche: l’aumento dell’aspettativa di vita (gli attuali sessantacinquenni hanno un’aspettativa di vita di 20,7 anni, contro 15,3 anni per chi raggiungeva questa età nel 1980) e il crollo nel tasso di natalità ben al di sotto di quanto necessario per mantenere la popolazione costante (siano attualmente a 1,37 figli per donna). Il risultato è che il numero di anziani che dovrà essere sostenuto da ogni 100 persone in età lavorativa salirà dall’attuale 37 a 62 nei prossimi trent’anni. Queste tendenze rendono inevitabile prolungare la vita lavorativa e/o ridurre il livello delle pensioni, a meno di non voler aumentare le tasse sui giovani o tagliare altre spese (cosa peraltro già fatta nell’ultimo decennio; Figure 1.a e 1.b).
In aggiunta, si può notare un aumento del reddito medio da pensione più rapido di quello del reddito pro capite italiano a partire dal 2008, dato che i pensionati sono stati maggiormente protetti dalla crisi economica rispetto ad altri gruppi più esposti. In conseguenza, il rapporto tra pensione media e reddito medio pro capite italiano è cresciuto sensibilmente da tale data (Figura 2).
Quindi, le passate riforme pensionistiche sono il minimo necessario. Le previsioni ufficiali indicano che, per effetto delle passate riforme, la spesa pensionistica resterà più o meno stabile sui livelli attuali fino al 2045, scendendo solo in seguito. Ma, pur non crescendo, la spesa resterà alta e non contribuirà al necessario aggiustamento dei conti pubblici, che graverà quindi su altre voci.
In realtà, la spesa per pensioni potrebbe eccedere, anche a normativa corrente, le previsioni ufficiali. Infatti, come nota un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, alle pagine 48-50, le previsioni ufficiali riflettono ipotesi già molto favorevoli sulle tendenze demografiche, sulla crescita dell’occupazione e sulla crescita della produttività:
- Le tendenze demografiche sono più favorevoli di quelle utilizzate dalle Nazioni Unite: si prevede, fra l’altro, una dinamica dell’immigrazione più forte che negli altri paesi europei, non solo in termini di arrivi, ma anche di stabilizzazione.
- L’occupazione è prevista aumentare rapidamente, anche per effetto di un calo del tasso di disoccupazione al 5,5 per cento durante le prossime decadi (è stato in media del 9 per cento dal 1980, come pure nell’ultimo decennio).
- Il Pil reale pro capite e la produttività sono previsti in rialzo a un tasso medio dell’1,75 per cento. Dal 1980 il tasso di crescita medio del Pil pro capite è stato inferiore all’1 per cento.
Con ipotesi meno favorevoli (un aumento del tasso di occupazione della metà di quanto previsto ufficialmente, tendenze demografiche in linea con le previsioni delle Nazioni Unite e una crescita della produttività di mezzo punto inferiore a quella delle previsioni ufficiali), il rapporto tra spesa per pensioni e Pil aumenterebbe entro il 2045 di oltre quattro punti percentuali (Figura 3).
Le previsioni ufficiali potrebbero realizzarsi in un contesto di forti riforme strutturali, ma i rischi sono significativi e non lasciano spazio a un annacquamento delle riforme pensionistiche degli ultimi anni. Quindi, ogni aggiustamento apportato al sistema pensionistico dovrebbe essere compensato da revisioni in senso opposto di altri aspetti del sistema, per non aggravare ulteriormente il resto del bilancio pubblico. C’è comunque il rischio che variazioni minori, ma continue, della normativa pensionistica, quali quelle verificatesi negli ultimi anni, portino, nel tempo, a un sostanziale stravolgimento delle passate riforme.