Università Cattolica del Sacro Cuore

Recovery Plan, fare i conti con il debito pubblico

di Carlo Cottarelli

La Repubblica, 30 dicembre 2020

Il Recovery Plan è il piano per la ripresa che spiegherà all’Europa come utilizzeremo i 200 miliardi di finanziamenti (120 in prestiti, 80 a fondo perduto) dal programma Next Generation European Union (NGEU). Temo che, se andiamo avanti così, la Recovery arriverà prima del Plan. Siamo arrivati a capodanno senza un piano. Sembrava che l‘oggetto del contendere fosse la struttura “piramidale” per la gestione del piano. Ma è chiaro che la discussione si è allargata anche ai progetti che dovranno essere finanziati, con ogni partito che avanza nuove proposte di spesa. E, allora, riemerge la solita domanda: quali sono in vincoli di bilancio?

La domanda sembra pleonastica. Infatti governo e parlamento avevano già definito i vincoli di bilancio per i prossimi anni nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) che fissava il sentiero del debito pubblico per il periodo 2021-23. Questo sentiero, che comprendeva già le spese finanziate coi i prestiti del NGEU, escludendo solo quelle da finanziare con gli 80 miliardi di trasferimenti a fondo perduto (che non creano debito), comportava una lenta discesa del debito dal livello record del 158 per cento del Pil nel 2020 al 152 per cento del Pil nel 2023, nonostante la vigorosa ripresa del Pil nominale (oltre il 16 per cento cumulato). Ora, dato che il quadro NADEF è da tempo stato approvato da governo e parlamento, le cose dovrebbero chiudersi qui. Ma siccome da noi i piani economici approvati in parlamento sono ormai poco più di un esercizio di stile, la questione è stata riaperta.

C’è infatti chi ritiene che i 200 miliardi del NGEU (tutti e non solo gli 80 miliardi a fondo perduto) debbano considerarsi aggiuntivi rispetto al sentiero del debito fissato dalla NADEF. Questo aggiungerebbe al nostro debito altri 120 miliardi (il 6 e mezzo per cento del PIL) nel corso dei prossimi anni. Ce lo possiamo permettere? Sembra una domanda superata perché, tra le centinaia di miliardi che arrivano allo stato italiano dalla BCE e dalle istituzioni europee (SURE, NGEU e, potenzialmente, MES), abbiamo ancora un vincolo di bilancio? Inoltre, non siamo ormai tutti keynesiani? E Keynes non diceva che un maggior debito pubblico avrebbe generato crescita e che questa avrebbe ripagato il debito stesso, anzi lo avrebbe ridotto? E, poi, non ci stiamo indebitando a tassi di interesse zero o negativi con istituzioni europee e a tassi comunque estremamente bassi con i mercati finanziari? Perché allora preoccuparsi del debito?

Ora, non vorrei fare il solito guastafeste, ma è opportuno chiarire alcuni punti. Primo, i vincoli macroeconomici e di bilancio ancora esistano, altrimenti perché non aumentare la spesa non di 120 miliardi ma di 1200 miliardi? Quindi, si sta discutendo di quanto stretti siano i vincoli, non del fatto che vincoli esistano. Secondo, Keynes non ha mai detto che per ridurre il debito occorre spendere di più. Ha detto che, in certi momenti è necessario fare più deficit pubblico per sostenere l’economia. Pazienza se questo fa aumentare il rapporto tra debito pubblico e PIL. In generale, al di là del breve periodo (quando può accadere che un aumento del deficit causi una riduzione del rapporto tra debito e PIL), a un sentiero di deficit a medio termine più alto corrisponderà un debito più alto (a meno di ipotizzare effetti miracolosi del deficit non solo sul livello del PIL, ma anche sul suo tasso di crescita). Terzo, per quanto tempo i tassi di interesse resteranno bassi? Molti dei principali economisti mondiali (Krugman, Blanchard, Summers) pensano che i tassi resteranno bassi per molto tempo. Ma prevedere i tassi di interesse a medio-lungo termine non è facile (chi avrebbe pensato 15 anni fa che i tassi di interesse sarebbero crollati?). E poi lo spread dell’Italia rispetto ai tassi dei paesi a rischio zero è ora moderato dagli interventi delle istituzioni europee. Per quanto tempo andranno avanti gli acquisti di titoli di stato da parte della BCE? E per quanto tempo prevarrà questo clima di solidarietà in Europa?

Ricordiamo un fatto: quando si ha un debito pubblico vicino al 160 per cento del Pil, errori di previsione sui tassi di interesse possono essere fatali. Quindi, un po’ di prudenza è necessaria. Già quest’anno e il prossimo il nostro debito pubblico sarà probabilmente più alto di quello previsto dal governo, visti gli effetti della “seconda ondata” su crescita e ristori addizionali. Il tracciato di riduzione del debito previsto dalla NADEF prevedeva comunque che il debito sarebbe rimasto sopra il 150 per cento del Pil fino al 2025, sei anni di fila, cosa mai successa neppure per effetto delle due guerre mondiali. Insomma, siamo tutti keynesiani ora, ma questo non significa che aggiungere altri 120 miliardi di debito (con progetti che, ex ante, saranno certo pro crescita, verdi, digitalizzati, eccetera; ex post vedremo) non faccia nessuna differenza per la prossima generazione, la Next Generation del NGEU, che quel debito dovrà ripagarlo.

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