Università Cattolica del Sacro Cuore

L’evoluzione della spesa sanitaria

di Luca Gerotto

14 marzo 2020

Nei giorni scorsi è sorta una polemica sui tagli – addirittura per decine di miliardi – che negli ultimi vent’anni sarebbero stati fatti alla spesa sanitaria. Questi tagli, oltre a essere spesso cumulati su diversi anni, sono però rispetto a quadri “tendenziali” nei quali la spesa cresceva abbastanza rapidamente. Non sono tagli rispetto al passato, almeno non interamente. Come stanno davvero le cose? Se guardiamo al totale della spesa sanitaria pubblica, in realtà registriamo incrementi significativi nel complesso degli ultimi due decenni. Dal 2000 al 2018 questo aggregato è cresciuto del 69 per cento, da 68,3 miliardi a 115,4. L’aumento è stato rilevante – pari al 22 per cento – anche se valutato in termini reali, ossia al netto dell’inflazione. Per effetto di questi andamenti, l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è aumentata di un punto, dal 5,5 per cento del 2000 al 6,5 per cento del 2018. Ulteriori incrementi fino a 120 miliardi erano previsti sino al 2021, anche prima delle recenti decisioni relative alla crisi del coronavirus, per effetto dei maggiori stanziamenti per il Servizio Sanitario Nazionale.

Occorre però notare che l’aumento della spesa è avvenuto quasi del tutto nella prima parte del periodo, ossia fra il 2000 e gli anni della crisi finanziaria. Nel 2010 la spesa aveva già raggiunto i 113,1 miliardi con un incremento cumulato rispetto al 2000 pari al 65 per cento, corrispondente ad un tasso di crescita medio annuo del 5 per cento, ben superiore a quello del Pil. Questi andamenti, cui corrispondevano elevati disavanzi in alcune regioni, e la generale necessità di contenere il deficit pubblico cresciuto molto nel 2009-10 indussero i governi a mettere un freno alla spesa – anche attraverso piani di rientro finanziari, introduzione dei costi standard, eliminazioni di sprechi in alcune regioni, blocco del turnover. La spesa scese di 3,5 miliardi nel triennio fra il 2010 e il 2013. Da allora la spesa è sempre aumentata, ma a ritmi molto contenuti, passando dai 109,6 miliardi del 2013 ai 115,4 del 2018, dato che rappresenta il massimo storico. Se si valuta la spesa in termini reali, il livello del 2018 è all’incirca uguale al livello del 2005, prima della grande impennata che si verificò fra il 2006 e il 2010. Gli aumenti della prima parte del decennio erano probabilmente eccessivi, date le note fragilità dell’Italia in termini di bassa crescita dell’economia e alto debito pubblico. Gli aumenti moderati e comunque inferiori all’inflazione degli anni successivi possono però aver creato problemi in vari ambiti a fronte delle esigenze crescenti legate all’invecchiamento della popolazione e all’elevato costo dei nuovi farmaci e nuove tecnologie.

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La pressione sul Servizio Sanitario Nazionale legata all’epidemia di Covid19 ha acceso i riflettori sull’andamento della spesa sanitaria negli ultimi anni e sui tagli che sono stati fatti negli scorsi anni. Ma ci sono stati questi tagli? E quanto corposi sono stati?

Per rispondere a questa domanda, analizziamo l’andamento della spesa sanitaria pubblica (fonte MEF) dal 2000 in avanti.[1] Dalla Figura 1, dove riportiamo la spesa sanitaria in termini nominali e reali, e dalla Figura 2, dove riportiamo tale spesa in rapporto al Pil, si può notare come la spesa sanitaria attuale sia superiore a quella dei primi anni duemila, secondo tutti gli indicatori considerati: +69 per cento è l’aumento in termini nominali, +22 per cento in termini reali, più un punto percentuale in rapporto al Pil. La sanità oggi riceve dunque risorse assai più rilevanti che all’inizio del secolo.

Per capire il dibattito sui tagli, occorre considerare che questa crescita non è stata lineare, ma è stata quasi totalmente concentrata nel primo decennio. Nel 2010 la spesa era già arrivata a 113,1 miliardi, con un incremento cumulato rispetto al 2000 – quando valeva 68,3 miliardi – pari al 66 per cento, che si traduce in un incremento medio annuo del 5 per cento. Si trattava di un valore ben superiore alla crescita del Pil dell’Italia, tanto che il rapporto fra spesa e Pil era cresciuto dal 5,5 al 6,6 per cento nel 2006 (prima che la crisi finanziaria deprimesse il denominatore) e al 7,1 per cento nel 2009.  A questa forte crescita in termini nominali è corrisposta anche una forte crescita in termini reali (linea arancione) che, valutata ai prezzi del 2000, è aumentata nello stesso arco temporale del 33 per cento.

Questi aumenti, congiuntamente allo scoppio della crisi finanziaria, hanno allarmato i governi, inducendoli a mettere un freno alla spesa che ne determinò un calo di 3,5 miliardi, fra il 2010 e il 2013. In tutti gli anni successivi, la spesa ha registrato aumenti, anche se molto contenuti. Si è così passati dai 109,6 miliardi del 2013 ai 115,4 miliardi nel 2018 – anno che rappresenta il massimo storico della serie.  La Legge di Bilancio 2020 ha previsto un’ulteriore crescita nominale nei prossimi anni, che potrebbe portare la spesa corrente a sfiorare i 120 miliardi nel 2021.

Gli aumenti registrati in questo periodo non sono stati sufficienti a tenere il passo con l’inflazione. Se si valuta la spesa in termini reali (linea arancione), si registra un calo che l’ha riportata attorno ai valori del 2004.

La spesa in rapporto al Pil ha avuto una dinamica “ad U rovesciata” ancora più netta. Partita da circa il 5,5 per cento nel 2000, ha raggiunto un picco del 7,1 per cento nel 2009 per poi riscendere fino ai 6,5 punti percentuali registrati nel 2018. Dunque, in rapporto al Pil, nel 2018 la spesa è tornata ad un valore comparabile con quello del 2005 e comunque di un punto superiore a quello del 2000.

Per comprendere come mai la spesa sanitaria sia rimasta più o meno stabile nell’ultimo decennio – e sia calata in termini reali – vanno considerati almeno due fattori. Il primo è che il rallentamento della crescita del Pil ha costretto il legislatore a ridurre la crescita del finanziamento al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il secondo è che la spesa sanitaria tendeva a crescere anche a causa di disavanzi elevati riscontrati in diversi Servizi Sanitari Regionali (SSR), e che dal 2007 in avanti queste regioni sono state, ed alcune sono tuttora, soggette a dei piani di rientro finanziari. Per una valutazione più completa dei piani di rientro rimandiamo ad una nota scritta per l’Osservatorio CPI da Bordignon, Coretti e Turati;[2] per la presente analisi, rileva la considerazione che l’attuazione di questi piani di rientro ha consentito di ridurre progressivamente il disavanzo complessivo dei vari Servizi Sanitari Regionali, contenendo quindi la crescita della spesa corrente e, in alcuni anni, addirittura riducendola. Secondo questi autori, alla drastica correzione dei disavanzi non è seguito un peggioramento dei servizi offerti al cittadino; sono stati eliminati molti sprechi specie nelle regioni meridionali e si è affermato un principio di adeguatezza delle prestazioni. Per una gran parte degli acquisti si è andata affermando la pratica dei costi standard che ha posto un freno alla spesa, specie in alcune regioni del Mezzogiorno.

Nella Figura 1 abbiamo riportato anche la spesa reale calcolata utilizzando, anziché l’indice dei prezzi al consumo, l’indice dei prezzi al consumo relativo a beni e servizi sanitari (linea grigia). Come si vede, le differenze fra le due serie sono pressoché irrilevanti.

Come è cambiata la spesa negli anni?

Sebbene, come abbiamo visto, la spesa sanitaria non sia calata in termini nominali negli ultimi anni, la composizione della spesa stessa si è notevolmente modificata. Per comprenderne meglio le dinamiche, facciamo riferimento ai dati dei Conti Economici consolidati dei vari SSR riportati nel Rapporto n° 6 del Monitoraggio sulla Spesa Sanitaria, redatto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Grazie a questo rapporto, possiamo risalire nel dettaglio alle spese fino all’anno 2002.

Sono due i fattori la cui dinamica vale la pena sottolineare: la spesa per i redditi da lavoro dipendente e quella per consumi intermedi. Nel 2002, infatti, la spesa per redditi da lavoro dipendente costituiva il 35% del totale; nel 2018 pesava solo per il 30%. Per questa voce si è verificato un calo anche in termini nominali: rispetto al picco di 36,7 miliardi, registrato nel 2010, nel 2018 si era scesi a 34,8 miliardi. Questa diminuzione, sia in termini percentuali che nominali, è stata la conseguenza del congelamento degli stipendi della pubblica amministrazione, che negli anni precedenti erano cresciuti molto di più degli stipendi privati, e del blocco del turnover, in particolar modo in quelle regioni soggette a piani di rientro. Il rapporto del MEF sottolinea come “il contenimento della dinamica dell’aggregato [la spesa sanitaria, n.d.r.] è sostanzialmente determinato dagli effetti delle politiche di blocco del turn over attuate dalle Regioni sotto piano di rientro e dalle misure di contenimento della spesa per il personale portate avanti autonomamente dalle altre Regioni”.

Sono invece cresciuti notevolmente, di circa dieci punti percentuali, i consumi intermedi: questi nel 2002 valevano il 20,3 per cento, mentre nel 2018 è stato toccato il 29,8 per cento; la crescita è stata rallentata negli ultimi anni dalle manovre di contenimento della spesa sanitaria per beni e servizi varate fra il 2011 ed il 2013. Tale aumento è dovuto principalmente all’aumento della spesa per prodotti farmaceutici (passati dal 3,3 al 10,1 per cento). A sua volta, tale crescita è dovuta in parte all’acquisto di costosi farmaci innovativi ed in parte ad una rimodulazione della spesa, passata dalla farmaceutica convenzionata (scesa nello stesso arco di tempo dal 15,0 al 6,5 per cento) a, per l’appunto, l’acquisto diretto dei prodotti farmaceutici. Questo implica che alcuni farmaci vengono acquistati attraverso un canale diverso, e quindi contabilizzati in modo diverso. A questo fenomeno si è aggiunta una crescita delle altre componenti dei consumi intermedi slegati dalla spesa farmaceutica, che sono passati dal 17,0 al 19,7 per cento.


[1] Il MEF, nel proprio Rapporto di Monitoraggio della Spesa Sanitaria, riporta i dati per la spesa sanitaria corrente di Contabilità Nazionale dal 2002 al 2018. I corrispondenti valori per il 2000 ed il 2001 sono desunti dal documento Proposte per una Revisione della Spesa Pubblica (Carlo Cottarelli, Marzo 2014), mentre quelli dal 2019 al 2021 sono calcolati a partire dal Fabbisogno del SSN ed ipotizzando che il disavanzo resti ai livelli del 2018.