Università Cattolica del Sacro Cuore

Per ridurre l'Irpef bisogna tagliare le detrazioni

di Carlo Cottarelli

La Repubblica, 10 agosto 2020

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Nell’intervista pubblicata ieri su Repubblica il ministro Gualtieri presenta un quadro equilibrato dell’attuale situazione economica. Fra l’altro la sua previsione di un forte rimbalzo del Pil nel terzo trimestre è del tutto realistica: come nota Gualtieri, il rimbalzo potrebbe essere un po’ sotto quel 15 per cento che aveva precedentemente indicato, ma dovrebbe comunque essere consistente (nelle mie previsioni almeno l’11 per cento).

L’intervista tocca diversi temi, ma vorrei qui commentare un punto specifico: quello relativo alla riforma dell’IRPEF. In proposito, tre aspetti sono particolarmente rilevanti.

Il primo riguarda il possibile passaggio al “modello tedesco di progressività con aliquota continua” apprezzato dal ministro. Questo modello comporta aliquote marginali costantemente crescenti dal 14 al 42 per cento, con un’ulteriore aliquota al 45 per cento. In Italia abbiamo un meccanismo apparentemente molto diverso, con solo 5 scaglioni e relativi “salti” dell’aliquota marginale. Nella sostanza, però, i due sistemi non sono poi così diversi. La tassazione media per ogni livello di reddito (cioè il rapporto tra tassa pagata e reddito), che è quello che più interessa al contribuente, cresce in entrambi i paesi in modo regolare e non troppo dissimile (si veda la nota di Pietro Mistura, pubblicata il 12 febbraio scorso sul sito dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, “La progressività dell’imposta sul reddito delle persone fisiche: un confronto tra paesi europei”). Un cambiamento nel livello di progressività, se questo è quello che il governo intende ottenere, potrebbe essere quindi raggiunto anche con un numero più limitato di scaglioni e aliquote marginali senza passare al più complesso modello tedesco. La vera questione è se si voglia avere un sistema più progressivo di quello attuale continuando la politica di detassazione dei redditi più bassi, politica seguita negli ultimi anni. Mi sono in passato espresso contro la flat tax che avrebbe premiato i percettori di reddito più elevati. Non mi convince però neppure una politica fiscale che continui a spostare il peso della tassazione verso i redditi medio alti: potrebbe costituire un disincentivo a cercare di aumentare il proprio reddito. Insomma, non è ovvio che l’attuale livello di progressività sia sbagliato. Io, se ci fossero risorse adeguate, taglierei le tasse in modo proporzionale a tutti.

Il secondo aspetto riguarda la complessità del nostro sistema di tassazione, IRPEF e non. La più grande riforma dell’IRPEF sarebbe la sua semplificazione. Il problema non è il numero delle aliquote, ma la complessità del calcolo della base imponibile per effetto di una pletora di deduzioni e detrazioni, il prodotto cumulato di decenni di governi che, per mostrarsi generosi, hanno colto ogni occasione per premiare questo o quel settore, questa o quella attività. Il Conte bis non si è comportato diversamente dai governi precedenti: la politica dei bonus e dei crediti di imposta, spesso a valere sugli anni successivi (riducendo fra l’altro la trasparenza dei conti pubblici), ha infatti ulteriormente complicato il nostro sistema fiscale. Per molti contribuenti, e persino per i loro commercialisti, la dichiarazione dei redditi è ormai un inferno burocratico. Inviterei il governo a porre rimedio al più presto a questa situazione. In realtà il ministro Gualtieri sembra muoversi, in parte in questa direzione (vedi sotto).

Il terzo punto riguarda il finanziamento del taglio dell’IRPEF, che il governo sembra intenzionato ad attuare (dopo il modesto intervento del 2019). Questo taglio dovrebbe essere finanziato attraverso coperture permanenti per essere sostenibile e credibile. Le risorse che verranno messe a disposizione dall’Europa nel 2021 (sia tramite il Recovery Fund, sia attraverso acquisti di titoli da parte della BCE) dovrebbero essere utilizzate principalmente per interventi temporanei, per esempio investimenti in infrastrutture, non per andare a finanziare misure permanenti, dato che questo aggraverebbe ulteriormente lo stato, già di per sé non particolarmente florido, delle finanze pubbliche italiane. Insomma, si dovrebbe tener concettualmente distinto il bilancio “straordinario”, da finanziarsi in deficit con le risorse temporaneamente messe a disposizione dall’Europa, da quello permanente, che dovrebbe comprendere interventi con coperture di lungo periodo. Sembra che questo sia quello che Gualtieri ha in mente quando dice che il taglio dell’IRPEF dovrebbe essere finanziato da una riforma di detrazioni e sussidi ambientali (quella semplificazione cui ho fatto riferimento sopra) e in parte con il contrasto all’evasione. Spero davvero questo sia il caso, ma il rischio che si intendano usare risorse temporanee, e in gran parte prese a prestito, per finanziare interventi permanenti è elevato, almeno sulla base delle opinioni di recente espresse da vari esponenti politici. In realtà per chiarire le vere intenzioni del governo in proposito sarebbe necessario inserire la possibile riforma dell’IRPEF nel quadro di finanza pubblica per il 2021. Il quadro del Documento di Economia e Finanza di aprile è ormai palesemente obsoleto. Dovremo attendere la seconda metà di settembre per sapere quale obiettivo di deficit il governo porrà per il 2021. Ma quale deficit sarebbe appropriato? Ne parlerò su queste colonne nei prossimi giorni…    

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