Tagliamo la giungla fiscale
di Carlo Cottarelli
La Repubblica, 1 ottobre 2020
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La riforma dell’IRPEF, l’imposta sui redditi delle persone fisiche, è tra i temi che stanno attirando maggiore attenzione nel dibattito politico. Non c’è da sorprendersi. Nel 2019 gli italiani hanno pagato allo stato 193 miliardi di IRPEF. Beh, non proprio tutti gli italiani, visto circa 10 milioni di contribuenti su 40 non devono pagare nulla. Ma andiamo con ordine.
Al centro della discussione c’è l’introduzione del “metodo tedesco”: basta scaglioni e aliquote relative. Il metodo tedesco, si dice, comporta aliquote “personalizzate”: questo è il vostro reddito, questa è l’aliquota da applicare al reddito. Qui serve subito un chiarimento: non è un grande cambiamento. Cosa fa ora il contribuente? Prende il proprio reddito (meno le detrazioni concesse) e poi guarda su una tabella quanto deve pagare. Se vuole, può anche calcolare l’aliquota facendo il rapporto tra tassa da pagare reddito imponibile. Questa aliquota è il risultato di un calcolo basato su cinque scaglioni, ognuno dei quali si applica a un pezzo del vostro reddito. Per esempio, sul pezzo di reddito che va da 15.001 a 28.000 euro si applica il 27 per cento. Per quello che va da 28.001 euro a 55.000 euro si applica il 38 per cento, eccetera. Per effetto di questo calcolo emerge una aliquota media che cresce gradualmente, al crescere del reddito. Cosa fa il metodo tedesco? Fissa già il punto di arrivo, cioè l’aliquota da applicare direttamente al totale del reddito. Forse è un po’ più trasparente. Vi evita di fare una divisione.
Nessun cambiamento dunque? Un piccolo cambiamento c’è. La nostra attuale curva di aliquota media ha degli “sbalzi” in corrispondenza del passaggio da uno scaglione all’altro. Non sono sbalzi enormi perché l’aliquota che si applica a ogni scaglione riguarda, come detto, solo la porzione di reddito che eccede la soglia. Ma l’aliquota media salta un po’, soprattutto col passaggio dei 28.000 euro, visto il brusco salto dell’aliquota dal 27 al 38 per cento. Questo può scoraggiarmi il lavoro addizionale. Insomma, se lo stato si prende una fetta del mio reddito ben più alta di quello a cui sono abituato, forse preferirò restare dove sono. Il vantaggio del metodo tedesco è che la curva dell’aliquota media sale più regolarmente, senza salti. Ma non è una differenza sostanziale perché risultati simili (anche se non proprio identici) si possono ottenere mantenendo il sistema attuale degli scaglioni, ma aumentandone il numero e evitando forti salti tra le aliquote.
Quindi, il passaggio al metodo tedesco non è una questione fondamentale. Ci sono questioni ben più serie e su queste non sappiamo bene cosa intenda fare il governo. La prima riguarda proprio come si vorrà cambiare la curva dell’aliquota media. Il governo vuole detassare la classe media bassa, diciamo i redditi tra i 20.000 e i 40.000 euro. Ma di quanto? E agli altri non andrà nulla? I contribuenti con redditi superiori a 40.000 euro sono il 12 per cento del totale. Ora pagano quasi la metà dell’IRPEF. A loro non andrà nulla? Ma la questione principale riguarda la complessità del nostro sistema IRPEF e il raggiungimento di una maggiore equità “orizzontale”, cioè una maggiore eguaglianza tra contribuenti che hanno lo stesso reddito ma diversi livelli di tassazione effettiva. Sappiamo che le detrazioni per carichi famigliari saranno rimpiazzate dal cosiddetto “assegno unico”. Ma servirebbe ben altro. Il sistema attuale comporta, in pratica, tre diverse curve di aliquota media a seconda che il percettore di reddito sia lavoratore dipendente, pensionato o lavoratore autonomo. Esistono una marea di deduzioni e detrazioni al di là di quelle per familiari e per reddito da lavoro, ognuna con la sua normativa e diversi campi di applicazione. Esistono differenze di trattamento tra reddito da lavoro autonomo e reddito di impresa (quando invece le micro imprese non sono molto diverse dal lavoro autonomo). Esiste il regime forfettario per gli autonomi (la flat tax del governo giallo-verde). Esistono i redditi con imposizione sostitutiva (redditi di capitale, redditi diversi di natura finanziaria, redditi di fabbricati, plusvalenze immobiliari ecc.) e differenze marcate all’interno di questi in termini di trattamento fiscale. Lungi da me l’idea di puntare all’utopica tassazione alla stessa aliquota di tutte le fonti di reddito. Ma quella che abbiamo attualmente è una vera giungla, il risultato di decenni di misure estemporanee prese dai vari governi e parlamenti senza una chiara logica se non quella di far contento questo o quel settore dell’elettorato.
Quindi, ben venga la riforma dell’IRPEF (e della tassazione in generale) ma occorre coraggio per rendere il nostro sistema davvero più trasparente ed equo. Senza dimenticarsi che occorrerà trovare adeguate fonti di copertura se si vuole ridurre la pressione fiscale e che, come ricordato più volte da Gentiloni e dallo stesso Gualtieri, le risorse del Recovery Fund, in quanto temporanee, non possono finanziare il taglio permanente delle tasse di cui avremmo bisogno.