Pioggia di bonus inutile senza una strategia. E il taglio delle tasse al Sud non convince
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 8 agosto 2020
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Abbiamo anche il decreto Agosto. Che ce ne fosse bisogno non c’era dubbio. Quando il governo approvò il decreto Rilancio (a giugno) scrissi che inevitabilmente ne sarebbe seguito un altro prima della fine dell’anno visto che i soldi stanziati per cassa integrazione e altri sostegni al reddito non erano sufficienti per arrivare a fine anno. Ma che ce ne fosse bisogno non significa che il decreto sia condivisibile in tutti i suoi aspetti.
Un primo aspetto che vale la pena di commentare riguarda la violazione di uno dei principi che dovrebbero guidare una politica di bilancio congiunturalmente espansiva in un’economia gravata da un elevato debito pubblico: quello di prevedere interventi temporanei, interventi che non tocchino l’andamento di lungo periodo delle finanze pubbliche. Questo soprattutto quando le fonti di finanziamento del maggiore deficit siano pure temporanee, come le risorse del Recovery Fund o gli acquisti di titoli di stato da parte della BCE. I precedenti decreti seguivano questo approccio. Per esempio, oltre il 90 per cento delle misure del decreto Rilancio aveva un effetto solo nel 2020 (al netto dell’eliminazione delle clausole di salvaguardia, che i più consideravano comunque irrilevanti). Il decreto Agosto abbandona in parte questa logica prevedendo misure con effetti permanenti sul deficit pubblico. L’esempio migliore, ma non l’unico, è il taglio del cuneo fiscale per il Sud che, pur avendo un impatto limitato sui conti del 2020, comporterebbe un aggravio per almeno un decennio di oltre 5 miliardi l’anno.
Un secondo aspetto riguarda l’utilità nel lungo periodo dei provvedimenti presi. Nell’immediato qualunque aumento del deficit, anche per spese inutili (Keynes parlava, paradossalmente, di far scavare buche per terra) ha un effetto potenzialmente espansivo nel breve periodo. Ma se si devono prendere misure espansive meglio fare qualcosa che sia utile nel lungo periodo. Anche qui ho qualche dubbio sui provvedimenti del decreto. E’ prioritario che si spenda di più per la pubblica istruzione: siamo agli ultimi posti in Europa non solo per spesa universitaria e numero di laureati, ma anche per asili. Ma abbiamo davvero bisogno di 85.000 nuovi insegnanti a tempo indeterminato per scuole elementari e medie? Per eliminare le “classi pollaio”, come dice la ministra Azzolina? Ma dove sono le statistiche che mostrano che il rapporto tra alunni e insegnati sia più elevato in Italia che negli altri principali paesi europei? E, per risolvere, il problema, temporaneo, del distanziamento non c’era altra soluzione che l’aumento permanente del numero degli insegnanti e bidelli in un paese dove i nati scendono di anno in anno?
Ho anche qualche dubbio sull’efficacia del taglio del cuneo fiscale nel Mezzogiorno. Ho più volte sostenuto che il cuneo fiscale vada ridotto in Italia, finanziandolo con risparmi negli sprechi della spesa pubblica e lotta all’evasione fiscale. Ma perché un taglio solo al Sud? La risposta, immagino, è che la disoccupazione è un problema più serio nel Meridione. Ma non è certo più serio perché le tasse al Sud sono più alte. E’ più serio perché, a parità di retribuzione, il costo del lavoro al Sud è più elevato, dato che la produttività del lavoro è più bassa per un insieme di motivi: scarse infrastrutture, una pubblica amministrazione meno efficiente, maggiori problemi di sicurezza pubblica, eccetera. E, allora, invece di tagliare il cuneo fiscale solo al Sud, non sarebbe meglio intervenire per rimuovere quei vincoli alla produttività nel Sud, per esempio con un programma di investimenti in infrastrutture (scuole, asili, strade, digitalizzazione)? Perché, per esempio, non cercare di ridurre il divario tra la durata di processi civili al Nord e al Sud (rispettivamente 671 conto 1142 giorni)?
Non posso non commentare il prolungamento del blocco dei licenziamenti. Non voglio essere dogmatico. La speranza è che nel momento in cui il blocco sarà alla fine tolto, le condizioni economiche saranno migliorate al punto da non rendere necessari i licenziamenti stessi. Ma è chiaro che più si estende il blocco più si ingessa un’economia che necessariamente richiede lo spostamento di lavoratori da un settore all’altro. Intendiamoci: non grido allo scandalo per qualche mese in più, ma il blocco non può durare per sempre.
In conclusione, il decreto aggiunge altri 25 miliardi al deficit pubblico che, nelle mie stime, salirà dai 29 miliardi del 2019 a oltre 210 miliardi quest’anno (13 per cento del Pil). Il debito pubblico supererà il 160 per cento del Pil. Il fatto che il finanziamento di tale debito, grazie all’ Europa, avvenga a tassi di interesse ora bassi consente di non preoccuparci troppo nell’immediato, ma non consente di spendere le risorse in modo inappropriato (non entro neppure nella pletora di bonus vari). Occorrono misure non guidate dalle contingenze e volte a far contento chi grida di più, occorrono investimenti pubblici ben programmati, occorre riformare la pubblica amministrazione, occorre rendere la giustizia più rapida e occorrono anche spese per la pubblica istruzione, ma spese ben mirate. Occorre, in sintesi, una chiara strategia. Ah, quella verrà, con le richieste per il Recovery Plan, in ottobre? Restiamo in fiduciosa attesa…