Molte idee e poche priorità
di Carlo Cottarelli
La Stampa, 6 luglio 2020
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Idee buone, ma mancano le priorità. Troppo poco su tasse e giustizia
Finalmente sta arrivando. Il Programma Nazionale di Riforma (PNR) dovrebbe essere varato oggi dal Consiglio dei Ministri. È, finalmente, il documento che chiarisce la strategia economica del governo. Ne è circolata una bozza. Cosa dice? Non è un documento molto conciso. Ma provo a sintetizzare.
Il programma viene riassunto nella sezione I.2 intitolata “Il piano di rilancio del paese”. Qui si fissano tre “linee strategiche”: la modernizzazione del Paese, la transizione ecologica e l’inclusione sociale, territoriale e di genere. Questi sono obiettivi condivisibili, ovvii direi. Queste linee strategiche verranno attuate attraverso nove “direttrici di intervento”: (1) un Paese completamente digitale; (2) un Paese con infrastrutture sicure ed efficienti; (3) un Paese più verde e sostenibile; (4) un tessuto economico più competitivo e resiliente; (5) un piano integrato di sostegno alle filiere produttive; (6) una Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese.; (7) maggiori investimenti in ricerca e formazione; (8) un’Italia più equa e inclusiva; e (9) un ordinamento giuridico più moderno ed efficiente. Già qui il lettore si confonde, perché due delle direttrici di intervento semplicemente ripetono le linee strategiche. Insomma, si confondono un po’ gli obiettivi con gli strumenti. In realtà, la maggior parte delle “direttrici” è costituita proprio da obiettivi più che da riforme.
Le riforme arrivano nelle sette sezioni seguenti. Il problema è che ci stanno troppe cose. Una strategia deve definire in modo chiaro le priorità (poche) che dovranno essere raggiunte senza tentennamenti. Qui, invece, ci sta un po’ di tutto. Eppure, alcuni punti cruciali sono trattati in modo incompleto.
Primo, c’è la riforma della burocrazia. Bene. Ma questa è orientata quasi soltanto all’accelerazione degli investimenti pubblici (appalti, revisione reato di abuso di ufficio). Spero proprio che non ci si fermi qui. La riforma della burocrazia richiede molto più di questo. Richiede una fondamentale semplificazione della normativa che riguarda tutta l’interazione tra il pubblico e il privato. E richiede, anche, un nuovo modo di gestire la pubblica amministrazione: occorre puntare ai risultati (da indentificare e misurare sistematicamente) e occorrono appropriati incentivi e disincentivi per i dipendenti pubblici. Avere una pubblica amministrazione che funziona è essenziale per l’economia italiana. Riformarla è un’opera gigantesca e richiederebbe un decreto legge al mese, non un decreto una tantum. E su questo che si dovrebbe concentrare il governo.
Secondo, ci sono gli investimenti pubblici. L’obiettivo è di portare il rapporto tra investimenti pubblici e Pil al 3 per cento in quattro anni: infrastrutture di comunicazione (ferrovie, strade, ponti, aeroporti, porti e intermodalità), smart mobility, telecomunicazioni (Piano Banda Ultralarga), energia, acqua, attenuazione dei rischi idrogeologici e sismici, aree verdi urbane, riforestazione, digitalizzazione. Questa è la parte del PNR dove il governo sembra avere idee chiare, anche quantitativamente.
Terzo, ricerca e istruzione. Anche questo va bene. Ma la sezione è breve e nel corpo principale del PNR, quando si approfondiscono certi argomenti, non è chiaro quali sono le priorità. Un tema secondo me fondamentale, anche per il raggiungimento della parità di genere e di opportunità e per il mercato del lavoro, quello degli asili, è solo accennato in poche parole a p. 57 della bozza.
Quarto, la promozione degli investimenti privati. Qui c’è una marea di vari incentivi da rafforzare e introdurre (ecobonus, sismabonus, Industria 4.0, iperammortamento, ripristino dell’ACE, incentivi alla fusione), nuovi strumenti di finanziamento (rafforzamento dei PIR) e di consolidamento patrimoniale. E chi più ne ha più ne metta. Niente di sbagliato se ogni misura è presa singolarmente. Ma il rischio è di complicare un sistema di incentivi e tassazione già troppo complesso. Insomma, o si crede in un modello in cui il miglior modo per il settore pubblico per favorire l’investimento privato è quello di non mettergli i bastoni tra le ruote (tramite una burocrazia inefficiente). O si crede in uno stato che deve soprattutto intervenire con agevolazioni e incentivi vari. Mettere insieme le due cose mi sembra difficile.
La quinta sezione è lunga e tratta delle “politiche macro-settoriali”. Si parla “a livello di politica industriale” della filiera della salute (dall’industria farmaceutica ai dispositivi medici), del turismo, della cultura e spettacolo, dell’auto, della componentistica, della meccanica strumentale, della siderurgia, della produzione di energia, dell’edilizia. Insomma, non c’è proprio tutto, ma, anche qui, c’è una questione dii priorità.
La sesta sezione è un misto di tre cose. Primo, si riprende il tema della istruzione (non si sa perché ci si ritorna, forse perché qui si parla anche di formazione e conoscenza della Costituzione). Secondo, si parla di quella che, per me, è la vera priorità: rendere la giustizia più veloce. Strano non dedicare un’apposita sezione a questo tema così cruciale, anche a detta degli investitori che considerano la lentezza della giustizia come uno dei principali disincentivi all’investimento privato in Italia. Terzo, c’è la riforma fiscale, che tanta attenzione sta attirando nei media. Insomma, anche questo governo vuole tagliare le tasse. Qui però le idee sono un po’ confuse: “si punterà ad una riforma tributaria che migliori l’equità e l’efficienza e sia coerente con il principio di progressività sancito dalla Costituzione, riducendo le aliquote effettive sui redditi da lavoro e aumentando al contempo la propensione delle imprese ad investire e a creare reddito e occupazione.” Insomma, non proprio un approccio selettivo. E, naturalmente, c’è la lotta all’evasone fiscale.
Infine, c’è una sezione su come far tornare i conti. Si riconosce esplicitamente che l‘avanzo primario dovrà aumentare “anche in confronto ai risultati conseguiti nel 2019” (1,7 per cento del PIL, peraltro modesto rispetto al nostro livello di debito pubblico). Come conciliare questo con i previsti aumenti di spesa? Ci sono, immancabili, la spending review e la revisione delle spese fiscali (quali?), il contrasto all’evasione (ma quello non dovrebbe finanziare il taglio delle aliquote di tassazione?), i tagli dei sussidi a favore dei prodotti inquinanti. Niente di nuovo sul fronte occidentale.
Non vorrei essere apparso troppo critico. Nel PNR ci sono tante idee buone e condivisibili. La mia critica è che ci sono troppe idee buone e condivisibili e non abbastanza priorità. Fare riforme richiede spendere capitale politico. Questo non è illimitato. Se non si fissano poche e irrinunciabili priorità si corre il rischio di non riuscire a realizzare nulla di rilevante. Tra il dire e il fare …