La lenta riforma degli acquisiti di beni e servizi della PA
di Stefano Olivari
22 febbraio 2020
Quali passi avanti sono stati fatti nel migliorare i processi di acquisto della PA, dopo la riforma del 2014? Ci sono stati progressi di natura tecnica ma anche passi indietro, come la rimozione (seppure temporanea in linea di principio) degli obblighi di acquisto centralizzato per certe categorie di acquisti per i comuni non capoluogo di provincia. Sul lato positivo, c’è un consistente aumento dell’utilizzo degli strumenti centralizzati nel 2018 (+34 per cento), ma questi ultimi restano ancora sottoutilizzati. La spesa presidiata (cioè quella per cui, teoricamente, potrebbero essere utilizzati strumenti centralizzati) è stata di quasi 49 miliardi nel 2018, ma la spesa “erogata” (gli acquisti su questi canali) è stata di solo 12 miliardi. Se i restanti 37 miliardi non erogati con questi canali fossero acquistati attraverso gli strumenti centralizzati, si produrrebbero mediamente risparmi nell’ordine del 15 per cento (cioè 5 miliardi e mezzo), come si può stimare utilizzando i risultati della Rilevazione MEF-Istat edizione 2018 sui dati dell’anno 2017. Inoltre, rimane poca trasparenza sui prezzi d’acquisto di certi beni e servizi da parte delle singole amministrazioni.
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Il sistema degli acquisti centralizzati e la riforma del DL 66/2014
Nella nota “Gli acquisti di beni e servizi della Pubblica Amministrazione: si sta risparmiando?” del 30 aprile 2018 avevamo fatto il punto sull’andamento degli acquisti centralizzati della pubblica amministrazione (PA), avviato già dal 2000 e rinforzato con il DL 66/2014, per valutare se e quanto si stesse risparmiando dall’accentramento delle procedure di acquisto.[1]
Il sistema avviato nel 2014 con l’art.9 del DL 66/2014 prevedeva l’istituzione di una trentina di Soggetti Aggregatori (SA), cioè di società certificate che, insieme alla centrale di committenza nazionale Consip (già esistente) stipulassero contratti e accordi con i fornitori per conto e a beneficio della PA per specifiche categorie di beni e servizi identificate da un apposito DPCM.[2] Per queste categorie e sopra a certe soglie prestabilite, gli uffici acquisti delle varie amministrazioni avrebbero dovuto obbligatoriamente utilizzare gli strumenti di acquisto e di negoziazione standardizzati (convenzioni, accordi quadro, mercato elettronico MePA, sistema di acquisto dinamico SDA e gare in ASP[3]) messi a disposizione da Consip e dagli altri SA. La norma prevedeva che in presenza un’iniziativa dei SA per tali categorie, l’ANAC non avrebbe rilasciato il codice identificativo della gara (CIG), impedendone di fatto l’acquisto indipendente al di sopra di certe soglie.[4] Nel tempo si sarebbero dovute aggiungere nuove categorie merceologiche attraverso un apposito DPCM.
In aggiunta, proprio per scoraggiare acquisti autonomi da parte delle amministrazioni sottoposte all’obbligo di approvvigionamento centralizzato, la riforma prevedeva limiti massimi sui prezzi d’acquisto oltre i quali era vietato comprare. Per i beni dove esiste una convenzione dei SA, sono stati introdotti i cosiddetti “prezzi benchmark”, definendo a monte le prestazioni principali e le caratteristiche essenziali che dovevano servire per confrontare la convenienza degli acquisti autonomi.[5] Mentre per gli altri beni e servizi di maggiore impatto in termini di costo a carico della PA, sono stati introdotti i “prezzi di riferimento”, derivati dall’analisi degli acquisti effettivi condotti indipendentemente dalle varie amministrazioni.
Dalla centralizzazione sarebbero quindi derivati potenzialmente molteplici vantaggi: oltre alle economie di scala e prezzi inferiori, le gare centralizzate possono beneficiare di una maggiore competenza e trasparenza (almeno in via di principio).
La nostra nota dell’aprile 2018 concludeva che c’era stato un aumento degli acquisti centralizzati, ma i progressi erano ancora limitati in termini di volumi. Inoltre, persistevano alcune criticità in termini di trasparenza e pubblicità dei prezzi effettivamente pagati dalla PA.
Quali novità ci sono state dall’aprile 2018?
A un anno e mezzo di distanza dalla precedente nota, le principali novità sono state le seguenti:
- Il processo di estensione degli obblighi di acquisto attraverso strumenti centralizzati sta ancora procedendo lentamente, specialmente sul fronte dei SA dove dal primo DPCM del 24 dicembre 2015 ne è seguito soltanto un altro, l’11 luglio 2018, che ha aggiunto 6 categorie alle 19 preesistenti.[6] Secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, le ragioni del limitato aumento sono dovute al differente livello di maturazione/preparazione dei SA, il che comporta difficoltà e rallentamenti nell’implementazione degli obblighi.[7]
- A seguito dei DM del 6 febbraio 2019 e del 21 ottobre 2019, sul portale acquistinretepa.it sono stati aggiornati i prezzi benchmark e le cosiddette “caratteristiche essenziali” e “prestazioni principali” che definiscono quali fattori consentono differenze di prezzo. Un comunicato del Presidente dell’ANAC del 2 ottobre 2019 ha invece sospeso l’operatività dei prezzi di riferimento e dei relativi obblighi di comunicazione dei prezzi effettivi d’acquisto in attesa di una ridefinizione per quali beni e servizi dovranno essere avviate le rilevazioni.[8] In effetti, finora erano stati pubblicati solo i prezzi delle risme di carta.
- Con la Legge di Bilancio per il 2019 (Legge 145/2018) si è intervenuti sugli obblighi MePA innalzando la soglia minima per i micro acquisti da 1000 a 5000 euro (con alcune eccezioni tipo il sistema sanitario nazionale, per il quale il tetto resta a 1000) oltre la quale è obbligatorio ricorrere al MePA. Tuttavia non si capisce la ragione dietro a questa scelta dato che il mercato elettronico era stato pensato proprio per favorire gli acquisti di piccolo importo. Per importi inferiori alle suddette soglie ora è possibile comprare senza ricorrere a strumenti centralizzati.
- Con la conversione in legge del decreto “Sblocca Cantieri” è stata introdotta una sospensione temporanea fino al 31 dicembre 2020 dell’obbligo di acquisto centralizzato dei Comuni non capoluogo di provincia (Codice dei contratti pubblici, art. 37, comma 4 del D.Lgs. 50/2016), rendendolo meramente facoltativo. Attraverso questo allentamento voluto dal governo giallo-verde, si sarebbe dovuto teoricamente favorire il rilancio degli investimenti.[9] Al momento non è ancora possibile verificare se abbia avuto benefici. È sicuro invece che il continuo cambio di rotta non favorisce in alcun modo il processo di accentramento. Inoltre si notifica che a distanza di 3 anni, la riforma del 2016 (Legge 11/2016), che prevedeva un processo di qualifica delle stazioni appaltanti[10] secondo parametri oggettivi per valutarne la capacità operativa, è rimasta inattuata perché il relativo DPCM non è mai stato approvato dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni. Il numero di stazioni appaltanti si sarebbe dovuto ridurre di circa il 75-80 per cento secondo le previsioni dell’ANAC.
- Con la Legge di Bilancio per il 2020 sono state previste nuove iniziative utili alla razionalizzazione degli acquisti, ma i benefici saranno stimabili solo a consuntivo:
- Sono stati estesi alcuni obblighi di acquisto centralizzato alla categoria “autoveicoli” (esclusi quelli difficilmente standardizzabili o raramente acquistati) e si è introdotta la facoltà di utilizzare in modalità ASP la piattaforma MEF acquistinretepit anche per le gare nel settore dei “lavori pubblici”.[11]
- È stato previsto un maggior coordinamento tra Consip e i SA al fine di fornire massima copertura per determinate categorie di beni e per certe amministrazioni del territorio dove non è pianificato l’intervento del SA di riferimento per motivi organizzativi e/o temporali.[12]
- È stato ampliato l’utilizzo obbligatorio degli accordi quadro e del sistema dinamico di acquisizione, garantendo tempestività e adeguata tutela giurisdizionale agli operatori partecipanti.[13]
Inoltre da quest’anno occorre ricordare che sono stati introdotti tetti alla spesa per le PA, esclusi gli enti del SSN e le agenzie fiscali, tale per cui non potranno “effettuare spese per l’acquisto di beni e servizi per un importo superiore al valore medio sostenuto per le medesime finalità negli esercizi finanziari 2016, 2017 e 2018, come risultante dai relativi rendiconti o bilanci deliberati”, a meno di non aumentare parimenti le entrate.
In termini di volumi di spesa, quali sono state le variazioni?
La recente Relazione al Parlamento sulla razionalizzazione degli acquisti aggiorna le informazioni sull’evoluzione di alcuni aggregati di spesa.[14] Come in passato, i dati pubblicati riguardano però solo il Programma di razionalizzazione degli acquisti attuato tramite Consip e non gli altri SA, per i quali il MEF non raccoglie informazioni. Per l’esattezza, sul sito dei SA è riportata solo un’indicazione del “valore aggiudicato” per il complesso dei SA, compresa Consip, ma non gli importi effettivamente acquistati.[15] Ad ogni modo, è abbastanza probabile che l’operato complessivo degli altri SA sia decisamente più limitato rispetto a quanto fa Consip essendo pensati per operare principalmente a livello regionale o locale. Vediamo ora alcune statistiche:
- La prima è il volume di spesa presidiata da Consip, cioè la spesa per la quale esiste almeno un contratto attivo per quell’anno. Rispetto all’anno precedente la spesa è cresciuta del 2,6 per cento, da 47,4 miliardi a 48,6, cioè pari alla metà dei 98 miliardi che la PA spende per acquistare beni e servizi (nel gergo detti “consumi intermedi”).[16]
- La seconda, più interessante da guardare, è quanto di questa spesa presidiata viene poi effettivamente acquistata dalle amministrazioni, vale a dire quanto vengono utilizzati gli strumenti centralizzati messi a loro disposizione: la spesa erogata o intermediata da Consip nel 2018 è ammontata a 12,1 miliardi, in forte aumento rispetto ai 9 miliardi del 2017 (+34 per cento). Si tratta di un risultato positivo, segno che la centralizzazione sta accelerando il passo (si veda Figura 1). Si deve notare che però c’è ancora molto margine di miglioramento dato che i volumi erogati corrispondono soltanto a un quarto della spesa presidiata (si veda Tavola 1).[17]
- La terza, presa dalla Relazione al Bilancio Consip sul 2018, mostra la ripartizione della spesa erogata per tipologia di bene nel 2018: la quota maggiore è destinata alla sanità, seguita da prodotti informatici e di telecomunicazione (IT&TLC) e poi da spese per beni e servizi in senso stretto (si veda Tavola 2).[18]
I possibili risparmi
Come si è detto, i dati pubblicamente disponibili non consentono di controllare se, nei casi previsti dalla regolamentazione, tutte le amministrazioni acquistino effettivamente attraverso i canali centralizzati. Inoltre, anche laddove ci sia solamente la facoltà di acquistare tramite i canali centralizzati, non è chiaro perché le amministrazioni non sfruttino i canali centralizzati, dato che dalla Rilevazione MEF-Istat (edizione 2018) si può stimare chiaramente un risparmio medio del 15 per cento per gli acquisti centralizzati rispetto a quelli non centralizzati (si veda qualche esempio di risparmio nella Figura 2).[19] Ipotizzando che lo stesso risparmio medio sia applicabile anche alla quota di spesa acquistata in modo decentrato, circa 37 miliardi, i risparmi annui da acquisti centralizzati potrebbero essere di 5,5 miliardi di euro.
Tav. 1: Strumenti e importi del Programma di razionalizzazione degli acquisti nel 2018
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Presidiata (mld)
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Erogata (mld)
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Rapporto (%)
|
Convenzioni
|
16,0
|
4,0
|
25,0
|
MEPA
|
9,5
|
4,0
|
41,8
|
Accordi Quadro
|
4,1
|
0,4
|
10,4
|
SDAPA
|
18,9
|
3,5
|
18,4
|
Gare in ASP e su delega
|
0,2
|
0,2
|
93,1
|
Totale
|
48,6
|
12,1
|
24,8
|
Fonte: MEF e Consip su dati 2018
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Tav. 2: Spesa erogata per categoria e area merceologica da Consip nel 2018
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(Valori in milioni di euro)
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Area Merceologica
|
Conv
|
MEPA
|
AQ
|
SDAPA
|
GSD/GASP
|
Totale
|
%
|
Altri beni e servizi
|
899
|
1.090
|
26
|
36
|
140
|
2.191
|
17,5
|
Sanità
|
5
|
577
|
209
|
3.290
|
3
|
4.084
|
32,6
|
Energia e utilities
|
1.982
|
40
|
0
|
0
|
1
|
2.023
|
16,1
|
Building management
|
235
|
1.285
|
0
|
22
|
49
|
1.591
|
12,7
|
IT & TCL
|
573
|
989
|
187
|
82
|
822
|
2.653
|
21,2
|
Totale
|
3.694
|
3.981
|
422
|
3.430
|
1.015
|
12.542
|
100
|
%
|
29,5
|
31,7
|
3,4
|
27,3
|
8,1
|
100
|
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Fonte: Bilancio Consip sul 2018
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Nota: Le discrepanze tra i dati presenti nella Relazione al Parlamento del MEF e nella Relazione al Bilancio Consip sul 2018 derivano dal fatto che non tutte le attività di Consip appartengono anche al Programma di Razionalizzazione degli acquisti e viceversa. Per esempio, la spesa erogata dal Bilancio Consip ammonta a 12,5 miliardi contro i 12,1 del MEF.
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[2] I soggetti aggregatori sono 32: su base nazionale c’è la centrale di committenza Consip, poi ce ne sono 19 su base regionale e infine 12 su base territoriale (sostanzialmente province e città metropolitane, definite in base ai requisiti del DPCM 11 novembre 2014). L’elenco completo è stato aggiornato con delibera dell’ANAC del 4 settembre 2019, n.781.
[3] Le gare in ASP (Application Service Provider) sono uno strumento di negoziazione telematico che consente una gestione uniforme e interamente digitale delle gare sopra la soglia comunitaria con un’elevata personalizzazione.
[4] Se l’importo dell’acquisto supera le soglie definite nel DPCM, si deve fare ricorso alle convenzioni e agli accordi quadro messi a disposizione dai SA, diversamente permangono gli obblighi previsti dalla normativa vigente in materia. Solitamente si tratta di procedere attraverso i sistemi telematici MEPA e SDA.
[5] Inoltre il vertice della PA acquirente deve autorizzare l’acquisto autonomo e occorre comunicarlo all’organo di controllo per gli acquisti concentrati. Al link (https://www.acquistinretepa.it/opencms/opencms/programma_progetti-Servizi_benchmark.html) sono disponibili tutti i prezzi benchmark con le relative “caratteristiche essenziali” che un bene deve possedere per consentire di pagare un prezzo d’acquisto maggiore. Per esempio, il colore del cellulare non potrà più essere considerato come un fattore discriminante per pagare un prezzo maggiore. Infatti, la convenzione Telefonia mobile 7 attiva dal 17 dicembre 2018 consente variazioni di prezzo solo in base alla tipologia di utenza (abbonamento, ricaricabile), alla modalità di tariffazione (a pacchetto, a consumo), direttrici di traffico voce (verso rete mobile e fissa nazionale) e il volume dei dati. In termini numerici, un piano tariffario a pacchetto per utenza in abbonamento che comprende 150 minuti, 50 SMS e 1Gb costa 1,50 euro al mese, mentre con 400 minuti, 150 SMS e 20Gb costa 2,20 euro al mese e infine con 3000 minuti, 300 SMS e 20Gb costano 3,40 euro al mese. Prezzi più elevati non potranno essere considerati tra le proposte di fornitura.
[6] Parallelamente allo sviluppo basato sui SA, rimane vigente l’intero impianto di obblighi e facoltà previsto dalla normativa. Una tabella di sintesi, chiamata “Tabella Obbligo-Facoltà”, schematizza il sistema di obblighi e facoltà di acquisto centralizzato per tutti i beni e servizi in base all’amministrazione coinvolta e all’importo acquistato (sopra o sotto delle certe soglie di rilevanza). È possibile consultarla qui: https://www.acquistinretepa.it/opencms/opencms/programma_comeFunziona_obblighi_facolta.html.
[7] La scelta compiuta in origine era quella di concentrarsi dapprima su categorie facilmente gestibili in forma aggregata e con un alto valore di spesa per garantire prezzi unitari e qualità delle forniture omogenee sul territorio nazionale (la maggior parte delle categorie, infatti, riguarda l’ambito sanitario). Successivamente si sarebbe dovuto passare ad altre.
[10] Con “stazioni appaltanti” si intendono gli enti che possono affidare un contratto d’appalto pubblico riguardante lavori, servizi o forniture. Ad esempio sono: le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici e quelli territoriali, gli organismi di diritto pubblico le associazioni e i consorzi. Queste possono delegare il ruolo di stazione appaltante a una centrale di committenza, tipo la Consip o i SA.
[11] La centralizzazione degli autoveicoli riguarda un ammontare di spesa di circa 420 milioni di euro annui, da cui si potranno risparmiare circa 12 milioni di euro nel triennio 2020-2022.
Per quanto riguarda la categoria “lavori pubblici”, gli strumenti messi a disposizione da Consip in precedenza riguardavano, oltre a forniture e servizi, i soli lavori di manutenzione. Secondo la Relazione tecnica alla Legge di Bilancio, l’estensione consentirà di ampliare la spesa presidiabile di circa 3,2 miliardi di euro all’anno, oltre a garantire più efficienza, concorrenza e trasparenza. In aggiunta a questo, l’ambito di operatività di Consip riguarderà anche le concessioni di servizi, dove supporterà le PA non solo nelle fasi di appalto, ma anche nella fase di aggiudicazione del contratto. Da qui sono attesi risparmi potenziali annui per 10 milioni di euro nel triennio 2020-2022.
[12] Dall’attuazione della misura si ipotizza un “risparmio potenziale” nell’ordine di 270 milioni di euro nel triennio 2020-2022 derivanti dalla diminuzione dei prezzi unitari. Si tratta però di un risparmio teorico, di una ipotetica minore spesa, senza un impatto diretto sui risparmi.
[13] Una stima dei risparmi derivanti da questa misura non è quantificabile in termini di risparmi diretti da prezzi unitari.
[16] Non tutti i 98 miliardi di consumi intermedi possono diventare spesa presidiata da Consip e dagli altri SA perché alcune spese tipo le forniture militari non sono facilmente centralizzabili.
[17] Le discrepanze tra i dati presenti nella Relazione al Parlamento del MEF e nella Relazione al Bilancio Consip sul 2018 derivano dal fatto che non tutte le attività di Consip appartengono anche al Programma di Razionalizzazione degli acquisti e viceversa. Per esempio, la spesa erogata dal Bilancio Consip ammonta a 12,5 miliardi contro i 12,1 del MEF.