Pil e legge di bilancio: una manovra a corto raggio
di Carlo Cottarelli
La Repubblica, 20 ottobre 2020
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In tempi più normali, i media sarebbero oggi pieni di notizie sulla manovra economica che il governo ha varato domenica scorsa. Ma questi non sono tempi normali e l’approvazione della Legge di Bilancio per il 2021 ha attratto meno attenzione dell’impennata dei contagi e del recente DPCM. Eppure questa legge influenzerà le nostre vite nei prossimi anni, anche quando, speriamo presto, l’incubo del Covid sarà passato. E’ quindi importante capirne i suoi tratti essenziali.
Partiamo dal problema principale. Il quadro macroeconomico in cui la Legge di Bilancio si inserisce è quello della Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) approvata un paio di settimane fa, i cui numeri principali erano stati finalizzati probabilmente a inizio ottobre. Allora i contagiati erano circa 2500 al giorno. Ora sono 5 volte tanto e tendono a crescere ancora. Una seconda ondata di queste proporzioni forse non porterà a chiusure comparabili a quelle di marzo e aprile. Ma è difficile pensare che non ci siano ripercussioni economiche. L’incertezza e la paura causate dalla seconda ondata possono avere conseguenze molto forti anche senza chiusure. C’è quindi il rischio che la Legge di Bilancio, basata su un rimbalzo del Pil del 6 per cento per il 2021, rimbalzo che fino a un paio di settimane fa sembrava del tutto plausibile, possa oggi essere già obsoleta. Non solo il Pil potrebbe crescere meno, ma nuovi interventi potrebbero essere necessari per sostenerlo.
Detto questo, la manovra come attualmente prevista, e grazie al sostegno delle risorse europee, è comunque di importo significativo. Si tratta di 39 miliardi tra aumenti di spesa e tagli di tasse che verrebbero finanziati senza il ricorso a misure compensative di rilievo. Le coperture sarebbero in deficit (24 miliardi) e in sovvenzioni a fondo perduto dall’Europa (15 miliardi). Ci si è allontanati quindi chiaramente dall’intenzione inizialmente espressa da Gualtieri di fare una manovra a saldo zero. La manovra porterebbe il deficit dal tendenziale 5,7 per cento del Pil al 7 per cento del Pil. Seppure in discesa dal livello record del 2020 (10,8 per cento), sarebbe comunque un livello elevato. Ma ci può stare, vista la debolezza del quadro economico nel 2021.
Il problema è, semmai, quello che accade negli anni seguenti. Se nell’immediato un’azione espansiva finanziata in deficit è accettabile, le misure incluse nella manovra hanno, almeno per la metà, effetti permanenti sui conti pubblici. Naturalmente non si poteva evitare di introdurre misure utili solo perché comportavano effetti permanenti. Ma il punto fondamentale è che, al momento, non sono previste misure compensative neppure oltre il 2021, il che significa che queste misure continueranno a pesare sul deficit pubblico in modo duraturo. Ora qualcuno mi verrà a dire che anche il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente ammonito contro il rischio di una prematura riduzione del sostegno dato all’economia dalle politiche di bilancio. Ma resta il fatto che il governo, pur prevedendo un ritorno del nostro Pil a livelli pre-covid già nel corso del 2022, intende mantenere il deficit pubblico anche nel medio termine ben al di sopra di quello registrato nel 2019 (1,6 per cento del Pil): nel 2023 il deficit sarebbe ancora al 3 per cento del Pil, nonostante la previsione per quell’anno di spese finanziate da un altro 1,4 per cento di Pil in sovvenzioni europee fuori bilancio.
Conseguentemente il rapporto tra debito pubblico e Pil scenderebbe solo molto lentamente. Torneremmo al livello del 2019 solo nel 2030. Dobbiamo solo sperare che le risorse che ci stanno arrivando da BCE e Unione Europea continuino a fluire senza sorprese nel prossimo decennio. E dobbiamo anche sperare che l’abbondanza di risorse europee non riduca l’incentivo a essere efficienti: è il rischio, richiamato di recente da Confindustria, di trasformarci in un Sussidistan. In proposito sorge una domanda legittima: si intende finanziare in deficit anche le maggiori spese per il sistema pensionistico che il governo sembra intenzionato a stanziare (anche se non le ha ancora incluse nel nuovo quadro di finanza pubblica) per evitare lo scalone causato dall’estinguersi di quota 100 a fine 2021?
Concludo con un commento sulle specifiche misure, anche se necessariamente breve e preliminare alla luce della scarsità di informazioni disponibili. Sembrano andare nella direzione giusta. A parte le inevitabili misure emergenziali (cassa integrazione, sostegno a settori in crisi), l’enfasi su sanità, pubblica istruzione (compreso il necessario aumento di spesa per asili nido) e ricerca è del tutto appropriata. Una domanda però: avevamo davvero bisogno di altri insegnanti o il problema della scuola è invece quello di avere insegnanti poco formati e sotto pagati?