Università Cattolica del Sacro Cuore

Carbon tax: il prezzo da pagare per salvare il pianeta

di Beatrice Bonini

15 novembre 2019

Le questioni del riscaldamento globale e del cambiamento climatico sono al centro del dibattito pubblico e politico odierno. Gli economisti hanno proposto l’utilizzo di una carbon tax, ossia di una tassa sui prodotti il cui consumo comporta emissione di anidride carbonica, come strumento potente ed efficace per limitare le emissioni di gas serra. Ci sono due principali metodi per quantificare il valore ottimale della carbon tax: il primo stima quali sarebbero i costi dell’energia se questi riflettessero a pieno le esternalità ambientali e sociali generate dal loro consumo, mentre il secondo calcola il prezzo da imporre su una tonnellata di CO2 coerente con gli Accordi di Parigi. Tutti gli studi effettuati utilizzando entrambe le metodologie, concludono che il livello attuale di tassazione sui prodotti inquinanti è estremamente basso e che non rispecchia in maniera adeguata il danno ambientale e sociale che questi beni comportano. L’introduzione di una carbon tax, secondo queste analisi, genererebbe un importante dividendo fiscale che potrebbe essere sfruttato per perseguire altri obiettivi a sostegno non solo dell’ambiente, ma anche della salute e del lavoro.

* * *

Pochi giorni fa, durante i meeting annuali del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale a Washington, il ministro Gualtieri ha aderito alla partecipazione dell’Italia alla “Carbon Pricing Leadership Coalition”, un’iniziativa volontaria che unisce vari paesi e società partner per affrontare i temi del cambiamento climatico e del riscaldamento globale.[1] Tra i gas serra (greenhouse gases – GHG), il principale responsabile di questi fenomeni è l’anidride carbonica (o diossido di carbonio o CO2). A oggi, le emissioni di CO2 derivanti da combustione di carburante superano i 30 miliardi di tonnellate metriche all’anno e, allo stato attuale, sono previste triplicare entro il 2100 a causa del maggior consumo energetico (soprattutto nei paesi in via di sviluppo, che attualmente contano per i tre quinti delle emissioni totali). Senza nuove norme e vincoli, l’aumento atteso della temperatura rispetto al livello pre-industriale è pari a 4 gradi Celsius entro la fine del secolo. Gli Accordi di Parigi, firmati nel dicembre 2015, hanno l’ambizione di arrivare a un massimo di 2 gradi.[2] Ma quali sono gli strumenti per raggiungere questo obiettivo?

Carbon tax: due metodologie a confronto

Un importante strumento per ridurre le emissioni è la carbon tax, cioè una tassa sui prodotti il cui consumo comporta emissioni di CO2, proporzionale all’entità delle emissioni stesse. Si tratta di una classica tassa “pigouviana”, ossia di una tassa che colpisce le esternalità causate da una determinata attività economica. La tassa fornisce incentivi trasversali per lo spostamento verso tecnologie e attività più pulite a causa dell’aumento di prezzo e del relativo calo nel consumo di beni/servizi inquinanti.[3] In questa nota ci focalizzeremo su questo strumento. In particolare, ci chiediamo: qual è la tassa appropriata sui combustibili contenenti CO2? E quanto la tassazione vigente si discosta da questa tassa? Ci sono due principali approcci che la letteratura ha sviluppato per calcolare la tassazione appropriata. Il primo è il cosiddetto efficient pricing, ossia l’approccio che stima quali dovrebbero essere i costi dell’energia se questi fossero efficienti, ossia se questi riflettessero pienamente il danno ambientale e sociale generato dal loro consumo. Questa è, in senso stretto, la tassa pigouviana legata alle esternalità collegate al consumo di CO2. Il secondo approccio è più pratico: calcola il prezzo da imporre su una tonnellata di CO2 coerente con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi, cioè l’aumento delle temperature di soli 2 gradi Celsius.

Il metodo dell’efficient pricing

Un lavoro del Fondo Monetario Internazionale (“Getting Energy Prices Right: From Principle to Practice”) utilizza metodologie statistiche e strumenti econometrici per quantificare la tassazione ottimale in base alle esternalità causate dai combustibili fossili in 156 paesi, col fine di disegnare una tassa efficiente.[4] Lo studio prende in considerazione tre esternalità:

  1. Danno climatico relativo all’emissione di CO2;
  2. Altro inquinamento atmosferico relativo alle emissioni;
  3. Congestione, incidenti, danni al manto stradale attribuibili ai veicoli a motore.

Tenendo conto di queste esternalità, gli autori arrivano a una valutazione delle tasse correttive che sarebbero da applicare su una serie di combustibili. I risultati suggeriscono che imponendo tasse efficienti sull’energia, globalmente, si ridurrebbero le emissioni di CO2 del 23 per cento e le morti per aria inquinata del 63 per cento. Inoltre, si otterrebbe un dividendo fiscale pari a 2,6 per cento del Pil mondiale, che potrebbe essere utilizzato, per esempio, per ridurre altre tasse.

Nella Tavola 1 si riassumono i risultati di questo lavoro per una serie di paesi che complessivamente, al 2010, contavano per circa il 70-90 per cento delle emissioni.[5] Si nota una grande variabilità in termini di tasse efficienti tra i vari paesi. Ovviamente il danno generato da una tonnellata di CO2 non dipende dal luogo di emissione. Tuttavia, l’esternalità generata sull’inquinamento dell’aria dipende dalla composizione del tessuto industriale e dall’esposizione relativa della popolazione ai GHG, fattori che differiscono molto tra i vari paesi.[6] La tavola mostra che, generalmente, le tasse in vigore sono sostanzialmente più basse di quelle ottimali, in particolare sul carbone, dove la tassa è praticamente assente. Inoltre molti dei paesi grandi produttori di idrocarburi concedono sussidi, invece che imporre tasse: tra questi, l’Iran, la Russia, l’Ucraina, l’India, il Canada. Tra i paesi consumatori, sono relativamente più tassati la benzina e il gasolio, per i quali alcuni paesi arrivano addirittura a superare il valore della tassa efficiente. Tuttavia gli autori segnalano inefficienze anche in questo caso: mediamente, la tassa correttiva calcolata per il diesel è maggiore di quella sulla benzina. Questo riflette non solo i maggiori tassi di emissione di carbonio e inquinamento locale, ma anche il fatto che il diesel viene usato dai TIR che creano maggiore congestione al traffico e maggior danno al manto stradale. In linea di principio, quindi, i governi dovrebbero tassare il diesel ad aliquote maggiori rispetto alla benzina. Tuttavia i dati mostrano che i governi fanno, nella maggior parte dei casi, l’opposto. Tra i paesi dove la tassa effettiva su benzina e gasolio si discosta maggiormente da quella ottimale ci sono gli Stati Uniti e il Giappone, le due maggiori economie avanzate. Tra i paesi emergenti troviamo invece la Nigeria, l’Iran, l’Indonesia, l’India, dove in alcuni casi addirittura la tassa vigente è negativa (cioè i carburanti non solo non sono tassati ma sono sussidiati). Grandi produttori di petrolio come l’Arabia Saudita sono altri sovvenzionatori di queste fonti di energia. Per quanto riguarda l’Italia, così come per altri paesi europei quali Francia e Germania, si nota un generale allineamento tra tassa ottimale e tassa vigente (e in alcuni casi addirittura la tassa correttiva è inferiore a quella effettiva).

L’analisi di Parry et al. (2014) è stata aggiornata in alcuni aspetti da altri economisti del FMI in un working paper del 2019 (“Global Fossil Fuel Subsidies Remain Large: An Update Based on Country-Level Estimates”).[7] Questo lavoro è direttamente focalizzato sulla differenza tra tassa ottimale e tassa effettiva, denominata “tax subsidy”. Questo studio mostra che i prezzi efficienti sono anche più alti di quelli stimati nel 2014, confermando quindi che i tax subsidy sono ampiamente positivi. A livello aggregato, questi sussidi ammontano a un totale di 4.700 e 5.200 miliardi di dollari, rispettivamente nel 2015 e nel 2017. I maggiori sovvenzionatori sono stati, nel 2015, in ordine, la Cina, gli Stati Uniti e la Russia. Il carbone è il prodotto più sussidiato, seguito dal petrolio, il gas naturale e l’elettricità. Il lavoro stima infine che, se i prezzi dell’energia fossero stati pari a quelli efficienti, cioè se avessero tenuto conto di tutte le esternalità negative generate, le emissioni globali di CO2 sarebbero state del 28 per cento più basse e le morti per inquinamento dell’aria inferiori del 46 per cento.

Stime preliminari ma più aggiornate, non riportate nel lavoro precedente ma disponibili online, indicano che a livello mondiale i tax subsidy sarebbero arrivati nel 2019 a 8.100 miliardi di dollari. La Cina conta per quasi il 50 per cento di questo valore (la gran parte dei sussidi deriva da sovvenzioni all’industria del carbone). A seguire troviamo Stati Uniti, Russia e India. L’Italia si conferma, tra i paesi avanzati, quello più in linea con la tassazione ottimale: i tax subsidy per elettricità, benzina e gasolio sono infatti nulli, mentre sono positivi ma contenuti quelli per carbone e gas.

In conclusione, i paesi che hanno maggiori interessi economici verso un determinato settore produttivo, che sia quello del carbone o del petrolio, tendono a sussidiare pesantemente i corrispondenti combustibili fossili. I paesi emergenti contribuiscono fortemente a questo fenomeno; dato che i paesi in via di sviluppo sono destinati ad un sempre maggiore consumo energetico a basso costo, visti i trend demografici e macroeconomici, il problema dei tax subsidy diventa sempre più cruciale.

Il costo della decarbonizzazione: come arrivare agli obiettivi di Parigi

Passiamo al secondo approccio per stimare il giusto prezzo della CO2: quale dovrebbe essere la tassa sulle emissioni per arrivare alla decarbonizzazione necessaria per limitare il riscaldamento globale a 2 gradi Celsius? Il lavoro più recente che utilizza questo approccio è stato pubblicato sempre dal Fondo Monetario Internazionale nel Fiscal Monitor dell’ottobre 2019.[8] Viene stimato che la carbon tax che andrebbe imposta coerentemente con gli accordi di Parigi è pari a 75 dollari per tonnellata di CO2 da introdurre gradualmente entro il 2030.[9] Nel Fiscal Monitor, il Fondo prende il centro del range di valori che la letteratura ha proposto per l’elasticità, e a partire da questo, simula tre diversi scenari. Oltre a quello della tassa ottimale a 75 dollari, considera altri due scenari meno ambiziosi con tasse a 50 e 25 dollari, poiché si ammette la possibilità di combinare una tassazione più bassa con altri strumenti fiscali e poiché si considera che tasse meno gravose sarebbero comunque in linea con gli obiettivi di Parigi per alcuni paesi (ad esempio, la Cina). La Figura 1 mostra come diversi livelli di tassazione (carbon tax uniformi al 25, 50 o 75 dollari per tonnellata) ridurrebbero le emissioni di CO2, rispettivamente, di 19, 29 e 35 per cento, nei paesi del G20 (implicando un maggior uso di strumenti fiscali complementari nei primi due casi per raggiungere i livelli di emissione richiesti per contenere l’aumento di temperatura entro i 2 gradi). Emergono poi due punti fondamentali:

  1. Mentre una tassa a 25 dollari sarebbe sufficiente per raggiungere gli obiettivi di Parigi per alcuni paesi, ad altri non basterebbe nemmeno una tassa a 75 dollari; questo riflette il diverso grado di ambizione degli impegni presi, nonché la diversa elasticità al prezzo delle emissioni (ad esempio, le emissioni di GHG sono molto reattive al prezzo in paesi dipendenti dal carbone come Cina e India);
  2. Questa grande differenza tra obiettivi di lungo termine e possibili risultati tra i vari paesi segnala la difficoltà a raggiungere una maggior cooperazione a livello internazionale.

Quali sarebbero i costi delle principali fonti di energia, nel caso di una carbon tax di 75 dollari? Secondo il Fondo i prezzi dell’elettricità aumenterebbero, in media, del 45 per cento, e quelli della benzina del 15 per cento. L’impatto della medesima tassa sui prezzi nei vari paesi sarebbe diverso a seconda del grado di intensità delle emissioni e del prezzo baseline (Tavola 3). In linea generale, il carbone appare fortemente sotto-tassato anche seguendo questo approccio. Il grado di sotto tassazione per il gas naturale è inferiore, anche se c’è molta variabilità tra paese e paese. L’aumento di prezzo per elettricità e benzina risulta invece molto meno marcato. In Italia, ad esempio, il prezzo di carbone aumenterebbe del 134 per cento, quello dell’elettricità del 18. Per la benzina, l’aumento di prezzo sarebbe di circa il 10 per cento. Si arriverebbe dunque a livelli dei prezzi già registrati in passato (si pensi al biennio 2012-2013).

Risultati simili a quelli ottenuto dal Fondo, in termini di inadeguata tassazione dei prodotti che emettono CO2, sono contenuti in un recente lavoro dell’OCSE, in cui si mostra che i prezzi attuali sono spesso inferiori a quelli che corrispondono persino a una carbon tax di 30 dollari per tonnellata.[10] Secondo questo lavoro la detassazione è particolarmente alta nel settore dei trasporti stradali rispetto a quello dei settori non-stradali (Figura 2).

Come conciliare obiettivi ambientali con altri obiettivi?

L’imposizione di una tassa sulla CO2 avrebbe grande impatto su determinate categorie di lavoratori e settori industriali, in particolare quelle legate al carbone, il cui livello di occupazione è già previsto scendere in ogni caso. L’introduzione della carbon tax velocizzerebbe questi processi, aggravando così il conflitto di breve periodo tra obiettivi occupazionali e obiettivi ambientali. Come conciliare l’introduzione di una carbon tax con queste considerazioni?

La chiave di volta sta nello sfruttare in maniera efficiente ed efficace le risorse derivanti dalla carbon tax. Per rendere questa tassa economicamente e politicamente fattibile, l’allocazione del gettito diventa cruciale. Ad esempio, in Svezia, la carbon tax introdotta nel 1991 a 127 dollari per tonnellata è stata inclusa in un pacchetto di riforme volto a ridurre la pressione fiscale su lavoro e capitale, compensando il peso che la carbon tax avrebbe avuto sulle famiglie a basso e medio reddito. Il Fondo ha stimato le risorse che diventerebbero disponibili per altri scopi con una carbon tax a 25, 50 e 75 dollari. Per l’Italia, una tassa di 75 dollari a tonnellata genererebbe un gettito dello 0,8 per cento del Pil nel 2030. Per i G20, il gettito sarebbe dell’1,5 per cento del Pil nel 2030. Questo dividendo fiscale potrebbe essere sfruttato diversamente, a seconda della composizione del settore produttivo industriale, dei tassi di emissione di GHG, dell’esposizione della popolazione. Il lavoro del Fondo spiega, per esempio, che una misura che compensi il 40 per cento più povero della popolazione (piuttosto che l’intero spettro dei cittadini) e le categorie di lavoratori più vulnerabili lascerebbe comunque tre quarti del gettito per altri interventi come investimenti o tagli alle tasse sul lavoro.

Tav. 1: Stima delle tasse correttive e delle tasse correnti, per tipologia di combustibile (2010)

 

Carbone ($/GJ)

Gas Naturale ($/GJ)

Benzina ($/litro)

Diesel ($/litro)

 

Tassa correttiva

Tassa vigente

Tassa correttiva

Tassa vigente

Tassa correttiva

Tassa vigente

Tassa correttiva

Tassa vigente

Arabia Saudita

nd

0,00

2,08

0,00

0,52

-0,38

0,54

-0,50

Argentina

9,72

0,00

2,08

-1,30

nd

0,33

nd

0,39

Australia

4,12

0,00

2,04

-0,10

0,55

0,49

0,73

0,49

Canada

4,92

3,00

2,17

-0,20

0,55

0,36

0,64

0,42

Cina

14,97

0,00

2,82

0,00

0,55

0,39

0,51

0,37

Colombia

4,78

0,00

2,04

0,00

0,72

0,78

0,72

0,29

Corea Sud

8,07

nd

3,20

nd

0,98

0,85

1,20

nd

Costa Rica

nd

0,00

1,97

0,00

0,51

0,31

0,49

0,11

Etiopia

nd

0,00

1,94

0,00

0,41

0,23

0,27

0,00

Francia

11,13

0,00

2,60

0,00

0,73

1,13

0,95

0,84

Germania

9,35

-1,30

2,57

0,00

0,58

1,20

0,82

0,92

Giappone

5,51

0,00

2,76

0,00

1,13

0,75

1,44

0,46

India

8,71

0,00

2,11

-1,00

0,78

0,36

0,54

-0,04

Indonesia

5,71

0,00

2,12

0,00

0,32

-0,13

0,42

-0,35

Iran

nd

0,00

2,08

-4,80

0,60

-0,37

0,59

-0,55

Italia

5,85

0,00

2,38

0,00

0,53

1,08

0,75

0,86

Jamaica

nd

0,00

1,96

0,00

0,36

0,15

0,35

0,12

Kazakis.

6,40

-0,20

2,15

-0,20

0,57

0,12

0,61

-0,08

Marocco

4,53

0,00

1,98

0,00

0,64

0,61

0,47

0,14

Messico

3,93

2,00

2,04

0,00

0,31

0,10

0,40

0,10

Nigeria

nd

0,00

1,95

0,00

0,22

-0,19

0,22

0,11

Pakistan

7,35

0,00

2,15

-4,10

0,31

0,17

0,29

-0,03

Regno Unito

14,70

0,00

2,57

-0,10

0,60

1,20

0,77

1,21

Russia

14,98

0,00

3,07

-0,90

1,05

0,02

2,06

0,02

Stati Uniti

8,75

2,00

2,66

-0,10

0,43

0,13

0,57

0,14

Sud Africa

4,59

0,00

1,97

0,00

0,80

0,35

0,65

0,34

Tanzania

nd

0,00

1,94

0,00

0,51

0,48

0,33

0,40

Turchia

12,54

-0,50

2,15

0,00

1,11

1,37

1,20

0,97

Ucraina

32,89

0,00

2,82

-1,90

0,39

0,18

0,50

0,06

Fonte: Parry et al. (2014)

Note: La tassa correttiva per il gas naturale è stata calcolata come media aritmetica tra la tassa correttiva per gas usato per generazione di elettricità e gas usato per il riscaldamento domestico. Le stime delle tasse correnti sono state misurate in Clemens et al (2013) usando l'approccio del price-gap (i.e. comparando differenze tra prezzi domestici e internazionali dei carburanti).

 

Tav. 2: Stima dei tax subsidy (2019, in miliardi di dollari)

 

Carbone

Gas Naturale

Benzina

Diesel

Elettricità

Totale

Arabia Saudita

-

13,51

51,46

66,79

15,85

152,36

Argentina

0,72

10,93

1,79

1,18

8,30

23,01

Australia

14,33

5,36

10,52

12,15

-

43,09

Canada

6,42

14,32

24,43

16,03

-

62,19

Cina

3.533,84

41,25

160,43

126,95

-

3.862,46

Colombia

1,86

1,50

6,71

6,02

2,20

19,30

Corea

49,54

12,74

11,53

30,09

-

109,32

Egitto

0,11

7,73

12,52

19,09

4,29

45,72

Francia

8,68

8,20

2,52

24,87

-

44,42

Germania

50,21

14,74

-

14,20

-

79,62

Giappone

42,15

25,62

57,45

50,59

-

195,71

India

326,34

14,50

41,58

81,45

-

485,67

Indonesia

17,37

6,98

29,94

37,07

7,09

106,25

Iran

0,28

44,84

28,22

40,21

13,47

132,60

Italia

4,99

11,29

-

-

-

16,28

Kazakistan

21,45

5,30

8,15

4,83

1,35

41,08

Marocco

1,10

0,22

0,60

2,39

-

5,13

Messico

2,90

8,92

28,82

12,36

2,24

56,64

Nigeria

0,01

2,72

4,74

-

0,56

10,45

Pakistan

2,04

9,57

2,15

2,79

-

16,83

Regno Unito

36,65

15,78

-

-

-

52,73

Russia

113,92

86,76

83,44

84,64

35,87

404,63

Stati Uniti

269,21

120,49

342,67

152,70

-

931,42

Sud Africa

32,38

0,60

12,07

9,63

4,77

60,60

Tanzania

0,02

0,19

0,60

0,44

1,13

2,40

Turchia

33,09

7,35

1,86

15,05

-

57,35

Ucraina

96,18

13,48

1,25

0,79

5,96

117,65

             

Economie avanzate

579,62

261,21

470,04

368,14

1,58

1.760,05

Economie emergenti

4.367,63

381,98

631,34

658,44

148,49

6.246,55

Paesi in via di sviluppo

6,99

33,28

17,67

12,76

32,85

108,29

Medio Oriente, Nord Africa e Pakistan

4,61

125,43

135,95

174,10

54,94

515,87

Africa Sub-Sahariana

33,60

4,69

23,85

17,20

23,26

108,38

Mondo

4.954,24

676,47

1.119,05

1.039,35

183,05

8.115,03

Fonte: Template per il calcolo dei tax subsidy sviluppato dallo staff FMI. Disponibile al link: https://www.imf.org/external/np/fad/subsidies/

 

               Tav. 3: Impatto di una Carbon Tax sui prezzi dell'energia (2030)

 

$75 Carbon Tax

Carbone

Gas Naturale

Elettricità

Benzina

 

Prezzo ($/GJ)

Aumento (%)

Prezzo ($/GJ)

Aumento (%)

Prezzo ($/kWh)

Aumento (%)

Prezzo ($/litro)

Aumento (%)

Arabia Saudita

3,0

234

7,0

56

0,22

40

0,6

28

Argentina

3,0

297

3,0

133

0,10

48

1,4

13

Australia

3,0

263

9,6

44

0,11

75

1,3

15

Brasile

3,0

224

3,0

131

0,12

7

1,4

13

Canada

3,0

251

3,0

128

0,10

11

1,1

17

Cina

3,0

238

9,6

41

0,09

64

1,2

13

Corea

3,0

220

9,6

47

0,16

42

1,5

6

Germania

5,2

132

8,4

52

0,12

18

1,8

8

Giappone

3,0

230

9,6

48

0,13

42

1,4

11

Francia

5,0

123

8,3

49

0,12

2

1,8

9

India

3,0

230

9,6

25

0,09

83

1,3

13

Indonesia

3,0

239

9,6

36

0,12

63

0,6

32

Italia

5,3

134

8,3

50

0,14

18

2,0

9

Messico

3,0

226

3,0

132

0,10

74

1,0

18

Regno Unito

6,1

157

8,3

51

0,13

16

1,7

8

Russia

3,0

169

7,0

54

0,14

25

0,9

12

Stati Uniti

3,0

254

3,0

135

0,08

53

0,8

20

Sud Africa

3,0

205

7,0

23

0,08

89

1,2

16

Turchia

3,0

232

7,0

59

0,09

40

1,5

9

                 

Media

3,5

214

7,0

68

0,12

43

1,3

14

                 

$50 Carbon Tax

               

Media

3,5

142

7,0

45

0,1

32

1,3

9

$25 Carbon Tax

               

Media

3,5

71

7,0

23

0,1

19

1,3

5

Fonte: Fiscal Monitor 2019, calcoli dello staff FMI

 

Nota: I prezzi riportati sono prezzi baseline retail stimati in Coady et al. (2019) e includono tasse sull'energia pre-esistenti. I prezzi baseline per carbone e gas naturale sono basati su dei prezzi di riferimento per regioni. I prezzi baseline per elettricità e benzina derivano da databases nazionali. L'impatto delle carbon taxes sui prezzi dell'elettricità dipendono dall'intensità di emissione della produzione di energia.

 

 

 

 


[3] La carbon tax rientra nella sfera del cosiddetto carbon pricing, cioè l’insieme degli strumenti fiscali utilizzati per frenare le emissioni. Oltre alla carbon tax, rientrano tra gli strumenti di carbon pricing anche gli “Emission Trading Systems” (anche conosciuti con il termine “Cap and Trade”): essi introducono un limite alle emissioni concesse a ogni azienda, permettendo alle società con basse emissioni di “vendere” le loro quote in eccesso ai bisogni alle industrie più inquinanti, creando quindi un mercato delle emissioni di GHG; questo consente di mantenere le emissioni, in aggregato, all’interno dei limiti previsti dal budget della CO2.

[4] Parry, I., Heine, D., Lis, E., & Li, S.. “Getting Energy Prices Right: From Principle to Practice”, 2014, Washington, International Monetary Fund (disponibile qui https://doi.org/10.5089/9781484388570.071).

[5] È anche importante considerare che valorizzare e quantificare i danni ambientali e sociali è un tema delicato ed estremamente controverso. Anche usando la stessa metodologia e approccio proposto da Parry et al. (2014), leggere variazioni nelle ipotesi sottostanti i modelli e l’utilizzo di nuovi dati più aggiornati possono avere un impatto significativo sulle stime finali.

[6] Ad esempio, la tassa correttiva sul carbone in USA e Cina è molto più alta di quella in Australia perché l’esposizione della popolazione australiana all’inquinamento è minore dato che gran parte dell’inquinamento si disperde nell’oceano.

[7] Coady, D., Parry, I., Le, N., Shang, B.. “Global Fossil Fuel Subsidies Remain Large: An Update Based on Country-Level Estimates”, 2019. Washington (USA). International Monetary Fund. Si veda il seguente link: https://www.imf.org/en/Publications/WP/Issues/2019/05/02/Global-Fossil-Fuel-Subsidies-Remain-Large-An-Update-Based-on-Country-Level-Estimates-46509

[8] International Monetary Fund (IMF). 2019. Fiscal Monitor: How to Mitigate Climate Change. Washington, October.

[9] Naturalmente, la tassa richiesta dipende dalle ipotesi sull’elasticità al prezzo della domanda di prodotti inquinanti. Sulla base di ipotesi diverse da quelle del lavoro citato nel testo, Stern and Stiglitz (2017) stimano che la tassa dovrebbe essere fissata a 50–100 dollari per tonnellata sempre entro il 2030. Una simile analisi, condotta dal “High Level Commission on Carbon Prices”, ritiene che sarebbe necessaria una carbon tax pari a 40-80 dollari per tonnellata di CO2 entro il 2020 e pari a 50-100 dollari per tonnellata di CO2 entro il 2030; vedi https://openknowledge.worldbank.org/bitstream/handle/10986/32419/141917.pdf?isAllowed=y&sequence=4. Si vedano anche i seguenti articoli: https://www.independent.co.uk/environment/climate-change-fossil-fuels-carbon-environment-tax-imf-a9151996.html e https://www.globalcapital.com/article/b1hnbw7xyh3qk0/imfs-carbon-tax-call-not-close-to-whats-needed.

[10] OECD (2019), Taxing Energy Use 2019: Using Taxes for Climate Action, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/058ca239-en. Per una breve introduzione, si veda il seguente link: https://www.oecd.org/tax/taxes-on-polluting-fuels-are-too-low-to-encourage-a-shift-to-low-carbon-alternatives.htm.

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